Mentre media e politica cercano di anestetizzare le coscienze, mentre il dibattito pubblico si piega a una narrazione bellica ormai normalizzata, a Roma è accaduto qualcosa di inaspettato. Migliaia di persone hanno invaso le strade della capitale per dire no al riarmo, no al genocidio in Palestina, no allo spreco miliardario per alimentare conflitti lontani e sì, invece, a un futuro di pace.
Un popolo silenziosamente disobbediente si è mobilitato, sfuggendo alle maglie strette del consenso indotto. Una partecipazione eterogenea e trasversale: cittadini comuni, attivisti, associazioni pacifiste, delegazioni di partiti di sinistra. Lucio Pastore, medico e attivista ha voluto sottolineare il valore di questo evento come segnale di rottura.
“Qualcosa non funziona più nel controllo del sistema”, scrive Pastore. “I frame profondi non si riesce più a condizionarli, nonostante i bombardamenti mediatici”.
E in effetti, la piazza di Roma ha raccontato una verità diversa da quella spesso filtrata da televisioni e giornali: una verità fatta di rabbia, consapevolezza, desiderio di giustizia. E anche di spontaneità. Il corteo, meno organizzato rispetto ai grandi eventi sindacali o partitici, ha guadagnato in autenticità e coinvolgimento. Non slogan preconfezionati, ma parole vere, necessarie. Non bandiere dominanti, ma corpi presenti.
Il bersaglio è chiaro: l’ideologia del riarmo, l’indifferenza verso il popolo palestinese massacrato, la folle corsa alla militarizzazione dell’Europa. “800 miliardi per le armi”, ricordano i manifestanti, “mentre sanità, scuola e lavoro vengono lasciati a se stessi”.
Eppure, da questo corteo non arriva solo la denuncia, ma anche un segnale politico più ampio. Pastore ipotizza la nascita di un “nucleo politico nuovo”, spinto dal bisogno sempre più urgente di costruire un’alternativa concreta alle attuali politiche guerrafondaie. Forse un’utopia? Forse. Ma anche l’utopia ha bisogno di passi.
“La pace è un bene prezioso, non solo per noi ma soprattutto per i nostri figli”, scrive ancora Pastore, “che rischiano di essere mandati al massacro per l’esigenza dei lobbisti delle armi”.
Roma ha parlato. E forse, non sarà l’ultima volta.
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