Il 12 marzo scorso ad una 26enne non è stato possibile effettuare l’interruzione di gravidanza presso l’Ospedale “San Pio” di Vasto. La vicenda è stata resa nota dal Collettivo Zona Fucsia dopo che, in occasione del corteo dell’8 marzo a Pescara, la ragazza ha raccontato l’accaduto a Benedetta La Penna.
Una situazione probabilmente già conosciuta a tanti, sarebbe grave e sconcertante se in tutta la città nessuna e nessuno si fosse mai accorto di nulla prima. Sicuramente mai dal mondo politico “progressista” e di “sinistra”, che ad ogni occasione si proclama paladino dei diritti e della lotta. Il sabato in cui Benedetta La Penna del Collettivo Zona Fucsia ha diffuso la notizia, appena ci è stato possibile, abbiamo contattato la Asl Chieti-Lanciano-Vasto che ci ha riportato che presso l’Ospedale di Vasto non vengono effettuati aborti perché sono presenti solo medici obiettori, circostanza emersa, e che non ha mai avuto particolare evidenza pubblica in precedenza (per quanto di nostra conoscenza), solo dopo che dalla Asl hanno risposto (di sabato pomeriggio) alla nostra richiesta di dichiarazioni.
Dopo averci comunicato tale informazione e una smentita di alcune informazioni fornite dalla donna gestante, successivamente al contatto avuto con noi la Asl ha diramato il comunicato che abbiamo pubblicato il 17 marzo.
Nei giorni successivi, dopo che la pubblicazione del comunicato della Asl sulla stampa locale ha reso virale la notizia e l’interessamento anche della stampa nazionale, ci sono state le prime prese di posizione dal mondo politico e istituzionale. Quasi tutte “regionali” e provenienti da Pescara o comunque da altre città: di vastese la prima presa di posizione (ad oggi anche unica insieme al Psi del vastese) autonoma – senza solo rilanciare con un post social articoli di giornalisti che che da casa sedute comode hanno ripreso il comunicato della Asl senza far nulla in più e di “giornalistico” (la Asl è stata contattata solo dal vicedirettore di questo giornale e da un collaboratore de Il Messaggero Abruzzo, casualità vuole che sono la stessa persona) – è stata dell’assessora alle politiche sociali Anna Bosco.
«Aborto negato a Vasto: l’accesso effettivo all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) in particolare in regioni come la nostra dove il numero di medici obiettori di coscienza è molto alto rappresenta un problema molto delicato – ha dichiarato Anna Bosco, assessora alle politiche sociali di Vasto – Ringrazio il Collettivo Zona Fucsia per aver denunciato un episodio che rappresenta una violazione del diritto di una persona gestante a ricevere un trattamento medico privo di giudizi morali o ostacoli ideologici. La notizia emersa nelle scorse ore evidenzia pratiche scoraggianti come la richiesta di “ascoltare il battito fetale” e il rinvio con motivazioni discutibili, che sarebbero strategie per dissuadere dall’aborto». «Il caso di Vasto rientra in una problematica più ampia: il diritto all’aborto in Italia è tutelato sulla carta, ma spesso ostacolato nei fatti – sottolinea Anna Bosco – indipendentemente dalle posizioni personali sull’aborto, questa vicenda evidenzia la necessità di trasparenza, informazione corretta e accesso effettivo ai servizi sanitari garantiti dalla legge, evitando che fattori ideologici o strutturali impediscano alle persone di esercitare un loro diritto». «Un diritto negato non è un vero diritto: garantire l’accesso all’IVG è un dovere, non un’opzione» la conclusione dell’assessora Bosco.
«Quello che sta accadendo in Abruzzo è gravissimo. L’obiezione di coscienza è diventata un’arma per sabotare la Legge 194 e negare un diritto fondamentale. Non stiamo parlando di qualche caso isolato, ma di un problema sistemico che coinvolge intere strutture sanitarie. Quando un ospedale impone a una donna di ascoltare il battito fetale prima di negarle l’IVG, non sta facendo medicina: sta mettendo in atto un vero e proprio atto di violenza psicologica, che ha un solo obiettivo: colpevolizzare e ostacolare chi sceglie di abortire – ha dichiarato Benedetta La Penna in un comunicato dei giorni successivi alla denuncia col collettivo – in qualità di componente della Commissione Pari Opportunità regionale, mi impegnerò a portare il tema dell’obiezione di coscienza all’interno della commissione. La Regione Abruzzo deve assumersi la responsabilità politica di garantire il diritto all’aborto, monitorando gli ospedali, garantendo che in ogni struttura ci siano medici non obiettori e impedendo pratiche scorrette che mettono in pericolo la salute delle persone gestanti. Non possiamo più accettare che il diritto all’IVG venga negato o sabotato con questi metodi».
«L’episodio accaduto all’Ospedale San Pio di Vasto, qualche giorno fa, di una donna che è stata costretta ad ascoltare il battito fetale prima di sapere che il medico non le avrebbe praticato l’interruzione della gravidanza, è un fatto grave e frutto di una politica ostruzionista che tenta di sabotare la legge 194/1978 arginarla e strumentalizzarla in un’ottica cattolico- integralista» ha dichiarato il coordinamento del Partito Socialista del Vastese. «L’Abruzzo appartiene al gruppo di regioni riluttanti nell’adeguarsi alle nuove direttive ministeriali in ragione della circolare firmata dell’assessora alla salute, Nicoletta Veri’, e del direttore del dipartimento regionale sanità, Claudio D’Amario, con la quale si raccomanda fortemente che l’interruzione volontaria di gravidanza mediante la cosiddetta pillola abortiva sia effettuata preferibilmente in ambito ospedaliero e non nei consultori familiari – sottolinea il partito del segretario regionale Gabriele Barisano, assessore del comune di Vasto – Non possiamo accettare di vedere compromesso un diritto con il pretesto di un “indecoroso stato” in cui versano i consultori in Italia e in Abruzzo! Se così è pretendiamo che il governo e la Regione si attivino con idonei interventi per superare l’attuale stato di abbandono in cui versano i consultori familiari dotandoli di tutte le figure professionali previste e necessarie a svolgere con efficacia ed efficienza le funzioni attribuite loro dalla legge. I socialisti abruzzesi chiedono gran voce che il governo della Meloni cessi nelle condotte che di fatto ostacolano la piena operatività dei diritti garantiti dalla L. 194/ 1978».
Punta il dito sulle responsabilità della giunta regionale Marsilio anche Rifondazione Comunista. «In Abruzzo la giunta regionale non fa nulla per garantire che la legge 194 sia effettivamente applicata» attaccano il segretario nazionale Maurizio Acerbo e la co-segretaria regionale Viola Arcuri. «Contro questo sabotaggio della 194 serve imporre controlli veri e sanzioni efficaci affinché gli ospedali garantiscano obbligatoriamente il servizio prevedendo che le strutture che non lo fanno siano considerate responsabili civilmente e penalmente – la richiesta dei due dirigenti del Prc – Serve che i Direttori Generali delle ASL siano valutati rispetto alla reale applicazione della legge per consentire di fare bandi dedicati per assumere nei servizi personale non obiettore, perché i contraccettivi siano gratuiti, per l’aborto farmacologico senza ospedalizzazione anche in regime ambulatoriale e i consultori adeguatamente attrezzati».
«Siamo, chiaramente, di fronte all’ennesimo diritto negato, un diritto che le donne hanno ottenuto unendosi nella lotta e che i governi, regionali e nazionali, puntualmente ignorano e calpestano. È il momento di tornare a riempire le piazze e pretendere di essere riconosciute con i nostri corpi, le nostre vite e le nostre scelte – dichiara la Casa del Popolo “La Conviviale” – sabato 12 Aprile, alle ore 18.00, ci vediamo in piazza Barbacani a Vasto per manifestare la nostra indignazione e rivendicare il diritto all’aborto e all’autodeterminazione, invitando tutta la cittadinanza, le sigle sindacali e le associazioni a partecipare».
È arrivata in questo fine settimana una prima replica dal mondo cattolico da Angela D’Alessandro del comitato “Pro Life Insieme”. Un intervento che vede al centro il gran numero di obiettori di coscienza all’interruzione volontaria di gravidanza. «L’obiezione di coscienza in alcune regioni raggiunge addirittura il 90% e le donne, intenzionate ad interrompere volontariamente la gravidanza, sono costrette a cercare la prestazione in ospedali anche molto lontani dalla loro residenza, questa cosa però, anziché fare interrogare le future mamme, le rende rabbiose in quanto vedono negato loro un “diritto”: il diritto all’aborto e all’autodeterminazione – sostiene D’Alessandro – mi chiedo se qualcuna si ponga il problema del perché così tanti medici decidano per l’obiezione di coscienza, mi chiedo se ci sia qualche donna che si interroghi su questa scelta che, oggi come mai, risulta decisamente impopolare».
«Chi sostiene che non esiste nulla durante i primi 3 mesi mente sapendo di mentire, perché la vita in embrione è largamente dimostrata dalla scienza. mi chiedo se una donna che reclami il diritto all’aborto e all’autodeterminazione abbia consapevolezza di quello che sta facendo o se si lasci convincere che non sta facendo niente di male – attacca il comitato “Pro Life Insieme” – Che diritto è avere la possibilità di scelta se fare nascere o meno un figlio, trasformando quella che dovrebbe essere una culla in una bara?
Se un medico in coscienza non si sente di porre fine ad una vita come può farlo una madre?
In nome di quale autodeterminazione si decide di impedire ad un bambino di nascere? Non ci sono risposte a queste domande perché non esiste il diritto di uccidere la vita, tantomeno quella nascente, che è la più fragile ed indifesa e per questo va protetta».