A gennaio ’44 la casa è data alle fiamme dai fascisti, ma Anna riesce fortunosamente a sfuggire all’arresto e a raggiungere il fratello adottivo Giuseppe in montagna. Qui impara a sparare, diventando una delle poche donne partigiane che combattono in armi, tuttavia la sua esperienza nella Resistenza è breve: il 19 marzo ’44 Anna Cherchi si sacrifica, lasciandosi catturare, per permettere al comando e al fratello Giuseppe (che sarà però fucilato meno di un mese più tardi) di mettersi in salvo.
Condotta al carcere Le Nuove di Torino, per un mese è quotidianamente interrogata all’Albergo Nazionale, sede delle SS, subendo terribili torture, ma non parlando mai.
Il 27 giugno è caricata sul vagone piombato che la trasporta a Ravensbrück, per essere poi spostata al sottocampo di Schonefeld. Nel gennaio ’45 è sottoposta a un orribile esperimento pseudo-medico: portata a Sachsenhausen, le vengono asportati, senza anestesia, quindici denti sani, per poi essere immediatamente rispedita ai lavori forzati.
Sopravvive e vien liberata, nonostante sia arrivata a pesare 39 chili. Dopo un faticoso ritorno in Italia, gran parte a piedi, recupera la salute e dal ’49 inizia a lavorare alla FIAT e nel ’53 si sposa con Dino Ferrari, ex partigiano. Per decenni è attiva in ANED raccontando la propria esperienza di partigiana e deportata.
Muore il 7 gennaio 2006. Nonostante l’età avanzata, la sua agenda fino all’ultimo è stata piena di eventi e incontri nelle scuole a cui portava la sua testimonianza.
Per approfondire:
A. Cherchi, La parola Libertà. Ricordando Ravensbrück, Edizioni dell'Orso, Alessandria, 2004.
fonte: ANED – Associazione Nazionale ex Deportati nei Campi nazisti
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2022-01-07 16:12:39
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