Cambiamento è una parola che mi è sempre piaciuta, suscita in me una curiosità e una voglia di scoprire cosa c’è al di là…di cosa? Ma di qualsiasi cosa, perché il cambiamento può investire ogni ambito della dimensione umana: la sfera personale, quella affettiva, l’ambito lavorativo, le coordinate geografiche nelle quali si vive, insomma ogni aspetto della nostra vita può essere interessato da un cambiamento, da una mutazione. Guardiamo per esempio lo stravolgente cambiamento al quale siamo stati costretti per evitare il contagio in questa pandemia: orari, abitudini, relazioni, l’intera quotidianità modificata. Questo solo per dare un esempio di strettissima attualità.
Il cambiamento da più parti viene definito come una occasione di crescita, di miglioramento, una spinta verso una situazione di maggior vantaggio. Naturalmente non è sempre. così, soprattutto quando il cambiamento lo subiamo. Pensiamo per esempio alla perdita del lavoro o, ancora peggio, a una malattia o alla morte di una persona cara. Ci sono cambiamenti tanto irreversibili quanto difficili da elaborare e accettare.
Ma il cambiamento sul quale vorrei soffermarmi oggi è di altra natura e investe una sfera del vivere collettivo che è rappresentata dalla fruizione dei diritti, giuridicamente intesi.
E per verticalizzare ancora di più voglio riferirmi al cambiamento introdotto nel nostro ordinamento giuridico con la Legge 76 del 20 maggio 2016, detta anche Legge Cirinnà, dal nome della Senatrice promotrice e prima firmataria dell’atto normativo. Meglio nota anche come legge sulle unioni civili, il provvedimento ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico l’istituto delle unioni civili fra persone dello stesso sesso e la regolamentazione delle convivenze o unioni di fatto.
La battaglia per le unioni civili era iniziata già negli anni ottanta, con numerose proposte di legge presentate in parlamento anche su proposta e advocacy di organizzazioni come l’Arcigay da sempre impegnata nella tutela dei diritti delle persone LGBT. In sostanza tutte le proposte contenevano indicazioni giuridiche finalizzate a parificare i diritti delle persone LGBT, nonché dei conviventi non sposati, con quelli delle coppie eterosessuali sposate.
Sebbene si tratti di due istituti giuridici differenti, dall’unione civile discendono una serie di diritti e di doveri che la equiparano di fatto la matrimonio, anche in ambito di diritto successorio.
La proposta della senatrice Cirinnà conteneva un ulteriore passaggio che avrebbe dovuto consentire un maggiore allargamento dei diritti delle persone omosessuali relativamente alla possibilità di adozione del figlio naturale del partner, cosiddetta “stepchild adoption”. Questo aspetto venne stralciato per la dura opposizione dell’ala conservatrice e cattolica della maggioranza parlamentare, rendendo di fatto monca una legge che poteva davvero rappresentare un salto di qualità nel riconoscimento di pari dignità giuridica alle coppie omosessuali e a quelle conviventi.
Nonostante ciò, la legge Cirinnà ha davvero rappresentato un primo passo importante verso la conquista di una libertà fino ad allora negata alle persone omosessuali, con tutto il fardello di pregiudizi e discriminazioni cui ancora sono soggette.
L’applicazione della legge, soprattutto nell’immediatezza della sua promulgazione ed entrata in vigore, è stata pesantemente osteggiata soprattutto da sindaci di aree politiche avversarie dell’allora maggioranza al governo, quindi soprattutto sindaci leghisti e dei partiti della destra italiana che si sono sempre fatti ipocritamente paladini della cosiddetta famiglia tradizionale.
Ma cosa si intende per famiglia tradizionale? L’unica cosa che di tradizionale deve esserci dentro la famiglia è l’amore e questo è un sentimento che non conosce discriminazioni e distinzioni, come ormai una società meno ipocrita ci sta dimostrando.
Tornando al cambiamento quindi, la legge sulle unioni civili ha permesso a molte coppie omosessuali di raggiungere un traguardo a lungo sognato, regolarizzare la propria convivenza con un atto che giuridicamente ne riconoscesse lo status di coppia, con tutto ciò che ne consegue in tema di diritti (come per esempio quello alla pensione di reversibilità in caso di morte di uno dei coniugi). E non è un traguardo da poco. Anche sotto il profilo più strettamente sociologico. Il riconoscimento della coppia omosessuale produce un cambiamento a livello di accettazione sociale di una condizione che da sempre è stata oggetto di pregiudizi e discriminazioni. Omosessuali considerati come persone malate, necessarie di cure che li riportassero alla naturale condizione di eterosessuali. Allora avere una legge che ne riconosce pienamente i diritti è sostegno al cambiamento dell’accettazione sociale e ancora di più del riconoscimento della pari dignità di tutti gli esseri umani, indipendentemente dall’orientamento sessuale.
In questo la legge sulle unioni civili ha rappresentato un significativo cambiamento, sebbene ancora mancante di aspetti che andrebbero affrontati e disciplinati giuridicamente.
I cambiamenti che attengono a stratificazioni sociali pluridecennali, se non addirittura secolari, sono molto difficili da far maturare, da raggiungere e far elaborare alla totalità della collettività, ma la fatica non deve scoraggiare perché ogni sforzo che va nella direzione dell’allargamento dei diritti e nel riconoscimento della pari dignità fra tutti i soggetti che compongono una collettività è sacrosanto e va sostenuto in ogni modo possibile.
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2020-05-06 12:45:58
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