Nella miseria dei ghetti, la cui ubicazione si incardina sempre nei distretti a forte vocazione agricola, il quotidiano degli immigrati è scandito da immutata cadenza nonostante la spada di Damocle rappresentata dal Covid19: le richieste di restare a casa o di lavarsi le mani, rivolte alla comunità nazionale da tutti gli organi istituzionali e d’informazione, per loro sembrano chimere. Sopravvivono all’interno di catapecchie spesso prive di acqua e servizi igienici.
A dar loro voce la Flai-Cgil insieme a tante altre associazioni e personalità di spicco del mondo accademico e culturale (Libera e Gruppo Abele, Oxfam Italia, Magistratura Democratica, A Buon Diritto, Medici per i diritti umani, DaSud, Terrelibere, Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, Csc Nuvola Rossa, Co.S.Mi. (comitato Solidarietà Migranti), Sanità di Frontiera, Intersos, ASGI, Associazione Idorenin, ARCI, Actionaid, Forum delle Disuguaglianze, Associazione Masslo, Centro Studi Mobilità-Migrazioni Internazionali MoMi- Università L’Orientale, Napoli; ACLI Terra Nazionale; Mimmo Lucano, Paolo Naso – Coordinatore di Mediterranean Hope, programma Rifugiati e Migranti della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia– FCEI, Maurizio Masotti, curatore “Tracce Migranti- Nuovi Paesaggi Umani”, Donato Di Sanzo, Università di Salerno, Marco Omizzolo).
Tutti insieme hanno sottoscritto e lanciato un appello al Governo affinché si agisca subito «per tutelare la salute dei migranti costretti negli insediamenti rurali informali e nei ghetti».
Solo qualche giorno addietro, domenica 15 marzo, in Molise la guardia di finanza di Termoli, in provincia di Campobasso, ha intercettato e denunciato un veicolo con a bordo sei stranieri, un romeno e cinque marocchini. Le forze dell’ordine li hanno “pizzicati” ai confini con la Puglia in località Nuova Cliternia dove hanno sede numerosi poderi agricoli, e dove i sei risiedono in abitazioni di fortuna. I sei migranti, tre dei quali sono risultati sprovvisti di permesso di soggiorno e un quarto era già stato raggiunto da un provvedimento di espulsione, si stavano recando a lavorare a Poggio Imperiale, in provincia di Foggia. In questo periodo si sta terminando la raccolta dei finocchi. Nella capitanata, con ogni probabilità, avrebbero condiviso la loro giornata lavorativa insieme ai colleghi provenienti dal vicino ghetto di Orta Nova oppure di qualche altro insediamento abitativo di fortuna. Invece la loro mattinata si è conclusa in caserma, dove gli uomini in divisa hanno loro contestato la violazione dell’articolo 650 del codice penale, ossia inosservanza del provvedimento di autorità. Ossia non aver rispettato il “restare a casa”.
Tuttavia, però, con molta probabilità il pericolo più grande è stato scongiurato: averli bloccati “sull’uscio di casa” prima che andassero al lavoro, dove non avrebbero rispettato nessuna norma di sicurezza/protezione dal coronavirus con il rischio, quindi, di potersi infettare e e infettare a loro volta.
I sottoscrittori dell’appello ritengono che: «i Prefetti, alla luce degli ulteriori poteri loro conferiti dal DCPM del 09 marzo, possano assumere autonomamente iniziative o adottare disposizioni volte alla messa in sicurezza dei migranti e richiedenti asilo presenti sul territorio, mediante l’allestimento e/o la requisizione di immobili a fini di sistemazione alloggiativa. Le risorse necessarie per gli eventuali interventi di rifacimento e adeguamento degli immobili requisiti potrebbero essere attinte dalla dotazione del Piano Triennale contro lo sfruttamento e il caporalato».
Il Covid19, oltre alla conclamata emergenza sanitaria, sta creando molti problemi al mondo economico e lavorativo. Così anche il settore agricolo che già morso dalla crisi, oggi patisce anche la carenza di lavoratori agricoli in alcune aree del Paese in ragione dell’interruzione dei flussi di manodopera dai Paesi dell’Est Europa. A causa del coronavirus, infatti, si è verificato un rientro massivo da parte di lavoratori agricoli immigrati da Romania e Bulgaria mentre gli arrivi previsti dalla Polonia si sono azzerati.
«I lavoratori extracomunitari che si trovano in condizione di irregolarità possono tamponare questo vuoto, ma occorre garantire loro i diritti fondamentali - scrivono sindacato e associazioni -. Molti stranieri si trovano oggi in condizioni di irregolarità acuite dai decreti sicurezza e non vanno in cerca di lavoro per timore di essere fermate ai posti di blocco». Diventa, quindi, fondamentale «una regolarizzazione per far emergere chi è costretto a vivere e lavorare in condizioni di irregolarità. Sarebbe una misura di equità e di salvaguardia dell’interesse nazionale, in questa difficile fase in cui un eventuale pregiudizio all’agricoltura, nella sua funzione tutelare della sicurezza alimentare della comunità nazionale, sarebbe drammaticamente deleterio».
Questo però non dev’essere uno strumento per rifornire «il settore primario di lavoro a buon mercato in un momento di shock economico. È necessario inoltre rafforzare le misure di contrasto al lavoro nero e favorire l’assunzione di chi sta lavorando in maniera irregolare».
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2020-03-28 15:58:44
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