Abbiamo intervistato il dottor Pietro Bartolo, medico di Lampedusa, parlamentare europeo dal 2019.
A gennaio si è recato con i parlamentari del PD Alessandra Moretti, Pierfrancesco Majorino, Brando Benifei e Massimiliano Smeriglio a verificare le drammatiche condizioni dei migranti al confine tra Bosnia e Croazia. Ci siamo fatti raccontare questa drammatica esperienza sulla rotta balcanica e abbiamo parlato di Europa e diritti civili. «Questa missione avrei voluto farla molto prima, mi arrivavano segnali e sapevo già della situazione della rotta balcanica attraverso testimonianze e colloqui che avevo avuto con testimoni diretti delle nefandezze che accadono in quel luogo; a causa della pandemia tutto si è complicato, ma insieme ai miei colleghi abbiamo comunque organizzato il viaggio informando di tutto l’ambasciatore croato in Italia e le autorità croate e bosniache.
Lo scopo del nostro viaggio non era certo quello di andare a destabilizzare o a screditare il governo croato o quello della Bosnia (come è stato detto), ma semplicemente volevamo vedere quella maledetta frontiera di cui tanto si è parlato e dove avvengono respingimenti e torture che ci venivano documentate. Volevo andare a vedere on i miei occhi.
Abbiamo cercato di coprire tutta la rotta balcanica partendo dalla Bosnia, per poi arrivare in Croazia, in Slovenia. Al confine italiano si è recato Massimiliano Smeriglio, a Trieste ha contattato le autorità, il Prefetto, le associazioni che operano in quel tratto, ha acquisito numerosi documenti. I migranti vengono rimandati indietro, in un perenne respingimento e le responsabilità sono anche italiane. L’Italia non ha consentito a molti migranti di fare domanda d’asilo così come prevedono i trattati internazionali, in particolare la convenzione di Ginevra. È un diritto dei migranti presentare la domanda che poi verrà valutata e ove non ce ne siano i presupposti verranno rimpatriati; ma fare domanda d'asilo è un loro diritto.
L’Italia, con il ministro Lamorgese, ha invece ribadito che si opera in base ad accordi bilaterali del 1996 che tra l’altro sono oramai inattuabili, perché occorre rispettare i trattati internazionali: invece in base a questi accordi bilaterali sono stati fatti i respingimenti di massa, oltre 1200 persone tra le quali anche minori non accompagnati. Non abbiamo omesso di sottolineare le responsabilità anche italiane.»
Come si è svolto il vostro viaggio e come siete stati accolti?
«Siamo arrivati prima a Zagabria dove siamo stati ricevuti dalla polizia croata in aeroporto; ci hanno accolto con grande cortesia, abbiamo addirittura attraversato il varco senza alcun controllo dei documenti e questo lo dico perchè poi è stato detto che non sapevano nulla del nostro arrivo. Sono venuti ad accoglierci proprio perché sapevano della nostra visita, non siamo andati in segreto. Il nostro viaggio era per capire cosa stava accadendo in territorio europeo, perché è un nostro diritto e un nostro dovere di parlamentari di fronte ai cittadini che ci hanno eletto e vogliono sapere cosa accade in quelle zone. Eravamo in Croazia che è territorio europeo, quindi io ero a casa mia, perché l’Europa è casa mia. Non stavo violando nessuna legge, esercitavo solo un mio diritto e quelle che sono le mie prerogative. Abbiamo visitato un centro di accoglienza di Zagabria, dove le condizioni di vita sono abbastanza dignitose per circa 350 persone, molte famiglie. La cosa che ci è apparsa subito strana è che hanno consentito l’ingresso solo a noi parlamentari e non ai giornalisti che ci accompagnavano: avevo chiesto al reporter Nello Scavo di accompagnarci, perché conosce bene quei luoghi e poteva farci da guida oltre che documentare insieme ad altri due colleghi. Invece non è stato permesso loro l’ingresso. Le persone all’interno del centro, alcune si mostravano timorose, hanno detto che i tentativi fatti per arrivare al centro di accoglienza sono stati diversi e alcuni di loro sono stati anche picchiati. Poi il viaggio è proseguito verso la Bosnia, la nostra intenzione era quella di fare tappa in quel maledetto tratto di confine dove è stata documentata la violenza messa in atto dalla polizia croata. Quando ci siamo diretti verso la foresta, lasciando la strada principale per arrivare alla frontiera, siamo stati seguiti dalla polizia e da un drone che osservava i nostri spostamenti. A quel punto è accaduta una cosa gravissima: a poche centinaia di metri dall’arrivo, siamo stati bloccati dai poliziotti che ci dicevano di non poter proseguire per la presenza di mine. Naturalmente noi avevamo preso accordi con le autorità e lo abbiamo ribadito, non avevamo nessuna intenzione di superare la frontiera o di metterci in pericolo. Dopo una lunga discussione abbiamo comunque proseguito, ma ci hanno raggiunti creando una barriera umana con un fare minaccioso, il loro intento era quello di non permetterci di vedere ciò che accade in quel luogo: la risposta è stata chiara.»
La Bosnia è un paese povero, con immense difficoltà, senza stabilità politica e che da solo non può gestire il fenomeno migratorio; inoltre in questi anni nulla è stato fatto per creare un’organizzazione tale da garantire una dignitosa accoglienza ai migranti e creare magari occupazione in questo settore così da aiutare la popolazione locale. Dove vanno a finire i cospicui fondi europei?
«È proprio questo il punto: parliamo di una montagna di denaro, circa 90 milioni di euro destinati alla gestione dei migranti. Ma questo non è il modo di affrontare la questione: gli Stati membri si vogliono lavare la coscienza dicendo che ci sono molti soldi a disposizione. Ma la Bosnia, in assenza di un governo stabile e con alto livello di corruzione, non riesce a gestire la cosa e i fondi europei non vengono utilizzati come dovrebbero.»
Parliamo del campo di Lipa dal quale arrivano immagini terribili, di una umanità “deportata” in un luogo lontano dalla città, su un altopiano pieno di neve tra le montagne. Cosa avete trovato, è tutto così realmente drammatico?
«Devo ammettere che pensavo di aver visto tutto nella mia vita dopo trent’anni di Lampedusa, ma quello che ho visto a Lipa mi ha impressionato, io lo definisco un “non luogo”, non ero preparato a scene del genere.
(Il dottor Bartolo continua il suo racconto con la voce spezzata dalla commozione). Lipa è un altopiano, per arrivarci in macchina abbiamo impiegato un'ora, tra difficoltà enormi. L'espressione giusta è quella di esseri umani deportati. Ho avuto l’impressione di rivedere le immagini che ho visto solo nei film, sui lager di tanti anni fa. Sotto una tormenta di neve, con un freddo polare, ho visto una recinzione di filo spinato e dentro quel recinto misere capanne. Da una parte una fila di persone infreddolite, tremolanti con una lurida coperta addosso, molti di loro senza scarpe, morti di freddo in attesa di un tozzo di pane e una scatoletta. Io non avrei mai immaginato una scena come questa nel 2021. Persone, ragazzini, minori in fila al ghiaccio per ore, in attesa di ricevere una scatoletta di cibo. Vivono in tende dove entra la neve, con bagni chimici ridotti a latrine inutilizzabili. Siamo in Europa e ancora dobbiamo vedere tutto questo. L’Europa è nata dai diritti umani, si basa sullo stato di diritto, rappresenta il sogno di un mondo uscito dalle sofferenze e da fiumi di sangue versato. È nata proprio per non vedere più tali atrocità e invece si rende responsabile di situazioni come queste.»
Chi gestisce il campo?
«Non è una struttura governativa, ma privata anche se ci sono alcuni poliziotti. È fondamentale il lavoro portato avanti dai volontari delle associazioni come la Caritas, la Croce rossa, la Ipsia Acli che portano i viveri tra mille difficoltà: una cosa da eroi e meno male che ci sono loro. Abbiamo fatto anche noi una raccolta di fondi e li abbiamo inviati, ma non è assolutamente questa la soluzione al dramma umanitario che si sta consumando in quel territorio. Ieri siamo stati in audizione in commissione europea; purtroppo ho sentito dire che ci sarebbe la volontà di prendere la gestione del campo e farlo diventare una struttura permanente. Ma per fare cosa? L’unica cosa da fare in questi casi è quella di evacuare quelle persone e metterle in sicurezza.
Una volontaria delle associazioni locali mi ha raccontato che ogni anno, allo sciogliersi delle nevi, affiorano cadaveri. Ho parlato con quelle persone, uomini e ragazzi ammucchiati gli uni sugli altri, con gli occhi imploranti che chiedono aiuto. Un ragazzino di 16 anni mi ha raccontato di aver provato per 30 volta a superare i confini, di essere stato picchiato con i manganelli ricoperti di filo spinato, di aver riportato la frattura delle ossa; di essere stato privato delle scarpe, spogliato di tutto. Ho visto scene terribili. E parliamo di campi permanenti a Lipa? Per fare cosa? Quel ragazzo mi ha detto di voler andare in Francia dove si trova la sua fidanzata, di voler studiare.»
Destinare fiumi di soldi senza controllarne l'utilizzo e lasciare sole le associazioni di volontariato tra infinite difficoltà: come può l'Europa permettere tanto?
«Mi ha fatto pensare quello che ha detto la Commissaria europea Johansson: dopo di noi anche lei si è recata a Lipa, ha parlato di condizioni disumane. Quindi ha indicato la necessità di una equa redistribuzione dei migranti sull’intero territorio della Bosnia, mentre adesso la stragrande maggioranza di essi si trova nel cantone di Una Sana a ridosso di quel tratto maledetto di frontiera. Condivido e sottolineo che questa equa distribuzione andrebbe prima fatta a casa nostra, invece di lasciare tutto il peso dei flussi migratori sulle spalle di Grecia, Italia e Spagna. Non possiamo pretendere che la Bosnia e la Croazia si facciano carico di tutto questo.»
Dopo le vostre denunce, cosa sta facendo l’Europa per porre fine a questo dramma umano?
«Qualcosa sta cambiando. La situazione al campo di Lipa sta migliorando con la realizzazione di un capannone di 600 mq costruito come sempre dalle associazioni umanitarie che operano sul luogo. Probabilmente il campo sarà preso e gestito dal governo bosniaco per renderlo una struttura permanente, ma ribadisco non è assolutamente un'idea che condivido.»
Nonostante la pandemia continuano senza sosta gli sbarchi sulle nostre coste. La recente modifica dei decreti sicurezza ha migliorato la situazione in termini di accoglienza o serve fare altro?
«Purtroppo la pandemia sta assorbendo tutte le energie e anche la modifica dei decreti sicurezza non è ancora totalmente efficace. Rappresenta una prima apertura, un segno positivo nella speranza di mettere in atto e implementare questa modifica. Occorrono ulteriori passi in avanti, c'è ancora molto da fare sulla legge Bossi-Fini e sullo ius soli: sono felice che ne abbia parlato il segretario del Pd Enrico Letta nel suo primo discorso, mi fa ben sperare. Il tema della migrazione va affrontato con responsabilità e va risolto altrimenti ce lo troveremo davanti per altri cento anni: va compreso che il fenomeno della migrazione si può gestire bene considerandolo una ricchezza, un'opportunità per i paesi ospitanti. È stato così da sempre, noi nel dopoguerra siamo stati migranti economici, abbiamo invaso tutto il mondo e i migranti hanno fatto grandi i paesi dove sono stati accolti. Le migrazioni portano benessere, cultura, portano tradizioni, ma va data loro una possibilità: se non sappiamo integrare e includere i migranti nella società poi diventano un problema e su questo qualcuno ha giocato strategicamente, facendone una narrazione distorta per un ritorno elettorale sulla pelle di questa povera gente. L’integrazione e l’inclusione servono per gestire bene questo fenomeno che riguarda da sempre l’umanità e per evitare di far cadere nelle mani delle mafie uomini e donne che restano ai margini.»
Cambiamo decisamente argomento: parliamo di Patrick Zaki e delle centinaia di i detenuti nelle carceri di paesi come l’Egitto, in piena violazione dei diritti umani. L’Italia e l’Europa finora non hanno fatto molto (ricordiamo anche la drammatica morte di Giulio Regeni). Cosa può dirci?
«Né l’Italia né l’Europa hanno una adeguata politica estera per affrontare queste tematiche: servirebbe essere incisivi, sanzionare paesi come l’Egitto. Invece che facciamo? Facciamo accordi commerciali, forniamo motovedette: io avrei bloccato ogni tipo di rapporto commerciale, perchè prima di ogni cosa metto gli esseri umani e non possiamo permettere a nessuno di violare i diritti umani, il diritto alla vita. Ieri sono stato insieme ai miei colleghi a protestare sotto l’ambasciata turca contro quel dittatore di Erdogan che si ritira dalla convenzione di Istanbul. Come mai l’Europa fa ancora accordi con la Turchia? L’Europa è famosa per la democrazia e per i diritti umani, ma parliamo bene e razzoliamo male: senza andare lontano abbiamo dentro la nostra unione europea paesi come la Polonia e l’Ungheria che lo stato di diritto lo calpestano ogni giorno. Dobbiamo iniziare a fare i conti con queste situazioni.»
Ce la faremo un giorno ad avere un’Europa che non sia solo una potenza economica, ma una Unione di valori e diritti per tutti?
«Ma sì certo, con la pandemia l’Europa ha dato una grande prova e ha dimostrato di esserci. I fondi che sono stati trovati erano inimmaginabili fino a poco tempo fa. Dobbiamo farlo anche su altri fronti e ci riusciremo. Tra pochi giorni inizierà la Conferenza Europea che durerà circa due anni: in questa sede rivedremo alcuni trattati, la gestione di alcuni settori e la cosa più importante è che ci sarà l’ingresso, per la prima volta alla Conferenza, della società civile. Un segno questo di grossa apertura e democrazia e sono certo che la società civile tiene molto ai diritti fondamentali e delle persone. Questa potrebbe essere l'occasione per prendere decisioni che porteranno l’Europa ad una maggiore apertura verso i problemi umanitari: io sono fiducioso, non ho mai smesso di crederci, figuriamoci ora che sono qui.»
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2021-03-26 11:30:46
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