di Salvo Germano
In un momento dilaniato da una crisi internazionale e da due guerre in Europa e in medio oriente, il mondo nella sua indolenza, o presunta tale, sembra non accorgersi della tragedia umanitaria che si consuma in un altro teatro: la striscia di Gaza, che durante le rappresentazioni classiche, nel teatro greco di Siracusa, simbolo del progresso e della cultura occidentale, diventa protagonista di una scelta di coraggio.
L’ INDA, l’importante Fondazione Istituto Nazionale del Dramma Antico, ha negato agli attori la lettura di un comunicato in sostegno del popolo palestinese ritenendola “estranea ai fini statuari”.
Al termine dello spettaco di Edipo a Colono, gli attori, aderendo alla mobilitazione promossa dal prof. Tomaso Montanari e da una rete di intellettuali, hanno steso il lenzuolo in scena, tra gli scroscianti applausi del pubblico.
Un semplice gesto simbolico può sempre rappresentare un richiamo alla coscienza collettiva, un segnale forte che ha squarciato il velo della impertubabilità istituzionale.
Il comitato Palestina due popoli due Stati e l’associazione Ad gentes avevano chiesto di poter leggere prima di ogni spettacolo una poesia di un poeta palestinese. Ma l’INDA ha consentito solamente l’esposizione del sudario ma non la lettura del comunicato di solidarietà al popolo palestinese.
Di fronte alla “pulizia etnica” o genocidio, che dir si voglia, al massacro indiscriminato di donne e bambini del popolo palestinese, è grave e assurdo che non venga autorizzata una semplice lettura di un comunicato.
Ed è alquanto paradossale, che in un luogo così altamente simbolico, dove i tragici hanno cantato la tenacia e la sfida di Antigone che fa seppellire il fratello Polinice, disubbidendo al re Creonte, o Edipo che su ribea al fato, non sia possibile la denuncia in difesa dei diritti civili, di un popolo di bambini inermi ed una popolazione ridotta alla fame.
A tal proposito scriveva Eschilo:
“I vincitori si salveranno solo se rispetteranno i Templi e gli Dei dei vinti”.
La cultura non può essere così infingarda da tacere tradendo se stessa. E neanche abbracciando il deprecabile doppio pesismo – denunciano le associazioni promotrici.
In passato, la Fondazione ha sostenuto iniziative a sostegno di altri popoli e cause, come il sostegno alla martoriata Ucraina, la Giornata del Rifugiato e campagne legate alla Disabilità e alla Salute Pubblica.
In che consiste la differenza?
Chi si arroga il diritto di stabilire quale Tragedia (nel topos dove si incarna la tragedia umana) quale dolore accogliere e quale no?
La narrazione si è sempre avviluppata in un contesto storico, fosse pure quello così ancestrale dei tragici greci, che nel gioco dialettico dell’esaltazione di valori e dis – valori universali, come la pace, la guerra, la religione, si manifesta con le stesse pulsioni, le aspirazioni di supremazia del forte che preda il debole, sospinto da una avidità, da una malvagità, che farebbe dire agli spettatori homo homini lupus, in sostanza pulsioni connaturatesi animalescamente nell’istinto dell’uomo, e comunque, sempre intellegibili in una chiave di lettura contemporanea, come se l’ieri e l’oggi, fossero legati da uno stesso fil rouge che li collega al pathos che affligge costantemente l’ umanitas.
Ma qualche giorno fa in scena, ha prevalso l’ etica sul regolamento: il coraggio contro l’indifferenza.
I versi del poeta palestinese Rafat Al Areer, che perse la vita in un attacco aereo israeliano insieme alla sua famiglia, si sono elevati non solo tra le pietre millenarie della cavea del teatro greco di Siracusa, ma nei cuori di pietra, che ancora oggi, si ostinano a non considerare Benjamin Netanyahu, responsabile di crimini di guerra e genocidio.
Ecco i versi così tanto invisi ai vertici della Fondazione:
“Se dovessi morire, tu devi vivere per raccontare la mia storia… fa che porti speranza, fa che sua un racconto”.
Si parla di 50000 vittime, di cui 20000 bambini, secondo le stime delle ONG indipendenti, al cui cospetto ogni rifiuto alla testimonianza si trasforma in una immorale complicità.
Così la compagnia ha restituito dignità all’alta funzione civile del teatro.
Il teatro non è solo narrazione, ma denuncia, resistenza. Ed è proprio quella che genera la catarsi, che non è solo purificazione, ma un processo di liberazione da esperienze traumatiche, facendole riaffiorare nella coscienza dell’individuo.
Ecco che le parole del poeta si sono trasformate in un impeto di liberazione non solo individuale ma collettiva nel tempo e nello spazio: classicità e contemporaneità insieme in unico afflato.
Immagine IA