Lo stabilimento ex Ilva di Taranto è localizzato nel quartiere Tamburi e, precisamente, nell'area compresa tra la Strada statale 7 Via Appia, la Superstrada Porto-Grottaglie, la Strada Provinciale 49 Taranto-Statte e la Strada provinciale 47, per una superficie complessiva di circa 15.450.000 metri quadrati. La decisione di costruire il Centro siderurgico di Taranto fu presa, nel 1959, “dopo un ampio dibattito nel Governo Italiano, nell’IRI e nella Finsider”. L'impianto di Taranto fu inaugurato ufficialmente il 10 aprile 1965 dall'allora presidente della Repubblica Italiana Giuseppe Saragat. In alternativa alla città di Taranto, per il IV Centro Siderurgico, si pensò anche alle città di Vado Ligure e di Piombino (ampliamento dello stabilimento siderurgico già esistente). Tuttavia, la scelta di Taranto era una scelta fondamentalmente politica, ma si scelse Taranto anche grazie alle sue aree pianeggianti e vicine al mare, la disponibilità di calcare, di manodopera qualificata nonché alla sua ubicazione nel Mezzogiorno d'Italia, con annessa possibilità di creare posti di lavoro (43.000 tra diretti e indotto nel 1981) e di usufruire di contributi statali per tale obiettivo. La scelta di Taranto era inoltre razionale per l’esistenza pregressa dei cantieri Tosi e dell’arsenale della Marina, che avevano “portato una mentalità più moderna rispetto ad altre città costiere meridionali”.
Nonostante la Costituzione qualifichi la salute come «diritto fondamentale dell’individuo» (art. 32, comma 1) e non usi questo aggettivo quando parla del «diritto al lavoro» (art. 4, comma 1) o di altri diritti pur costituzionalmente garantiti, da quel 1965 a oggi il lavoro è stato considerato più importante della salute. Lo dimostrano, peraltro, le scelte scellerate del Governo italiano durante la pandemia, tutt’ora in corso, dovuta al SARS-CoV-2.
Troppo spesso, non solo a Taranto ma anche in altri siti localizzati soprattutto nel sud dell’Italia, è stato ritenuto più importante costruire posti di lavoro che permettessero di creare un bacino di voti con la scusa che tale espansione industriale avrebbe permesso ai giovani, le nuove forze lavoro, di non abbandonare la propria terra. In realtà l’esodo dal sud delle nuove generazioni non è mai terminato e, in compenso, queste scelte scellerate hanno procurato danni insanabili all’ambiente portando anche malattie che spesso hanno portato alla morte.
Il pronunciamento del TAR di Lecce rappresenta una sentenza storica anche perché, si legge nella sentenza, considera esserci un "grave pericolo per la salute e per la vita dei cittadini, che – nel caso della città di Taranto – deve ritenersi immanente e permanente". Il TAR di Lecce, inoltre, sottolinea il danno alla salute e la lesione del diritto alla vita dei cittadini di Taranto "che hanno pagato in termini di salute e di vite umane un contributo che va di certo ben oltre quei “ragionevoli limiti”, il cui rispetto solo può consentire, secondo la nostra Costituzione, la prosecuzione di siffatta attività industriale" e aggiunge "Senza peraltro considerare che l’impianto produttivo siderurgico di Taranto non risulta in linea con le direttive dell’Unione Europea, che impongono di fare uso delle migliori tecniche disponibili, atteso che peraltro lo stabilimento ex ILVA- Arcelor-Mittal è rimasto l’unico sul territorio nazionale con alimentazione a carbone".
Esaminando l’ordinanza impugnata da Arcelor-Mittal e da Ilva in amministrazione straordinaria, Tar Lecce afferma che anzitutto è stato chiesto alle due società, «ciascuna per quanto di sua competenza, di individuare e localizzare le anomalie all'interno degli impianti di produzione e di eliminare le criticità». Per il Tar, «l’adempimento di tale disposizione avrebbe dovuto comportare anzitutto un’attività di analisi sia dal punto di vista tecnico degli impianti e del sistema di controllo e di monitoraggio, sia dal punto di vista di eventuali criticità gestionali».
Ma per il Tar «non si può dire» che Arcelor-Mittal e Ilva «vi abbiano ottemperato, ponendo in essere la dovuta attività d’indagine preliminare».
Sempre a proposito dell’impatto sulla salute dei cittadini, il TAR di Lecce non ha dubbi: "L’attività di ricerca relativa al rapporto di valutazione del danno sanitario stabilimento ILVA di Taranto ai sensi del decreto ministeriale 24/2013, condotta congiuntamente da ARPA Puglia AReSS e ASL Taranto nell’anno 2018 (anche sulla base dell’aggiornamento dello Studio Sentieri coordinato dall’ISS nell’ambito del progetto CCM 2015), ha evidenziato l’elevata incidenza percentuale nella città di Taranto di una serie di patologie sia di natura oncologica, sia relativa a malformazioni congenite nell’arco di tempo considerato, con un eccesso dell’indice di mortalità generale nella popolazione residente e un aumento significativo dei casi “di decesso a causa di patologie associate all’esposizione industriale specifica del sito in particolare per il tumore del polmone, mesotelioma della pleura e per le malattie dell’apparato respiratorio, in particolare per le malattie respiratorie acute tra gli uomini e quelle croniche tra le donne”, evidenziandosi altresì un eccesso rispetto alla incidenza media delle patologie oncologiche su base regionale.
In particolare si evidenzia “in questo sito sono stati registrati 173 casi di tumori maligni nel complesso delle età considerate (0-23 anni), dei quali 39 in età pediatrica e 5 nel primo anno di vita. In età pediatrica si osserva un numero di casi di tumori del sistema linfoemopoietico totale in eccesso rispetto all’atteso, al quale contribuisce sostanzialmente un eccesso del 90% nel rischio di linfomi, e in particolare linfomi NonHodgkin; si sottolinea inoltre che dei 22 casi di tumori del linfoemopoietico totale in età pediatrica 11 sono stati diagnosticati in età 5-9 anni”; “in età giovanile (20-29 anni) si evidenzia un eccesso del 70% di incidenza dei tumori della tiroide”; ed ancora “i nati da madri residenti nel periodo 2002-2015 sono stati 25.853; nello stesso periodo sono stati osservati 600 casi di Malformazione Congenita, con una prevalenza superiore all’atteso calcolato su base regionale”".
La sentenza è durissima e contiene un attacco diretto al DPCM 2017: "Non può non stigmatizzarsi il fatto che con il DPCM 2017, all’art. 14, si sia prevista la chiusura formale dei procedimenti scaturenti dagli atti di diffida adottati ex art. 29 decies co. 9 del D. Lgs 152/06 antecedenti al DPCM – AIA del 14.3.2014, apparendo già di per sé inammissibile che reiterate diffide antecedenti l’anno 2014 – e relative evidentemente ad accertate violazioni delle prescrizioni imposte per l’esercizio dell’attività – siano rimaste ineseguite e non sanzionate dal 2014 al 2017, atteso che – in virtù della normativa vigente e in conformità della direttiva comunitaria 2008/1/CE – le violazioni accertate e oggetto di diffida avrebbero dovuto comportare l’applicazione delle misure sanzionatorie previste (sino alla revoca del titolo nei casi di violazioni più gravi)".
Il TAR di Lecce osserva "che la diffusione in atmosfera di significativi eventi odorigeni molesti costituisce anzitutto indice sintomatico di una complessiva insalubrità ambientale e determina notevole allarme nella popolazione residente, come si evince dalle continue segnalazioni in tal senso da parte dei cittadini di Taranto".
Il TAR Lecce rileva anche "che, dall’istruttoria espletata, è emerso anzitutto come le criticità e le anomalie ipotizzate nel provvedimento contingibile non solo fossero realmente sussistenti, ma anche che le stesse non siano state risolte, se non che in minima parte, permanendo comunque – quand’anche per mera ipotesi volesse prescindersi da ogni altra valutazione – il grave pericolo per la salute umana connesso all’immissione in atmosfera delle polveri sottili, particolato PM10 e PM2,5 particolarmente dannose in sé, nonché in quanto veicolatori di cancerogeni di ctg. 1 come il naftalene e il benzo-(A)-pirene". Visto che "sono stati accertati fenomeni emissivi relativi a sostanze inquinanti riconducibili allo stabilimento siderurgico" il TAR osserva "che l’immissione in atmosfera di tali inquinanti deve ritenersi del tutto abusiva e non autorizzata".
Con la sentenza pubblicata il 13 febbraio, la prima sezione del Tar, presidente Antonio Pasca, ha stabilito 60 giorni dalla pubblicazione della sentenza perché gli impianti siderurgici siano spenti in quanto fonte di emissioni.
Il TAR di Lecce, quindi, "condanna Arcelor-Mittal, ILVA in A.S. e il “Ministero dell’ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare” al rimborso delle spese e competenze relative al presente grado di giudizio in favore del Comune di Taranto, di ARPA Puglia e di CODACONS".
Arcelor-Mittal ha annunciato che ora impugnerà l’ordinanza al Consiglio di Stato, ma il primo round della battaglia legale si chiude sfavorevolmente sia per Arcelor-Mittal, gestore in fitto della fabbrica, che per Ilva in amministrazione straordinaria, proprietaria degli impianti. Entrambe le due società avevano impugnato al Tar l'ordinanza del sindaco dei mesi scorsi.
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2021-02-14 12:48:30
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