Abbiamo intervistato Massimo Castellana portavoce della Associazione Genitori Tarantini, una onlus costituita nel 2015. Un gruppo di cittadini che si sono associati perché preoccupati per la salute e la sicurezza di figli, nipoti e di tutti i bambini che, a causa della giovane età, sono maggiormenti esposti ai danni delle varie fonti inquinanti.
L’associazione è impegnata nella sensibilizzazione della opinione pubblica e delle istituzioni presso le quali, ad ogni livello, porta da anni le proprie istanze nella speranza di ottenere attenzione da parte dei rappresentanti della politica per giungere finalmente ad una soluzione di un dramma, quello ambientale, che sta devastando Taranto lasciando dietro di sé una scia interminabile di malati e di vittime
Signor Castellana, cosa state facendo come Associazione?
«Chiediamo semplicemente l’attuazione della Costituzione Italiana. Chiediamo l’applicazione e il rispetto dei diritti sanciti nella Carta Costituzionale più bella del mondo,quella scritta grazie al sangue di centomila giovani caduti tra le montagne della resistenza e che i Padri costituenti hanno redatto in termini molto chiari, precisi e sempre più attuali.»
Dove è disattesa l’applicazione della Costituzione?
«Nel suo articolo più importante ed unico nel suo genere: l’articolo 32 che parla della tutela della salute come un dirito fondamentale diritto dell’individuo. Solo per il diritto alla salute viene utilizzato l’aggettivo fondamentale ed è bastato un solo articolo per definire un diritto unico e imprescindibile. A Taranto questo diritto è palesemente violato: da anni, ormai, i dati sono allarmanti e le morti per inquinamento sono numerosissimi nella nostra città. Tante, troppe sono le morti che interessano la fascia pediatrica.»
Qual è la situazione sanitaria?
«Lo studio Sentieri, studio epidemiologico nazionale dei territori esposti a rischio da inquinamento, indica con riferimento al nostro territorio una mortalità infantile che supera del 21% la media regionale, un +54% di incidenza di tumori in bambini tra 0 e 14 anni, un +20% di eccesso di mortalità nel primi anni di vita e una gravissima incidenza di malattie già durante la gestazione.
Viviamo una situazione disperata: genitori che piangono i propri figli morti a pochi anni di vita, bambini che non hanno frequentato neanche il primo anno di scuola e che mai più potrannio farlo, o costretti a terapie dolorosissome che rubano l'esistenza a queste vittime innocenti. Qui a Taranto i nostri bambini non vivono il tempo del gioco, che dovrebbe essere il loro tempo, ma rimane loro solo il tempo della malattia, della sofferenza e della morte. I bambini sono i soggetti più esposti ai danni provocati da diossine, polveri sottili e ultrasottili che respirano per anni nei tanti siti interessati da fonti inquinanti sparsi su tutto il territorio nazionale.»
Cosa può dirci sulla situazione dell’Ilva in questo momento?
«E’ una situazione fallimentare. Sta registrando perdite per 100 milioni di euro al mese con un livello di produzione oramai ridotto al minimo, ma con lo stesso devastante impatto ambientale. Si continua a parlare di produzioni strategiche in un territorio in cui l’occupazione non è più lavoro, ma schiavitù. Il contratto tra lo stato e Arcelor Mittal è stato dibattuto punto per punto per poi essere disatteso da parte della azienda e lo Stato, invece di imporsi per il rispetto delle condizioni contrattuali, ha assecondato la proprietà in tutto sventolando la bandiera del lavoro e della tutela occupazionale.
Quando ci confrontiamo con le istituzioni, tutte e a ogni livello, la risposta è sempre la stessa: i tarantini non devono essere obbligati a scegliere fre lavoro e salute. Purtroppo questa frase non ha mai trovato attuazione, perchè per noi hanno sempre scelto da Roma nelle stanze della politica. A Taranto i cittadini sceglierebbero senza dubbio la salute su tutto il resto e solo a noi andrebbe lasciata la scelta.»
A chi vi siete rivolti in questi anni?
«A tutti. Ai vari governi, al Presidente della Repubblica, ai rappresentanti delle istituzioni di ogni grado e colore politico. Ad agosto abbiamo avuto un incontro con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte: abbiamo consegnato nelle sue mani una lettera che stiamo facendo sottoscrivere ai cittadini italiani e che ogni settimana continuiamo ad inviargli con l’aggiornamento delle sottoscrizioni attualmente arrivate a 6200, con l’adesione di 65 associazioni attive su tutto il territorio nazionale. Anche il Presidente Conte purtroppo continua a far passare attraverso i media il messaggio che a scegliere il lavoro piuttosto che la salute, siano i tarantini, ma non è assolutamente così. La nostra scelta è chiara: la tutela della salute prima di tutto e per questo ci stiamo battendo.»
Che tipo di risposta avete da parte delle istituzioni?
«Nessuna. Di fronte alla drammatica situazione di Taranto occorre attivarsi per la chiusura del sito e provvedere alla sua bonifica; questo vale per l’intero territorio nazionale, non è più rinviabile la chiusura di tutto ciò che è fonte inquinante.
La politica, con tutti i suoi esponenti nessuno escluso, continua a parlare di tutela della produzione, di investimenti per Taranto, della necessità del mantenimento del sito industriale. A Taranto in questi anni si è attuato un "razzismo ambientale”: nel 2005 a Genova ,con un accordo di programma, la produzione a caldo dell’Ilva è stata dismessa perché definita incompatibile con la salute dei lavoratori e dei cittadini, ma paradossalmente è stata trasferita a Taranto.
Nel 2012 la procura di Taranto ha predisposto il sequestro della produzione a caldo: da quel momento il governo ha iniziato a predisporre ben dodici decreti legge che hanno tutelato la produzione, il profitto privato e non la salute.»
Le istituzioni locali sono più sensibili alla situazione della regione e di Taranto in particolare?
«Il Presidente della regione Michele Emiliano lo abbiamo incontrato nel 2016, ma dopo grandi proclami alla presenza dei responsabili regionali alla sanità pugliese non è successo nulla. In quella occasione abbiamo portato una fotografia del Mare Piccolo di Taranto spiegando cosa si potrebbe fare in uno dei luoghi più belli del paese per sviluppare una nuova economia con importanti risvolti occupazionali, garantendo a tutti un lavoro pulito e che non faccia ammalare.»
Il sindaco di Taranto, che ricordiamo essere, per legge, il responsabile della salute dei cittadini, cosa sta facendo per il territorio che amministra?
«In merito a questo voglio raccontare una situazione che ha del paradossale: il sindaco Rinaldo Melucci aveva emesso alcuni mesi fa un’ordinanza che prevedeva la chiusura delle scuole nelle giornate di vento forte. Sono infatti tante le polveri sollevate sulla città nelle giornate di tramontana e siamo stati costretti a lasciare i bambini a casa per non far respirare loro i veleni dell’Ilva (e delle tante industrie che avvelenano la città) trasportati dal vento in concentrazione ancora maggiore. Tuttavia non è stato possibile proseguire e far perdere ai ragazzi tanti giorni di scuola e così una nuova ordinanza (tuttora valida) ha imposto di tenere chiuse le finestre della scuola in caso di vento forte. Poi è arrivata l’emergenza Covid che prevede la necessità di arieggiare gli ambienti, due cose in evidente contrasto tra loro; quindi al momento restiamo in attesa di nuove disposizioni. Il sindaco, per il potere che gli è conferito e per i dati in suo possesso, potrebbe emettere un’ordinanza urgente di fermo degli impianti: solo questo andrebbe fatto perché se si continua nella produzione nulla sarà risolto.»
La salute dei lavoratori, dei cittadini, dei vostri bambini è meno importante del profitto e dell’economia. Come si spiega tutto questo?
«La salute viene prima di tutto in quanto diritto fondamentale. Lo Stato deve porre in essere con tutte le sue forze ogni condizione necessaria per non far ammalare lavoratori e cittadini: se questo accade, nonostante le precauzioni del caso, deve garantire a tutti le cure necessarie. Per la pandemia che stiamo vivendo il ministro della Salute Roberto Speranza parla di diritto alla salute che va tutelato in quanto diritto fondamentale e non rinunciabile, quando invece parla di Taranto dice che va tutelata la produzione: tutto questo non è più accettabile. Ancora una volta con la scusa del lavoro e della sopravvivenza economica si stanno calpestando la salute e la vita.»
Cosa farete se le istituzioni continueranno a restare sorde di fronte alle vostre rimostranze?
«Noi andremo avanti sempre. Abbiamo rapporti con molte associazioni, andiamo nelle scuole a parlare delle bellezze di Taranto e delle sue tante criticità, parliamo alle persone dei nostri bambini morti o costretti alla chemioterapia. Una battaglia per Taranto e per tutti quei territori nel paese avvelenati da fonti inquinanti.»
Si sente tanto dolore nella sua voce, un racconto che a tratti si fa straziante. Posso chiederle se anche lei ha visto morire un figlio come tante famiglie?
«No, ma ho perso un padre di 43 anni e un fratello di 51; per questo io mi considero un tarantino fortunato perchè non ho perso un figlio come tantissimi miei concittadini. Pochi giorni fa mi sono recato in ospedale con un giocattolo a far visita al bimbo di un amico: ma ho trovato solamente un lettino vuoto e tanti regali che non saranno mai più scartati. La nostra associazione si chiama Genitori Tarantini, ma molti di noi non hanno figli perché “ogni uomo è padre di ogni bambino, così come ogni bambino è figlio di ogni uomo”, questa è la filosofia che ci muove.»
L’Italia, due anni fa, è stata condannata dalla Corte dei Diritti dell’Uomo per non aver tutelato la vita e la salute dei tarantini ma nulla è stato fatto. Di questi giorni è la sentenza della CEDU (Corte Europea per i Diritti dell'uomo) che ancora una volta condanna l’Italia per inquinamento da pm10. Essendo condanne che prevedono un'ammenda in denaro, lo Stato italiano pagherà con i soldi dei contribuenti la multa che le è stata inflitta e tutto resterà assolutamente come prima.
La proprietà privata, il ivello occupazionale, il ricatto del licenziamento e della chiusura dell'Ilva, stanno creando una economia fatta di profitti sporchi del sangue versato dalle tantissime vittime che Taranto piange da ormai troppi anni.
Un grido disperato si innalza da Taranto, una città meravigliosa ma avvelenata, che potrebbe vivere delle infinite bellezze naturali del suo territorio; di un mare dove sono tornati a vivere i delfini; della storia meravigliosa che ne racconta origini straordinarie e affascinanti. Ma la politica resta sorda a questo grido.
Cambiano i governi, tornano le promesse, ma poi l'alternativa tra sopravvivenza economica e tutela della salute resta quella scelta disumana che le istituzioni vorrebbero far ricadere sui cittadini. Taranto ha già fatto la propria scelta, senza alcuna titubanza: ha scelto la salute e il benessere perchè il resto è solo sofferenza e violazione dei diritti sanciti dalla Costituzione.
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.
Articolo 32 Carta Costituzionale
Il testo della lettera.
Egregio Presidente Giuseppe Conte,
adesso dovrebbe bastare, non crede?
In piena pandemia abbiamo finalmente potuto ascoltare dalla sua viva voce che la salute della popolazione è il primo diritto da tutelare. Come lei sa bene, le parole hanno un peso, un valore, un significato. Speravamo, in cuor nostro, che la sua dichiarazione valesse per tutti, ma così non è stato. Una delle poche, pochissime aziende che ha continuato a funzionare senza interruzioni è stata la ArcelorMittal, a Taranto. Ancora una volta, Taranto è stata trattata a livello di possedimento e non di parte della Repubblica italiana; ferita e stuprata come una donna succube di folli comportamenti che qualche uomo (!) potrebbe far passare come diritto.
Quando si parla di produzione di acciaio, tutti gli schieramenti politici si trovano stranamente d’accordo. E’ su questo argomento che si arenano tutti i dissapori, si appianano le differenze, si pongono pietre tombali sugli ideali, sia a destra che a sinistra (e lei è stato presidente di un consiglio dei ministri di centro-destra ed ora lo è di centro-sinistra).
Perseverare è diabolico, dottor Conte, anche quando si parla di una fantomatica ‘produzione strategica per la nazione’; anche quando quella ‘produzione’ continua ad essere una perdita economica che porterà alla catastrofe nazionale; soprattutto quando quella ‘produzione’ regala morte, malattia, disperazione.
Purtroppo, è convinzione comune, tra i politici, che solo grazie all’industria pesante una nazione può ottenere dal resto del mondo rispetto ed attenzione. Bisogna essere tra i paesi più industrializzati, se si vuole partecipare ad incontri a numero ristretto. Non interessa quale danno economico questa idea produrrà, ci si butta a capofitto nell’avventura che già si sa perdente, perché perdente è ormai da decenni, incorniciandola in definizioni atte a toccare lo spirito dei connazionali: ‘produzione strategica per l’Italia’.
Non importa se le materie prime si devono acquistare da altre nazioni, arricchendo queste a scapito della propria; non importa se la ‘produzione strategica’ viene affidata ad una multinazionale franco-indiana, colpevole in tutto il mondo di nefandezze a danno dell’ambiente e della salute delle persone. Forse importa ancora meno prostrarsi davanti alla suddetta multinazionale, accettando di rimettere in discussione un contratto già discusso e firmato dalle parti, pur di continuare questa ‘produzione strategica nazionale’.
E quando proprio non ci si può piegare di più, ecco arrivare una falsa ribellione e la dichiarazione che lo Stato interverrà personalmente attraverso Invitalia, in un rigurgito di nazionalismo che non tiene conto dei danni all’ambiente e alla salute degli italiani di Taranto e provincia. Con l’arroganza di credere che il governo avrà la strada spianata, senza neppure considerare un eventuale parere sfavorevole della Corte dei Conti. E con la presunzione di chi può infischiarsene della sentenza di condanna della CEDU ed evitare di rispondere al Comitato dei ministri del Consiglio europeo. Senza dimenticare che lo Stato italiano è stato nuovamente chiamato a rispondere, davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, per la mancata tutela dei diritti, tuttora violati, alla vita e alla salute di noi tarantini. A questo non potrà sottrarsi, immaginiamo.
Quanto, fino ad oggi, lo Stato italiano ha pagato in stipendi e benefit i commissari governativi? Quanti miliardi di euro ha messo in campo per l’attuazione dell’A.I.A. (più volte scaduta e più volte prorogata, al pari di una musica con finale ad libitum) e quali risultati sono stati ottenuti, se non qualcosa molto vicino allo zero?
Il fatto è che, quando si parla di acciaieria con produzione a caldo, si deve mediare tra salute e lavoro; si arriva addirittura a dichiarare che ‘i tarantini devono scegliere tra salute e lavoro’, quando sappiamo benissimo tutti che mai è stata concessa tale scelta. Quando si parla di produzione a caldo (quella altamente inquinante), si sceglie di chiuderla a Genova e a Trieste per tutelare la salute di lavoratori e cittadini. A Taranto, quindi, non ci sono lavoratori né ci sono cittadini.
Questo governo, al pari dei precedenti dell’ultimo decennio, non ha tenuto e non tiene in considerazione i dettami costituzionali che parlano di lavoro da svolgere in salute, in sicurezza, in un ambiente salubre e con dignità, retrocedendo i lavoratori dell’acciaieria tarantina al ruolo di schiavi.
In 8 anni, da un sequestro senza facoltà d'uso degli impianti dell'area a caldo, prima con la gestione statale e dopo con quella del più grande produttore mondiale di acciaio, il governo non è riuscito a risolvere né i gravissimi problemi d'inquinamento né quelli occupazionali, mentre la fabbrica continua a perdere fino a oltre 100 milioni al mese.
E' il momento di cambiare strada, di chiudere la vecchia fabbrica della morte e di riconoscere a Taranto un giusto risarcimento, a partire dall’istituzione di una no-tax area e un piano di bonifica e riconversione economica studiato da professionisti di riconosciuto talento, avvalendosi di forza lavoro principalmente tarantina.
Restiamo in attesa di una risposta scritta così come da Lei promesso e dichiarato durante l’incontro tenutosi con una nostra delegazione nella città di Ceglie Messapica il 9 agosto u.s..
Adesso dovrebbe bastare, non crede?
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2020-11-12 19:25:09
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