Quarantacinque anni, dalla notte della strage di Ustica sono passati dodici anni più dell’età in cui Cristo, «Verità» per i Vangeli, fu tradito e crocifisso. E di verità tradite e crocifisse in questi decenni sulle morti di quella notte e le tante morti successive (perché se arrivò l’alba del giorno dopo la notte della strage è durata molto ma molto di più uccidendo anche molti anni dopo) ce ne sono tante.
C’era nebbia fitta, che impediva la visibilità, la sera del 10 aprile 1991 nella rada del porto di Livorno. Questa la “verità ufficiale” confezionata e consegnata dopo che quella notte il traghetto Moby Prince si scontrò con la petroliera Agip Abruzzo. Una verità ufficiale che negli anni si sgretolò, smentita da diversi testimoni e dalla relazione finale consegnata 17 anni dopo da una commissione parlamentare d’inchiesta.
Non c’era quella sera una nebbia fitta che causò la strage ma, in realtà, una nebbia scese quella sera e ancora oggi non è ancora andata via. È la nebbia delle verità di comodo, dei depistaggi e delle trame che avvolgono e sconvolgono la ricerca della verità, della giustizia e della lotta contro colpevoli, pupi e pupari in questo Paese a sovranità e giustizia limitati. Tante, troppe, sono le stragi che hanno insanguinato l’eterna notte della Repubblica Italiana su cui questa nebbia persiste. Tra cui la strage di Ustica del 1980.
La notizia della richiesta di archiviazione dell’inchiesta della Procura di Roma e il giungere di un nuovo anniversario hanno portato al ripetersi della solita liturgia che, troppe volte, accompagna la memoria smemorata, il ricordo che non ricorda, di questa Repubblica. Riciclo (anzi riciclaggio) di tardive interviste rivelanti che nulla rivelano, tesi e teoremi smontati e smentiti da decenni, pezzi di notizie che stravolgono ogni realtà reale, piste e suggestioni più che fantasiose. Fece scalpore l’intervista di Amato a Repubblica che pareva incolpare i francesi. Mesi dopo la trasmissione Report mostrò Amato, a distanza di pochi mesi, che pareva incolpare gli israeliani. Giorni fa un quotidiano su L’Espresso si legge che sarebbe colpa degli statunitensi. Ognuno di loro ha mostrato verità che apparirebbero inoppugnabili, nessuno di loro pare avere torto.
La nebbia su Ustica, sui morti di quella notte e sulle morti successive (perché quella strage ha causato vittime il 27 giugno 1980 e anche oltre dieci anni dopo), è alimentata anche da tutto questo. Tutti salgono sul palco, tutti esprimono tutto e il contrario di tutto. Rimane una sola voce censurata, silenziata, ignorata, dal mainstream e dall’informazione “alternativa”, da tutti i profeti di ogni possibile pista. Quella di una delle vittime successive, dell’unica vera testimonianza di quella notte. E di chi ha pagato, avendo accanto da decenni solo un’associazione, un prezzo altissimo all’aver cercato di far conoscere quella voce.
Il testimone è Mario Alberto Dettori, radarista quella notte a Poggio Ballone, chi ha cercato di far conoscere la sua voce Mario Ciancarella, radiato dall’Aeronautica Militare con firma falsa di Pertini. Unica associazione al fianco di Mario in questi decenni l’Associazione Antimafie Rita Atria. Mentre l’Antimafia SpA, i professionisti dell’antimafia e l’antimafia da parata e ballata, da talk show e da sfilate degne di Cetto La Qualunque era “distratta”.
Mario Alberto Dettori, radarista a Poggio Ballone la notte della strage fu trovato morto, impiccato, il 31 marzo 1987. Una morte liquidata all’epoca come suicidio con le indagini archiviate subito. Dettori, ricordò anni fa la figlia Barbara – «disse che l’Italia era arrivata ad un passo dalla guerra» e che la famiglia non ha mai creduto alla tesi del suicidio, sostenuta nella battaglia legale dall’Associazione Antimafie Rita Atria.
Nel dicembre 2016 questa battaglia portò alla riapertura delle indagini e alla decisione della Procura di Grosseto di riesumare il corpo. Quattro anni dopo un’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Grosseto ha accolto la richiesta di archiviazione, a cui si è opposta il legale della famiglia. «Pur nel rispetto della magistratura» scrivono in un comunicato l’Associazione Antimafie Rita Atria e la famiglia Dettori non ci si può esimere «dal compiere delle riflessioni ricavabili dalla lettura degli atti».
«Riteniamo che la delega delle indagini ai Carabinieri sia stata quantomeno inopportuna in considerazione del fatto che la prima anomalia di questa vicenda era ascrivibile proprio all’Arma dei Carabinieri – la prima riflessione che condividono – Una anomalia consistente nella redazione di un atto denunciato e ribadito come falso» aggiungendo che «spiace constatare che il GIP abbia accolto le risultanze investigative del Pubblico Ministero senza una sua propria e autonoma valutazione».
Non sono state evidenziate, valutate (liquidate come superflue) le nuove investigazioni dirette e circostanziate richieste dall’avvocato Goffredo D’Antona. Dalla lettura degli atti processuali «può evincersi che più soggetti di questa vicenda (non solo i familiari del Dettori) hanno disconosciuto atti fondamentali a loro firma o che li indicavano presenti sui luoghi del ritrovamento del corpo». A cui si aggiunge il paradosso che il corpo di Mario Alberto Dettori sarebbe stato ritrovato da più persone e in posti diversi, «una casualità che non viene adeguatamente chiarita e che lascia forti dubbi» ribadiscono la famiglia e l’Associazione.
«Capitano siamo stati noi …», «capitano dopo questa puttanata del Mig libico», «siamo stati noi capitano, siamo stati noi a tirarlo giù», «ho paura, capitano, non posso dirle altro al telefono. Qui ci fanno la pelle» disse Dettori a Mario Ciancarella. Tre settimane dopo, quando venne ritrovato il Mig 23 libico sui monti della Sila, Dettori richiamò Ciancarella, «mi disse che la storia del Mig era una puttanata – ricordò Ciancarella – poi mi diede tre spunti sui quali indagare: comandante, si guardi gli orari degli atterraggi dei jet militari la sera del 27 giugno, i missili a guida radar e quelli a testata inerte. Poi non lo sentii più».
Nella ricostruzione della notte della strage (portata avanti insieme con l’Associazione Antimafie Rita Atria) Mario Ciancarella ha sempre ribadito che si era delineato uno «scenario terribile davanti ai nostri occhi, scenario tragico che concerneva la responsabilità diretta, volontaria e premeditata delle nostre forze armate contro un aereo civile per attribuirne la responsabilità al mig di Gheddafi e per poter compiere da quel momento una destabilizzazione del regime libico … gli stati uniti hanno avuto il ruolo della costruzione dell’idea stessa di Ustica, che ha dovuto poi delegare all’Italia» per questioni interne agli USA di quegli anni. A domanda diretta, dopo aver ricordato che all’epoca era Presidente del Consiglio Cossiga (che quindi non poteva non conoscere la verità di quella notte, così come il ministro della Difesa e almeno altre «quindici persone» nelle alte sfere militari), Ciancarella ha ribadito che l’abbattimento avvenne con un missile a testata inerte sparato da un f104 italiano.
Di questi missili a testata inerte Priore ha fatto una ricerca scoprendo che erano stati acquistati due lotti: di uno si sa tutto mentre di un altro (6 missili) nessuno sa nulla. Il missile fu sparato da un velivolo sotto diretta determinazione del guidacaccia e in quel caso, al 99%, veniva eseguito da un velivolo statunitense in volo sull’isola della maddalena, da circa 14/15 miglia».
La storia di Mario Ciancarella è raccontata nel libro, uscito sul finire dell’anno scorso, «Si può si deve, l’ufficiale democratico che ha sfidato l’infedeltà di Stato». «Il libro non racconta soltanto una drammatica storia personale, è una denuncia finora gridata nel deserto, che dovrebbe turbare e interessare tutti» ha scritto nella prefazione Giovanni Maria Flick.
«Quello dell’ufficiale democratico Mario Ciancarella è l’unico episodio accertato di una falsa radiazione con la grave violazione delle prerogative della più alta carica dello Stato – si sottolinea nella quarta di copertina del libro – l’obiettivo della radiazione, ottenuta con un falso decreto il cui originale non è reperibile, era di impedire la ricerca della verità sulle stragi di Ustica e del Monte Serra».
«Il capitano Mario Ciancarella, il colonnello Alessandro Marcucci e il controllore di difesa aerea Mario Alberto Dettori sono i tre militari che hanno avuto l’enorme coraggio di dire la verità – prosegue la presentazione – Marcucci e Dettori sono stati assassinati». «Le vite di questi tre uomini sollevano dubbi inquietanti, pongono domande serie, drammatiche, alle quali il pilota militare Mario Ciancarella, grazie a una enorme preparazione, dà risposte convincenti che dissolvono la spessa nebbia creata da esperti depistatori – la conclusione della quarta di copertina – la grave violazione perpetrata con una radiazione falsa e i due omicidi mettono il sigillo della verità sulla loro storia».
Fonte immagini: Associazione Antimafie Rita Atria