Viviamo tempi sempre più veloci e che divorano qualsiasi cosa, anche nei mesi di una pandemia che ha costretto a rallentare e fermare la quasi totalità delle attività. Vale anche per l’informazione, si scorrono distrattamente alcune notizie che già dopo qualche minuto cadono nella disattenzione e vengono sostituite da altre. Sono sempre più rari i casi in cui non avviene. C’è una recente notizia che avrebbe imposto di diventare uno di questi rari casi: l’inchiesta Cupola 2.0 della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, i cui dettagli sono stati riportati in un articolo del nostro Roberto Greco il giorno stesso.
I boss arrestati dalla DDA di Palermo stavano sfruttando l’emergenza economica e sociale per rafforzarsi e infiltrarsi ancor di più in appalti e aziende. Oltre a porsi come referenti di un welfare criminale, parallelo allo Stato, davanti le famiglie in difficoltà. Fatti simili erano già emersi nella primavera scorsa e questo gravissimo rischio era stato immediatamente denunciato, già nelle prime settimane del lockdown, da autorevoli voci impegnate nella lotta alle mafie e ad ogni sistema criminale tra cui Gratteri, Ingroia, Maresca e Di Matteo.
Denunce sottovaluta e sottaciute nella quasi totalità dei grandi media e del dibattito politico, ammesso e non concesso che oggi esista ancora un vero dibattito politico in Italia, a cui abbiamo immediatamente cercato di dare voce e riportare. Condividendo i timori e gli allarmi per l’avanzare delle mafie e i rischi anche per la tenuta democratica e sociale del Paese.
Rischi oggi ancora più forti, di fronte le ingenti risorse che dovrebbero arrivare anche dall’Unione Europea (e i fondi europei sono da sempre terreno privilegiato per le consorterie mafiose) e il mordere di una crisi economica sempre maggiore. Anche nelle ultime settimane si sono succedute le prese di posizione da parte di associazioni e sindacati sull’avanzare dell’impoverimento e del numero di attività economiche ridotte sul lastrico e distrutte. Le agromafie, le mafie dei pascoli, lo sfruttamento dei fondi europei in maniera illecita sono stati al centro di un imponente monitoraggio mesi fa da parte della Guardia di Finanza in Veneto.
«Le mafie, oggi, stringono relazioni di potere, esercitano l’impresa interferendo sul mercato e condizionandone lo sviluppo; realizzano un sistema complesso, in cui la struttura militare (in senso improprio, riferito alla manovalanza mafiosa) è quasi servente rispetto a quella economico-imprenditoriale, fatta non solo di imprenditori collusi, ma anche di commercialisti, avvocati, professionisti, che la sostengono, l’agevolano, la consigliano – dichiarò nel novembre scorso il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho – I settori sono quelli in cui le mafie si sono specializzate per le opportunità determinate dalle emergenze passate, come le imprese multiservizi (mense, pulizie, disinfezione), l’intermediazione della manodopera, la filiera del ciclo dei rifiuti, le imprese di costruzione; ma anche quelli che appaiono particolarmente lucrosi, come il commercio di dispositivi di protezione individuale, oltre che l’impresa del turismo, bar, ristoranti, alberghi».
Mutuando la definizione dell’inchiesta romana nota come «Mafia Capitale» De Raho fece riferimento ad una pluralità di «mondi di mezzo» che sfruttano «relazioni simbiotiche tra attori pubblici, imprenditori, operatori economici e finanziari, professionisti, attori criminali» e come strumenti privilegiati di infiltrazione e consolidamento quelli «della corruzione o della convenienza, mediante l’offerta di servizi illegali, come le false fatturazioni, che costituiscono il mezzo per avvicinare e, quindi, aggregare imprese sane in momentanea difficoltà». Cafiero De Raho riaccese quindi i riflettori sulla borghesia mafiosa, così come in altre occasioni precedenti. Quella borghesia mafiosa che attraversa la storia italiana sin dai decenni successivi all’Unità d’Italia quando la definizione venne coniata da Leopoldo Franchetti, ripresa da Mario Mineo negli anni cinquanta, come abbiamo riportato in alcuni articoli pubblicati l’8 gennaio, l’11 gennaio e il 24 maggio dell’anno scorso.
Come monito per i prossimi mesi – e auspicio di una riflessione vera, profonda, coraggiosa su quanto sta accadendo – riportiamo nuovamente all’attenzione gli articoli in cui raccontammo questi allarmi e – con particolare riferimento all’Abruzzo interno ma sono dinamiche valide in tante altre regioni – le denunce della professoressa Lina Calandra (Università de L’Aquila) su come gli appetiti criminali mafiosi sfruttano anche fondi europei.
«Per la camorra un futuro esercito di manovalanza?»
Maresca: «la criminalità organizzata non è in quarantena»
Mafie dei pascoli, ci sono territori che non ci appartengono più
Le mafie si infiltrano dove possono corrompere e si gestiscono ingenti fondi pubblici
«L’Abruzzo? E’ terra di conquista della criminalità organizzata»
Pascoli abruzzesi e contributi europei: si muove la Corte dei Conti (in Trentino)
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2021-02-03 19:05:30
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