La sintesi della relazione della commissione d’accesso che ha portato allo scioglimento per mafia del comune di Foggia lo scorso 5 agosto documenta quanto Leonardo Palmisano ha analizzato e approfondito anche sulle nostre pagine l’anno scorso e la capacità di «dialogare» con esponenti delle amministrazioni da parte dei clan analizzato dal procuratore aggiunto di Foggia Antonio Laronga nella videointervista che stiamo pubblicando in questi giorni (LINK ALLA SECONDA PARTE). La «mafia foggiana vive soprattutto con appalti e fondi pubblici» riportava il sociologo che, in una seconda intervista, ha sottolineato come «le mafie si infiltrano dove possono corrompere e si gestiscono ingenti fondi pubblici».
La relazione, i cui contenuti sono stati resi da Foggia Città Aperta, consegnata al Ministero dell’Interno parte dal 2014, anno di insediamento della prima amministrazione Landella(oggi Lega). Questo periodo, «stando alla suddetta commissione, sarebbe stata caratterizzata da ben sette anni di infiltrazioni mafiose», la commissione motiva lo scioglimento per «concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti e indiretti degli amministratori locali con la criminalità organizzata di tipo mafioso e su forme di condizionamento degli stessi». Acclarata, si legge, la presenza di «numerose e articolate organizzazioni malavitose di stampo mafioso, finalizzate ad assumere il controllo del territorio e capaci di infiltrarsi nelle attività economiche della pubblica amministrazione». Il documento reso noto da Foggia Città Aperta riporta anche di «legami affettivi» tra un consigliere comunale e «un esponente della locale organizzazione criminale, pregiudicato, il quale è stato costantemente tenuto informato di questioni politico-amministrative che interessano l’ente locale potendole in tal modo influenzare negativamente nel corso del loro iter decisionale». Un altro consigliere comunale dopo aver ricevuto minacce «ha ricevuto direttamente dalle mani del predetto amministratore un contributo economico di natura sociale erogato dal comune di Foggia», «c’è poi il caso del consigliere comunale che all’anagrafe risiedeva in una casa che, di fatto, era abitata da un esponente della “locale consorteria criminale”: a quanto si legge nella missiva, il detto consigliere avrebbe trascorso tra quelle mura il periodo degli arresti domiciliari» riporta Foggia Città Aperta.
Due dipendenti comunali fornivano «informazioni utili per le attività estorsive nel settore dei servizi funebri». La relazione evidenzia affidamenti ad imprese prive di certificazione antimafia, «“inammissibile commistione tra poteri di indirizzo politico-amministrativo e poteri gestori», «amministratori con legami societari e cointeressenze economiche con ditte contigue alle locali consorterie mafiose e destinatarie di interdittive antimafia» nei settori della riscossione dei tributi, del verde pubblico, dei servizi cimiteriali e della pulizia dei bagni comunali, assegnazione di case popolari con pratiche decise senza eseguire alcun criterio, nemmeno quello cronologico» in favore di esponenti delle cosche o di persone con cui avevano rapporti di parentela e «frequentazione» e avvenute in totale «assenza di controlli sulle autocertificazioni attestanti i requisiti richiesti per la partecipazione al bando».
Lo scioglimento per mafia del Comune di Foggia si aggiunge, sottolinea nell’intervista il dott. Laronga, ad altri quattro già avvenuti negli ultimi anni: Monte Sant’Angelo, Mattinata, Manfredonia e Cerignola.
Ingerenze dei clan accertate, imparzialità degli amministratori compromessa da «pesanti condizionamenti», all’interno della «compagine di governo e della struttura burocratica» si contavano diverse persone con «relazioni di parentela o di affinità» con «elementi delle famiglie malavitose», «logica spartitoria» con la conseguenza di «privatizzazione dei beni pubblici» evidenziò nel 2018 la relazione al Ministero dell’Interno che portò allo scioglimento per mafia del comune di Mattinata. La relazione che due anni fa portò allo scioglimento del comune di Manfredonia è stata di ben 365 pagine. «Sono state riscontrate forme di ingerenza da parte della criminalità organizzata che hanno compromesso la libera determinazione e l’imparzialità degli organi eletti nelle consultazioni amministrative del 31 maggio 2015 nonché il buon andamento dell’amministrazione ed il funzionamento dei servizi» scrisse il ministro dell’Interno Lamorgese l’11 ottobre 2019. «Un quadro fattuale ancorato a prassi amministrative decisamente illegittime che denunciano una obiettiva permeabilità dell’ente alle pregiudizievoli ingerenze delle locali organizzazioni criminali – si legge nel documento – un’area caratterizzata dalla presenza di sodalizi violenti ed agguerriti che esercitano un forte potere di intimidazione nei confronti delle comunità locali, contrapponendosi spesso, anche di recente, in sanguinose faide sfociate in episodi di lupara bianca ed in efferati omicidi, portati ad esecuzione con modalità spregiudicate ed eclatanti.
Più nel dettaglio, in quel territorio è stata giudizialmente accertata la consolidata ingerenza di una potente famiglia malavitosa, dotata di una capillare capacità di penetrazione nel tessuto economico e sociale, la quale opera in stretta sinergia con le consorterie radicate in altri comuni della provincia e, segnatamente, con una delle cellule - c.d. batterie - in cui è strutturata l’associazione di tipo mafioso comunemente denominata società foggiana». Un contesto nel quale è presente un «intricato intreccio di relazioni familiari, frequentazioni e convergenze di interessi che legano diversi esponenti della compagine di governo e dell’apparato burocratico dell’ente – alcuni dei quali con pregiudizi di natura penale – a soggetti controindicati ovvero ad elementi anche apicali dei sodalizi localmente egemoni». «Le vicende analiticamente esaminate e dettagliatamente riferite nella relazione del prefetto di Foggia hanno evidenziato una serie di condizionamenti dell’amministrazione comunale di Manfredonia, volti a perseguire fini diversi da quelli istituzionali, che determinano lo svilimento e la perdita di credibilità dell’istituzione locale, nonché il pregiudizio degli interessi della collettività, rendendo necessario l’intervento dello Stato per assicurare il risanamento dell’ente» una delle conclusioni della ministra Lamorgese. «Legami diretti tra alcuni esponenti dell’Amministrazione comunale e soggetti di spicco della criminalità organizzata, anche di stampo mafioso – si legge nella relazione della commissione d’accesso che ha portato allo scioglimento – Quindi, la presenza di numerosi legami societari e affaristici sussistenti tra famigliari di esponenti dell’Amministrazione comunale e soggetti della criminalità organizzata, anche di stampo mafioso. Inoltre, la presenza di ulteriori cointeressenze, tanto dirette, che mediate con importanti personalità dell’imprenditoria locale. Infine, l’inopportunità di alcuni rapporti lavorativi in essere e l’attribuzione di determinati incarichi, che certificano, in taluni casi, la comunione di interessi economici tra amministratori locali e imprenditori aggiudicatari di commesse pubbliche e, in altri casi, la propensione al nepotismo».
«Nel basso Tavoliere, la trasversalità dei settori interessati dall’infiltrazione mafiosa ha trovato un concreto e grave riscontro nello scioglimento del consiglio comunale di Cerignola – si legge nell’ultima relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia – che ha confermato l’indiscusso “controllo” del territorio da parte di quella mafia dotata di un’elevata capacità di controllo in un tessuto criminale eterogeneo, verosimilmente grazie alla presenza di un organo decisionale condiviso, che riesce a contemperare la molteplicità degli interessi illeciti in gioco riducendo al minimo le frizioni interne. Tuttavia, la situazione interna all’associazione è di non facile lettura anche alla luce della “blindatura” dell’ambiente nel quale operano i sodali, con rigide regole comportamentali quasi di tipo militare». «La cornice criminale ed il locale contesto ambientale ove si colloca l’ente, con particolare riguardo ai rapporti tra gli amministratori e le locali consorterie – sottolinea il decreto di scioglimento dell’8 novembre 2019 – hanno evidenziato come l’uso distorto della cosa pubblica si sia concretizzato, nel tempo, in favore di soggetti o imprese collegati direttamente od indirettamente ad ambienti malavitosi». «L’esistenza di una complessa rete di amicizie, frequentazioni e cointeressenze tra amministratori comunali, dipendenti dell’ente locale e soggetti appartenenti o contigui a famiglie malavitose» ha evidenziato «come queste ultime abbiano beneficiato di favor nell’acquisizione di pubbliche commesse, negli affidamenti del patrimonio comunale o nell’esercizio di attività commerciali».
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