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Balene Salvateci! Intervista a Maddalena Jahoda

by Redazione Web
28 Marzo 2020
in Ambiente
Reading Time: 16 mins read
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In queste ultime settimane si sente spesso dire che l'umanità uscirà dalla crisi COVID-19 cambiata. Per esempio, il nostro rapporto con l'ambiente, con la natura sarà diverso? Il periodo di quarantena ha mostrato chiaramente come, rimuovendo l'elemento di disturbo (ovvero il nostro stile di vita insostenibile), abbia prodotto effetti benefici sul fronte della lotta alla crisi climatica. Ma cosa succederà quando tutti noi torneremo alla "normalità"? Indubbiamente saremo diversi. La nostra memoria sarà segnata da questa tragica esperienza. Ma in termini di conoscenza, saremo stati in grado di acquisire gli strumenti necessari per cambiare radicalmente e in maniera repentina il nostro modo di pensare e di agire per il bene del Pianeta che condividiamo con un numero infinito di esseri viventi straordinari ed interdipendenti?

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In tempi di crisi climatica, quale ruolo svolgono i grandi Cetacei, "ingegneri ambientali"?

Forse non ce lo saremmo immaginato ai tempi dei primi slogan "Salviamo le balene", ma oggi si è scoperto che le balene forniscono un vero e proprio "servizio" all'ecosistema e addirittura possono dare un contributo nell'abbattimento della CO2, che è il principale gas che causa l'effetto serra.

Molti non sanno che il mare influisce moltissimo sul clima e più di metà dell'ossigeno che respiriamo proviene dal mare. Negli oceani infatti si nasconde una foresta; non alberi, ovviamente, ma i vegetali microscopici che costituiscono il fitoplancton, e che agiscono esattamente come le piante sulla terraferma: producono ossieno ed eliminano anidride carbonica; per  far questo hanno bisogno di luce solare, motivo per cui stanno in superficie, e di fertilizzanti.

Proprio i fertilizzanti sono l'anello debole in mare, dove spesso tendono ad andare a fondo, senza riuscire più a tornare in superficie. E qui intervengono le balene, che con le loro feci emettono una gran quantità proprio di quelle sostanze che servono: sali minerali, ferro, azoto. E loro fanno la cacca proprio là dove serve, in superficie.

Non è l'unico meccanismo: i grandi cetacei contribuiscono anche a rimescolare le acque sia in senso verticale (immergendosi) che in senso orizzontale (migrando). Inoltre, tengono "sequestrata" una gran quantità di carbonio nel loro corpo, anche da morte, se vanno a fondo.

Purtroppo molte popolazioni di grandi cetacei sono state sovrasfruttate dalla baleneria industriale, con il risultato che oggi i cetacei sono molto ridotti di numero; c'è chi ha calcolato che se fossero numerose come una volta potrebbero veramente – non dico risolvere da sole la situazione – ma  dare un contributo significativo alla lotta ai cambiamenti climatici.

Mi sono ispirata proprio a questo nel mio libro uscito di recente e che si chiama "Balene salvateci!", con il sottotitolo di "I cetacei visti da un'altra prospettiva". Dobbiamo imparare a vedere le balene (e tutta la natura) in un'altra prospettiva.

 

Quali sono i Cetacei che popolano il Mediterraneo? Quali sono i rischi ed i pericoli che mettono a repentaglio il loro benessere e la loro sopravvivenza?

 

In Mediterraneo ci sono 8 specie "regolari" di cetacei:

– balenottera comune (Balaenoptera physalus) che  può essere lunga fino a 23 m), e che è nientemeno che il secondo animale più grande che sia mai vissuto sulla Terra, subito dopo la balenottera azzurra.

– capodoglio (Physeter macrocephalus) , l'altra specie di grande cetaceo; non è propriamente una "balena" perché ha i denti come i delfini, (mentre la balenottera ha i fanoni ed è quindi un filtratore di plancton). Lungo sui 13 m in Mediterraneo.

Ci sono poi 4 diverse specie di delfini:

– la stenella striata (Stenella coeruleoalba) in molte zone, la più frequente, soprattutto in alto mare

– il tursiope (Tursiops truncatus) che è invece quello che vive più sottocosta

– il grampo (Grampus griseus), più raro, riconoscibile dal corpo tipicamente graffiato

– il delfino comune (Delphinus delphis) che un tempo era comune anche di fatto, mentre oggi è la specie più rara.

Altre due specie sono

– il globicefalo (Globicephala melas), un grosso delfinide nero dalla tipica testa tonda, che vive sopra fondali alti

– lo zifio (Ziphius cavirostris), che appartiene a una famiglia a sé e tende a trovarsi in determinate zone, abbastanza circoscritte, per cui non viene avvistato molto di frequente.

 

Purtroppo le minacce alla sopravvivenza delle balene e dei delfini oggi sono moltissime:

– inquinamento chimico, soprattutto certe sostanze che tendono ad accumularsi nei tessuti grassi, di cui i cetacei sono ben provvisti

– innquinamento da plastica e microplastiche;

– inquinamento acustico, cioè il rumore causato da imbarcazioni, da prospezioni sottomarine; i cetacei usano i suoni per comunicare e per orientarsi e i rumori interferiscono con questo. Un rischio ancora più grave è rappresentato dai LFAS (Low Frequency Active Sonar) e MFAS (Mid Frequency Active Sonar), dei potenti sonar militar capaci di uccidere interi branchi di cetacei, soprattutto gli zifii.

– Catture accidentali nelle reti, non solo le reti in uso, ma anche le "reti fantasma", cioè abbandonate che continuano a uccidere inultimente ogni animale, per decenni.

– Perdita di habitat, perdita di risorse; in altre parole la sovra-pesca dell'uomo ha "svuotato" intere zone e le popolazioni di cetacei letteralmente non trovano più da mangiare.

– Collisioni con imbarcazioni, soprattutto quelle super-veloci; questo riguarda soprattutto le balenottere e i capodogli.

– Cambiamenti climatici: la reazione degli animali al riscaldamento è di spostarsi più a nord (nel nostro emisfero), ma il Mediterraneo è un mare chiuso, il che fa pensare che le nostre popolazioni saranno forse le prime a risentire dei cambiamenti climatici.

Ovviamente tutto questo non riguarda solo il Mediterraneo, ma un po' tutti gli oceani. Però il Mediterrano ha qualche (triste) primato: il traffico navale è tra i più intensi al mondo. Ed è un mare che si sta riscaldando più velocemente degli altri.

 

Cosa rappresentano le "Code nel buio" che hai dipinto?

 

 

 

Sono 50 code di capodoglio, e rappresentano 50 individui che vivono nell'area di studio dell'Istituto Tethys,  (di cui faccio parte), precisamente nella zona del Santuario Pelagos (mar Ligure e di Corsica).

Bisogna sapere che una delle tecniche più usate nello studio dei cetacei è la cosiddetta foto-identificazione; nei capodogli il profilo della coda è diverso in ogni individuo, come un'impronta digitale. Questo permette di riconoscere un certo animale ad ogni incontro e anche di stimare quanti animali vivono stabilmente in una certa zona. Così infatti è stato stimato il numero 50.

Dipingendo le code dei 50 capodogli più avvistati ho usato i profili reali, tratti dalle foto, e ho fatto sì che ogni quadro fosse dipinto in maniera leggermente diversa dagli altri. Il risultato è un'installazione, che verrà esposta in diversi posti appena sarà di nuovo possibile, con cui vorrei far capire che ogni individuo di questi capodogli è unico e prezioso: se uno viene a mancare, l'insieme non è più lo stesso.

Si chiama "code nel buio" un po' in omaggio al fatto che i capodogli compiono immersioni in acque profondissime (fino a 2000 m), dove il buio è totale, ma anche perché purtroppo il loro futuro appare cupo e pieno di pericoli.

E poi, tra le code, sono riassunte alcune delle storie dei capodogli – alcuni ci hanno sorpreso compiendo grandi viaggi, altri compaiono sempre assieme agli stessi "amici" – insomma, possono raccontarci storie davvero affascinanti…

 

Lo scorso dicembre abbiamo assistito ad un evento straordinario. Un piccolo gruppo di orche è entrato ed ha stazionato nel porto di Genova. E' un evento normale? Cosa le ha portate nelle acque della nostra penisola? Quale è stata la loro sorte?

 

 

E' una storia davvero triste, che assieme ai miei colleghi della Liguria ho seguito "in diretta" quest'inverno. Un gruppo (pod) di orche, composta da un maschio, tre femmine (o forse maschi giovani, non sappiamo) e un piccolo, era entrato in Mediterraneo. È una cosa insolita perché nei nostri mari non c'è una popolazione di orche, ma capita di tanto in tanto di avvistarne qualcuna anche nelle nostre acque.

Questo gruppo si era fermato nel posto meno probabile: nel porto commerciale di Genova Prà. E qualcosa non andava, era un comportamento strano. Il piccolo, che doveva avere meno di un anno, appariva magro. E mentre ancora ci interrogavamo se poteva essere normale, e se le orche stessero mangiando o meno, arrivò un video terribile: il cucciolo era morto, ma lo strazio non era finito: la mamma continuò a portare con sé il piccolo esanime, sorreggendolo col rostro e cercando in tutti i modi di farlo emergere alla superficie per respirare. Lo porterà in giro così, per quattro lunghi giorni come se non sapesse farsene una ragione.

Poteva quindi essere il piccolo malato il motivo per cui il gruppetto se ne restava così sotto costa? A quel punto sperammo che le orche, rimaste in quattro, avrebbero ripreso il largo.

Oltretutto, nelle nuove foto una delle orche adulte, a sua volta, sembrava troppo magra, e con la pelle in cattive condizioni. La femmina magra non era la mamma del piccolo, ma una delle altre due. Voleva dire che non mangiavano e stavano lentamente deperendo?

Nel frattempo si era scoperto da dove venivano le orche, dalla lontana Islanda. Avevano quindi compiuto un viaggio record di oltre 8000 km.

Il 21 dicembre si erano mosse con maggior decisione, e comparvero sotto il faro di Portofino, e dopo, a Porto Venere. Poi più nulla per una settimana, fino a quando un pescatore sportivo le riprese all'imboccatura dello Stretto di Messina. A quel punto erano in tre; una sembrava mancasse.

Le orche spariranno di nuovo per diverse settimane; speravamo che avessero davvero ripreso la strada di casa, ma infine ricomparirà il maschio, da solo, di fronte alle coste del Libano e poi di Israele. Peggio ancora un'altra notizia: in Libano viene ritrovata la carcassa di una femmina; impossibile stabilire con certezza di quale individuo si trattasse in base alle foto perché il corpo era ormai troppo decomposto, ma tutto lascia pensare che fosse una delle femmine del gruppo.

Il maschio, chiamato "Riptide" dai ricercatori dell'Islanda, era rimasto solo e in più ora anche lui appariva magro ed emaciato. Da allora più nessuna segnalazione, forse perchè il mondo ha avuto altro a cui pensare con l'arrivo del coronavirus.

Purtroppo il Mediterraneo si è rivelato una trappola mortale per questi cetacei che sembrerebbero davvero essere morti di fame. Le orche infatti possono avere abitudini alimentari molto diverse; certe sono molto adattabili, altre sono estremamente specializzate e fanno fatica a passare a prede diverse da quelle a cui sono abituate. Forse è stato questo lo sfortunatissimo caso e nonostante un interesse mediatico enorme, purtroppo nessuno era in grado di intervenire e abbiamo solo potuto assistere a questo lento straziante declino. Una sensazione di frustrazione e di impotenza!

 

Quali caratteristiche hanno i comune gli esseri umani ed i cetacei?

 

Delfini: Joan Gonzalvo/Ionian Dolphin Project/Istituto Tethys

 

Più di quelle che a prima vista possiamo pensare. Intanto dal punto di vista biologico, anche se possono sembrare pesci, sono qualcosa di molto diverso, sono mammiferi come noi. Questo vuol dire che hanno sangue "caldo", respirano aria e partoriscono e allattano i loro piccoli.

Ma di recente stiamo scoprendo anche quelli che potremmo definire il loro “valori morali”; le orche restano sempre con la famiglia per tutta la vita; nei capodogli le femmine collaborano nell’accudire i piccoli a turno (cioè fanno da baby sitter), la morte di un congiunto è un avvenimento che sconvolge – e il "lutto" della mamma orca che ha perso il piccolo a Genova non è l'unico caso.

Quanto i cetacei siano simili a noi è uno dei punti che ho voluto mettere in rilievo nel libro "Balene salvateci!" alternando la divulgazione scientifca più classica allo storytelling con le vicende di delfini balene orche e capodogli. E qua e là, facendo "parlare" anche loro, immaginando come potrebbero vedere la nostra “strana” specie, quegli umani che non si limitano a stare sulla terraferma ma sempre più spesso invadono gli oceani.

 

Come possiamo educare i bambini al rispetto ed all'amore  per i mari, per gli oceani e per tutte le creature viventi che appartengono alle acque del pianeta che condividiamo?

 

Foto Istituto Tethys

Globicefali: Sabina Airoldi/Cetacean Sanctuary Research/Istituto Tethys

 

Raccontando, spiegando, facendo loro capire quel mondo infinito e affascinante che si trova sotto i mari e che la maggior parte delle persone non hanno occasione di vedere. Il mio libro vuol essere molto divulgativo, adattissimo anche ai  bambini. E siccome oggi un libro può sembrare, soprattutto ai ragazzi nativi digitali, qualcosa di “antico” e un po' statico, ho pensato di introdurre anche un po' di multimedialità. Mi spiego meglio: sul mio sito www.maddalenajahoda.it  ho delle pagine dedicate a "Balene salvateci!" dove posto man mano gli aggiornamenti alle vicende che racconto nel libro (es le orche), oppure dei link dove vedere quello che uno ha solo letto (es le megattere che pescano facendo reti di bolle, che descrivo, ma che si può vedere on line). In questo modo spero di renderlo più vivo e dinamico e accattivante anche per i giovani.

 

In che cosa consiste il progetto Digital Whales?

Il sottotitolo è "Balene a Milano"; abbiamo pensato di "portare" virtualmente i cetacei in città, dal momento che quelli reali non sono poi così lontani, e precisamente di portarne sei specie diverse con l'aiuto della realtà aumentata. Il progetto è realizzato dall'Istituto Tethys e dalla cooperativa Verdeacqua, grazie a un contributo della Fondazione Cariplo, ed è visibile al pubblico tra le vasche dell'Acquario Civico di Milano. Consiste in tre parti principali: una serie di QR code con delle "pillole" di informazioni sui cetacei, sull'ambiente, sulla natura, sul nostro futuro, “raccontate” con brevi ma incisivi e divertenti video realizzati appositamente. Poi c'è il cetaceo in realtà aumentata, sempre visibile attraverso lo smartphone, in dimensioni reali. Il primo è stato il capodoglio, poi la balenottera, poi la stenella (e altri delfini); seguiranno il globicefalo (appena riaprirà l'acquario) e poi la megattera e l'orca. E.. ci si può fare una foto con loro! Le specie che abbiamo scelto sono: capodoglio, balenottera comune, stenella e altri delfini, globicefalo, megattera e orca.

Inoltre ci sono dei materiali di approfondimento scaricabili in loco. Digital whales è iniziato a settembre 2019 e andrà avanti per un anno (o di più, se la chiusura dovesse protrarsi a causa del coronavirus); ogni due mesi cambiano i contenuti e la specie virtuale emblematica, ma è possibile anche vedere gli arretrati, ma solo venendo in Acquario con il proprio smartphone.

 

Uno dei ricordi più significativi del tuo lavoro sul campo?

Ho avuto la fortuna di incontrare ogni specie di cetacei in Mediterraneo e nel mondo, ed è sempre un'emozione fortissima, dalle orche del Canada, alle megattere in Antartide, ai capodogli delle Azzorre. Ma l'incontro che è rimasto nel mio cuore più di tutti gli altri, è con le balene franche della Patagonia. In Pensiola Valdes viene vicino alle imbarcazioni, ti guarda. E’ lenta, tranquilla, confidente; e questo mi ricorda che è stata la prima specie sterminata dai balenieri, per cui era una preda fin troppo facile. Ancora oggi, dopo che la caccia è cessata nella amggior parte del mondo (ma non dappertutto!!) le popolazioni non si sono riprese. Visto da vicino il suo "muso" è il più strano del mondo animale. Qualcuno dirà che è brutto: io lo trovo bellissimo.

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2020-03-28 12:10:42

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