La «seconda ondata» del nuovo coronavirus sta travolgendo l’Italia e l’Europa. E stanno tornando paure, smarrimento, forti provvedimenti per il contenimento, mentre alcune regioni italiane hanno già deciso o stanno per decidere il «coprifuoco» notturno. Coprifuoco, una parola che si è sempre sentita lontana, estranea alla quotidianità di un Paese come l’Italia e legata alle zone più impoverite del Pianeta e di guerra. E torna a serpeggiare la parola che si pensava fosse ormai consegnata al passato: lockdown, confinamento totale in casa con rapporti sociali quasi azzerati. Nella primavera scorsa, grazie al web e al telefono, adulti e giovani hanno cercato di tenere i rapporti e di non rimanere completamente isolati.
In queste settimane tornano ad ipotizzarsi chiusure e limitazioni di molte attività tra cui la scuola, discutendo di aperture, chiusure, orari e tanto altro. Un dibattito acceso, che attraversa le istituzioni e i grandi media, in cui tuttavia sembra essere assente quella che dovrebbe essere una componente fondamentale della comunità scolastica, la radice della sua stessa esistenza: gli studenti, particolarmente i più giovani e i bambini. Quali segni, quali traumi, quali effetti il lockdown, l’isolamento per mesi, il confinamento casalingo hanno portato sui bambini? Come la didattica potrebbe cambiare e farli vivere serenamente e umanamente quel che sta succedendo? Cosa pensano e come affrontano, nel chiuso delle mura domestiche e isolati davanti ad uno schermo? Come tante altre questioni gravi e complesse di questi mesi sono domande che pesano ma a cui, si perdoni il gioco di parole, non vien dato sostanzialmente alcun peso. Dimenticati da tutti, o quasi. Nei mesi del lockdown, e in una «ripartenza» a sprazzi che si sta bloccando, i bambini hanno visto nel web l’unica finestra sul mondo e per rimanervi in contatto. Sono le grandi opportunità ma anche le grandi insidie della modernità: non hanno mai spezzato il filo con amici e insegnanti ma molti, tanti, troppi, sono incappati anche negli orchi del web. Solo nell’ultima settimana si sono avute tre operazioni delle forze dell'ordine contro la pedopornografia online, reti di orchi criminali attivi in tantissime regioni italiane.
Un’orrenda piaga che ingabbia praticamente tutta Italia. Sulle autostrade telematiche o nel chiuso delle stesse mura domestiche: nei giorni scorsi sono stati condannati il padre e lo zio (rispettivamente a 8 anni e 8 anni e 4 mesi) di un bimbo di 8 anni di un paese vicino Galatina(Lecce), umiliato dai 3 ai 5 anni con sigarette spente o fango, escrementi e saliva cosparsi sul corpo se rifiutava di subire abusi sessuali; nei giorni scorsi è emerso l’orrore avvenuto in un’abitazione di Fondi (Latina) dove una bambina indiana di 12 anni in pieno lockdown è stata ripetutamente abusata a turno da 3 connazionali. Sono solo le ultime due rese note di innumerevoli vicende che accadono accanto ad ognuno di noi, nel cuore delle grandi metropoli o nella profonda provincia più sperduta. Ignorate, rimosse, perpetuate troppo spesso per colpa di chi fa finta di non vedere, minimizza o addirittura le considera «normali» e trascurabili.
In questi orchi incappò ormai tanti anni fa una bambina siciliana trasferitasi a Roma. Ha undici anni quando il padre Salvatore trova sul suo cellulare messaggi a sfondo sessuale e scopre che è stata vittima di abusi. Che denuncia immediatamente ed entra in contatto con l’associazione Meter di don Fortunato Di Noto. Salvatore per tredici anni sostiene l’associazione, infaticabile e generoso, sempre presente in piazza San Pietro per la «giornata dei bambini vittime della violenza, dello sfruttamento e dell’indifferenza contro la pedofilia organizzata».
Don Fortunato Di Noto ha ricordato quest’esemplare impegno, quest’attivismo totale in questi giorni. Lo ha ricordato perché Salvatore è uno degli ottantanove morti uccisi dal Sars-Cov2 lo scorso 20 ottobre. «Fratello e amico di Meter. Un meraviglioso papà che, con la sua famiglia, ha fatto di tutto per difendere sua figlia e la sua famiglia – lo ricordano don Fortunato e tutta la comunità di Meter – dai predatori di bambini. Perché i bambini non si toccano».
«Per Meter è stato un testimone – ha scritto l’associazione – per tante famiglie ferite è stato un esempio. Forte nella preghiera e nella speranza». Un impegno iniziato tredici anni quando «si è avvicinato per essere sostenuto e aiutato dal Centro ascolto Meter, in una vicenda dolorosa che ha visto coinvolta la figlia 11enne che subiva abusi sessuali (gli indagati sono stati condannati in Cassazione» e da allora per lui «la difesa dei bambini è diventata una vocazione» e già esprimeva la sua felicità perché l’anno prossimo saranno i 25 anni della giornata dedicata ai bambini vittime. «Ci mancherà la speranza che va oltre il dolore e la sofferenza. Ci mancherà la testimonianza del fatto che si può perdonare – il ricordo di Don Fortunato – Alla domanda: si deve denunciare? Lui rispondeva, i bambini non si toccano. I bambini non si toccano. Un grande dono. La forza redentiva del perdono».
Quattro anni fa Salvatore aveva rilasciato un’intensa e ricca intervista a Tv2000 in cui aveva portato la sua straordinaria testimonianza che è possibile vedere e ascoltare qui:
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2020-10-24 16:48:40
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