C’è una regola del giornalismo d’inchiesta, della vecchia scuola dei cronisti che entravano nei palazzi – come ci ha insegnato concretamente Silvestro Montanaro – solo a testa alta come coscienza e conoscenza critica, per raccontare e documentare. È quella di far conoscere quel che non si conosce, di diffondere quel che non compare, di percorrere le strade delle periferie – urbane, esistenziali, fisiche, umane – per illuminare a giorno quel che è nell’oscurità, per dare voce a quel che voce non ha.
È ormai di dominio nazionale da giorni, diffusa anche da telegiornali main stream e da radio popolarissime, la notizia dei dieci minorenni finiti al Pronto Soccorso dell’Ospedale “San Pio” di Vasto per abuso di alcol. Era in corso la “Notte Rosa” a Vasto Marina e i ragazzi erano tra le migliaia di partecipanti, molti giunti con autobus anche da fuori Abruzzo.
La notizia ha suscitato in città reazioni contrastanti e c’è chi l’ha messa in dubbio. Sgomberiamo subito il campo da un equivoco: nessun ragazzo è finito in rianimazione ma la notizia è sostanzialmente vera, confermata nella mattinata di sabato da Asl e Croce Rossa, possiamo documentarlo direttamente. E l’enorme diffusione di alcol tra i giovanissimi, anche dodici-tredici anni, è realtà vera. I riflettori su quanto accaduto si stanno spegnendo, il clamore di un momento (parafrasando Faber) sta cedendo il passo ad altre notti, ad altri giorni. E questo dovrebbe far riflettere e porre qualche domanda su quel che non è. Ma dovrebbe essere.
Le cronache della notte tra venerdì e sabato seguono altre cronache di notti colorate negli anni passati. Ma non solo. E qua c’è la zona nera e oscura che, invece, dovrebbe essere illuminata a giorno. I riflettori, anche nazionali, non sono mai arrivati in tante altre occasioni. Non ci sono nel raccontare le periferie – ribadiamo, non solo urbanistiche anzi – e quel che da anni abbiamo definito il ventre oscuro di questa regione. Bullismo, violenze, gang, spaccio, abusi anche sessuali, sfruttamento criminale sessuale e non solo (tante volte abbiamo documentato e denunciato lo spaccato aberrante dei pedocrimini), alcol a fiumi. Ma tanto, troppo, di questo, non interessa gli abruzzesi, figurarsi il main stream nazionale.
Il clamore su una sera, il sensazionalismo a buon mercato è facile. Poi, come accade dopo i funerali, si rimane soli e cala il silenzio.
Maranza, baby gang, branco, sono termini che quasi quotidianamente raccontano episodi di cronaca. E l’età media si abbassa, sempre più sono coinvolti ragazzini alle soglie dell’adolescenza. Una generazione ferita da una parte dell’infanzia negli anni della pandemia, della didattica a distanza, del distanziamento sociale oggi sembra trovare nella violenza la sua espressione. Alcol, maleducazione, violenza, schiaffi, coltellini che sbucano improvvisi, sono la quotidianità di alcuni giovanissimi – nell’età della scuola secondaria di primo grado o al massimo dei primi anni della scuola secondaria di primo grado – anche nel centro e non solo di Vasto. Gruppi sparuti, pochi ragazzi, che preoccupano gli adulti e i loro coetanei. Sono una piccola minoranza ma la loro presenza è ben visibile. Ed interroga gli adulti, le istituzioni, la scuola.
Questi ragazzini, poco più che bambini, rischiano di diventare i criminali di domani il timore espresso, con amarezza, un genitore vastese il cui figlio li ha visti in azione. Tornando a casa terrorizzato.
Vasto è una città ha visto, un anno fa, un branco entrare all’interno di un istituto tecnico per aggredire di fronte a centinaia di studenti sgomenti.
Tante sono le segnalazioni anche nelle ultime settimane. Una signora anziana è stata travolta da ragazzini su bici elettriche, rischiando di ferirla in modo grave, in una piazza di Vasto. Nei dintorni di Palazzo D’Avalos c’è chi ha visto gruppi di ragazzine prendersi anche a schiaffi. Sono anni che i residenti del popoloso quartiere San Paolo, nota come zona 167, denunciano di sentirsi abbandonati, di vedere trascurata un’area importante della città. Non bastano alcune panchine, lasciate poi lì dedicate a vittime di mafia (a proposito, che vuol dire vorremmo chiedere a lor signori che Rita Atria è stata «vittima indiretta di mafia»?) e riparate solo dopo alcuni nostri articoli e forti rimostranze dei cittadini, non basta ricordarsene solo in occasioni particolari. E se in centro parliamo solo di stupida e vigliacca violenza qui si va anche oltre.
Dal parchetto intitolato a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a diversi angoli irrompe lo spaccio, quasi alla luce del sole fiorente, anche a pochi passi dalle panchine e dalle pensiline “intitolate”. I giovanissimi di oggi rischiano di diventare, senza prospettive e con solo la violenza davanti, i delinquenti di domani. Quando si aggiungono reati commessi alla luce, diffusione di droghe di ogni tipo, vi lasciamo immaginare quale futuro potrebbe arrivare. I giovani e giovanissimi non sono solo paroloni da mettersi in bocca ad intermittenza e convenienza, non sono “politiche” utili ad altro. Una politica che sia degna di esser tale, istituzioni che sono tali e non altro ascoltano ed intervengono, si preoccupano e non lasciano indietro nessuno, non trascurano e progettano realmente.
Anche in queste ultime settimane si sono intervallate notizie di operazioni contro il narcotraffico, di reti criminali che in Abruzzo hanno l’hub dello spaccio o l’approdo nelle piazze più diverse. Mentre don Max a Rancitelli ha denunciato l’aumento del consumo di droghe, della presenza sempre più massiccia di «Giovani come zombie, che barcollano per strada, si accasciano con lo sguardo perso nel vuoto dopo essersi infilzati una siringa vicino alle parti intime», fonte Il Messaggero Abruzzo del 24 giugno. E le notizie di brutali pestaggi, di violenze tra giovanissimi sono settimanali.
«CORSO VITTORIO, PIAZZA SANTA CATERINA, VIA MAZZINI, VIA QUARTO DEI MILLE, VIA DE AMICIS, PARCHEGGIO BINGO, GIARDINETTI STAZIONE. Questo quadrilatero è terra di nessuno, zona franca dove balordi, vagabondi, delinquenti e spacciatori rendono un inferno la vita dei residenti e dei commercianti costretti a subire quotidianamente aggressioni, violenze, disturbo alla quiete pubblica, richieste di danaro e minacce a chi si rifiuta di pagare , bottiglie spaccate a terra – hanno denunciato all’inizio di agosto i consiglieri comunali di Pescara Domenico Pettinari e Massimiliano Di Pillo con attivisti e cittadini – è un terrà di nessuno dove ogni giorno residenti e commercianti sono costretti a fare i conti con balordi, vagabondi, drogati, spacciatori e delinquenti che mettono in atto aggressioni, minacce, defecano e urinano davanti ai portoni, spaccano bottiglie di vetro , esercitano violenze armati di coltelli, chiedono soldi e intimoriscono chi si rifiuta di pagare, accumulano rifiuti a terra».
È solo l’ultima denuncia di una lunghissima serie, contro cui negli anni sono avvenuti attentati, minacce, tentativi di intimidazione. Questi due dei vari articoli dedicati alle denunce di Pettinari, Di Pillo e del movimento che hanno costruito e animano:
Insulti, violenze, minacce di morte, dodici mesi almeno di totale inferno. È quanto subito da una madre a Pescara, vittima delle richieste continue di denaro della figlia per droga. Un dramma familiare, un vortice di violenza sconcertante che purtroppo non è nuovo alle cronache pescaresi, abruzzesi e nazionali. A Gennaio 2022, uno dei tanti casi registrati dalla cronaca locale negli anni, sempre a Pescara era stata arrestata una 23enne. Tossicodipendente e già nota alle forze dell’ordine, accusata di tentata estorsione, lesioni personali, maltrattamenti in famiglia e maltrattamenti di animali. Entrata in casa della madre rompendo il vetro di una finestra pretendo la consegna di soldi con la minaccia di uccidere il cane. Di fronte alle resistenze della madre ha iniziato a cercare soldi per casa e a colpirla con violenza con un bastone. Con il quale ha percosso anche il cane, colpito ripetutamente anche da calci. Le urla della madre e i guaiti del cane hanno indotto una vicina a chiamare la polizia che ha così posto fine alla terribile violenza domestica. Il 2020 era finito anche con l’attentato familiare a Montesilvano sempre per pretendere soldi dalla famiglia per alimentare lo sporco mercato dei narcotrafficanti locali.
Sono passati solo due mesi dall’ultimo grave fatto di violenza avvenuto a Casalbordino. Tre anni fa, sempre nei giorni della stessa festa, un ristoratore fu picchiato nella notte tra il 10 e l’11 giugno. Il 15 agosto scorso, durante un controllo del rispetto di una misura restrittiva in un’abitazione, è stato aggredito un carabiniere in servizio, il 27 ottobre scorso un ragazzo è stato accoltellato in località Miracoli. Dopo la violazione di un Daspo urbano in una conferenza stampa in piazza Umberto I i carabinieri fecero riferimento ad una «pericolosità sociale da infrenare». Tutto denunciato e raccontato nell’archivio di questo giornale.
L’Abruzzo isola felice e la provincia di Chieti tranquilla e camomilla sono favolette che vengono propinate da decenni. La realtà, dietro l’ipocrisia piccoloborghese, ipocrita e benpensante, è ben altra. Alimentata da un ventre oscuro e violento, criminale e pre-potente che raccontiamo sin dal primo giorno.
Lo spaccio è tra le attività più diffuse e consolidate di famiglie che sono veri clan, di gruppi criminali anche mafiosi di fuori regione e autoctoni. Insieme al riciclaggio di denaro, le penetrazioni di camorra e società foggiana sono acclarate, allo sfruttamento della schiavitù sessuale, all’usura (Chieti tra le province più esposte in Italia).
Crediti fiscali e terremoto nel calcio, l’Abruzzo neanche stavolta è isola felice
Quanto riportato in questo nostro articolo del 2 luglio interessa a qualcuno? Come mai nessun riflettore, nessun clamore, nessun sensazionalismo?
Tra poco più di una settimana cadrà un altro anniversario della morte di Jois Pedone, vittima del mondo oscuro delle sette e del satanismo a cui l’Abruzzo tutto è tranne immune.
La regione delle morti archiviate come suicidi ma che lasciano tanti interrogativi
Queste altre notizie, dati sconcertanti, sconvolgenti, fatti e vicende, persone come Philippe Pomone o centinaia, migliaia, di bambini o bambine.
In Abruzzo in sei mesi non si hanno più notizie di oltre cento persone, dal 1974 sono oltre mille
Ogni mese scompare almeno un minore, tantissimi possono finire vittime di reti criminali



