Maxi blitz a Roma: 11 arresti tra prestanomi e favoreggiatori del boss palermitano Francesco Paolo Maniscalco, arrestato nei mesi scorsi dalla direzione distrettuale antimafia di Palermo nell’ambito di un’indagine sulle scommesse on line, sequestrato un bar ristorante a Trastevere, contestati i reati di trasferimento fraudolento di valori, bancarotta fraudolenta e auto riciclaggio. A Maniscalco cinque anni erano stati sequestrati beni per 15 milioni di euro tra la Sicilia e la Capitale. Ma i suoi «affari» non si sarebbero fermati grazie a una rete di complici e «amici». Ed era tra i sette uomini che la notte del 13 agosto 1991 portarono a termine un colpo da 10 milioni di euro a Palermo, al Monte dei Pegni. Questa in sintesi la notizia dell'operazione antimafia i cui dettagli sono riportati nell'articolo di oggi del nostro Roberto Greco.
Nel riportarla diverse fonti fanno riferimento ad una forte vicinanza tra Maniscalco e i Riina, soprattutto il terzogenito di Totò u curtu Giuseppe Salvatore detto Salvo. Dalle indagini che portarono all’arresto di Maniscalco nel 2002 emerse che era l’anello di congiunzione tra Salvo Riina e numerosi altri mafiosi palermitani.
«Nel 2000 andava a pranzo con il figlio di Totò Riina, Giuseppe Salvatore, per discutere di affari» (Salvo Palazzolo, Repubblica Palermo)
«Roma è Cosa Nostra, gli affari dell'uomo di fiducia di Riina jr tra Testaccio e Trastevere» (Roma Today)
«I bar di Roma in mano a Cosa Nostra. Arrestato fedelissimo di Riina jr» (La Notizia Giornale)
Riportando la notizia dell’arresto di Francesco Paolo Maniscalco il 9 giugno scorso Meridionews lo definì «amico e sodale di Giuseppe Salvatore Riina, per cui avrebbe anche svolto il ruolo di reclutatore con il compito di «capitare i cristiani», uomini di fiducia da utilizzare per la raccolta del pizzo, proprio sotto l’ala del figlio di Totò ha potuto sviluppare le sue doti imprenditoriali gestendo insieme a lui le sue prime attività economiche ed entrando nel mondo del commercio del caffè».
Giuseppe Salvatore Riina è colui che in un’intercettazione telefonica definì Giovanni Falcone «quel coso» lamentandosi che gli viene ancora omaggiato con corone, autore del libro «Riina family» in cui descriveva il padre Totò come «padre amorevole» e con «valori» lamentandosi che gli è stato tolto il suo affetto. Nell’autunno 2018 fu allontanato da Padova, dove era in affidamento ad una onlus, per la frequentazione con alcuni spacciatori locali e approdò a Vasto.
Da lì iniziarono poi i suoi mesi a Casalbordino presso la fattoria sociale gestita dal parroco. Mesi in cui, mentre sui social continuava ad esaltare la «famiglia» e pubblicizzare il suo libro, ostentava anche vita da volontario e tanti propositi «solidali». Chiedendo fondi per sostenere l’acquisto di un pulmino nuovo per la fattoria, vendendo fiori davanti la parrocchia negli stessi giorni in cui larga parte della Chiesa Cattolica ricordava il sacrificio del parroco anti camorra don Peppe Diana e lanciando due aste di oggetti con «brand» lui e il suo libro.
La seconda, quella della cover per cellulari con la foto della copertina del libro, chiusa alle 16.35 del 19 luglio ovvero pochi minuti prima dell’orario della strage di via D’Amelio in cui furono assassinati (anche per ordine del padre!) Paolo Borsellino e la sua scorta. Salvo Riina è un uomo libero, senza nessuna misura di sorveglianza, dal maggio 2019. Negli stessi giorni in cui cadeva il compleanno di Giovanni Falcone e la strage di Capaci in cui fu assassinato (anche per ordine di Totò Riina!) insieme alla moglie e alla scorta, il tribunale revocò ogni misura di sicurezza nei suoi confronti.
Decisiva, secondo quanto riportato dalle cronache, la relazione del parroco affidatario ultra positiva. «Salvo Riina ha ora aderito a un progetto per la realizzazione di casette in legno, dove i detenuti potranno incontrare le famiglie senza andare alla ricerca di bar o locali di fortuna – riportò un quotidiano abruzzese – Ha anche scritto un secondo libro. Il volume è in fase di pubblicazione e presto verrà distribuito nelle librerie».
Quasi tre anni dopo dei grandi progetti «solidali», segnali della «nuova vita» relazionata dal parroco, e di questo secondo libro non si hanno più notizie. Intanto pare, dalle pubblicazioni sulla sua pagina facebook, che ora viva in Romania. Senza disdegnare una vacanza, in quello che appare un luogo extra-lusso, a Valencia. Nell’anno della pandemia e di fortissime restrizioni agli spostamenti, persino tra comuni vicini, in tutto il mondo.
In quest’anno abbiamo raccontato e documentato ampiamente quesi mesi e l’attività social di Riina jr (e dei suoi ammiratori) in vari articoli. Riportando anche, nell’ultimo, gli screenshot di alcuni commenti che esaltano Tòtò Riina. Nei giorni scorsi, sotto un post di Riina, spicca il commento «OMERTÀ» e alcuni cuori colorati di cui pubblichiamo in quest’articolo lo screenshot. Poco più di due mesi dopo la ritrovata totale libertà di Salvo Riina arriva la notizia dell’operazione antimafia Assedio in Sicilia. «Nell’ambito dell’operazione Assedio, tra gli arrestati figura Angelo Occhipinti, indicato come il nuovo capomafia di Licata – abbiamo riportato già in precedenza – Intercettato dagli inquirenti, durante una riunione in un magazzino, nel luglio 2018, Occhipinti afferma – riferendosi a Riina Jr – che “quello è un ragazzo che ci scappelliamo tutti” (davanti a quel ragazzo ci togliamo tutti il cappello). È la risposta ad uno dei convocati alla riunione, Massimo Tilocca, che è stato recluso, dal dicembre 2017 al maggio 2018, nella casa lavoro di Vasto.
Tilocca aveva appena riferito che – nel periodo trascorso a Vasto – avrebbe ricevuto un pizzino da Salvo Riina con l’ordine, una volta uscito dal carcere, di “stuccare” (eliminare) un licatese, tal Vincenzo Sorprendente».
Di quanto riferito dagli inquirenti nel luglio di due anni fa non si sono avuti, a nostra conoscenza, altri aggiornamenti. Restano i pesanti interrogativi su cosa possa essere accaduto nel soggiorno vastese-casalese. Mesi in cui Salvo Riina è stato visto varie volte intrattenersi pubblicamente con appartenenti alla famiglia più nota alle cronache, e nella vita di paese, di Casalbordino e larga parte dell’intero Abruzzo come tra le più attive nel narcotraffico e in altri reati.
Uno degli esponenti della famiglia De Rosa – legata ed imparentata con altre famiglie come Spinelli, Di Rocco, Ciarelli, Di Silvio, Spada, Casamonica ed altre – varie volte arrestato per spaccio, usura e violenze negli anni, come abbiamo documentato nelle scorse settimane, è attivo sulla bacheca di Salvo Riina.
Torniamo a porre alcuni interrogativi già posti nei nostri precedenti articoli.
Quanto assidua la frequentazione con questi personaggi di Riina nel suo soggiorno abruzzese? Quali rapporti sono rimasti?
La casa editrice che pubblicò «Riina family» è fallita anni fa, come è possibile che il libro si continua a vendere? Chi lo stampa e distribuisce?
Visto il tenore di vita che appare dalle foto (certamente ben pochi residenti in Romania possono pagarsi una vacanza in luoghi extra lusso a Valencia, in Spagna), il rampollo vorrà magari mai raccontare qualcosa di dove sono finiti e come si potrebbero rintracciare i capitali del padre?
Un’ultima domanda, in conclusione, nell’articolo del 17 gennaio scorso pubblicammo la foto, in pieno Gomorra style, pubblicata sulla bacheca facebook di Salvo Riina in cui campeggiavano la copertina del libro, altri oggetti, un paio di manette e quella che appare una pistola. Era effettivamente una pistola? E, soprattutto, la foto era di repertorio o scattata in quei giorni?
Quanto riportato su Maniscalco in questi giorni, quanto emerso a Licata, la mancata dissociazione dal padre (di cui si è sempre considerato orgoglioso e a difenderne i «valori»), tutto quanto stiamo raccontato dovrebbe portare molti dubbi e interrogativi. E, per chi qui in Abruzzo pensa sia stata solo una parentesi di cui era inutile anche solo parlarne e scrivere, dovrebbero essere ancora di più.
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2021-01-17 19:40:46
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