“Non dovei tu i figliuoi porre a tal croce!”
Aver fatto morire quattro giovani vittime innocenti, i figli e i nipoti del conte Ugolino: ecco l’infamia di cui si è coperta Pisa.
Un verso – il v. 87 del canto XXXIII dell’Inferno – che riecheggia nelle nostre menti in questi giorni, un episodio – quello del conte Ugolino – i cui riferimenti sono immediatamente associati alla medesima drammaticità e tragicità: l’assassinio di Darya Dugina, la figlia dell’ideologo nazionalista Aleksandr Dugin, morta nell’esplosione della sua auto in un attentato dinamitardo sabato scorso, il cui vero obiettivo era il padre.
Nel canto di Ugolino, il XXXIII dell’Inferno appunto, il sommo Poeta scaglia un’agghiacciante invettiva dai toni apocalittici contro la malvagità dei Pisani, che si sono macchiati di una colpa tremenda. Sullo sfondo del dramma di un padre costretto ad assistere impotente alla lenta morte delle sue creature innocenti, emerge il tema dominante: l’inaudita ferocia delle fazioni politiche cittadine di cui era stato vittima Dante stesso.
Il dramma di Ugolino è figurazione emblematica di ogni violenza faziosa i cui frutti intossicano anche gli innocenti, trascinando alla rovina la società intera. Sono aberrazioni commesse in nome del bene della patria – durante i funerali della giornalista russa il padre ha detto: “Non aveva paura. È morta per il popolo, per la Russia” – e Dante per esperienza ne conosce tutto l’orrore e l’amarezza, perché spengono nei cuori ogni senso di umana fratellanza.
Secondo i servizi segreti russi, dietro l’agguato ci sarebbe il governo ucraino, che però nega ogni coinvolgimento. E l’Estonia, dove per l’FSB sarebbe fuggita la presunta killer, rifiuta la tesi del Cremlino.
Secondo il principio della Nemesi storica, le colpe dei padri ricadono sui figli, i ‘giovani infelici’ delle Lettere luterane pasoliniane. La predestinazione dei figli a pagare le colpe dei padri è, infatti, uno dei temi più misteriosi del teatro tragico greco così caro anche al grande intellettuale scomodo.
Con la tragedia greca classica nel V sec. a.C., nell’acme dell’Atene democratica dello statista Pericle, le opere di Eschilo, Sofocle ed Euripide testimoniano che l’eroe tragico segna il passaggio dalla civiltà omerica della vergogna a quella della colpa e responsabilità.
Ripercorrendo trasversalmente le vicende dei figli di Edipo e dei figli di Agamennone, ci addentriamo in storie diverse accomunate da un unico destino: scontare le colpe dei padri. Padri illustri Agamennone ed Edipo, che a loro volta hanno scontato le colpe dei padri in una catena ininterrotta di peccati. Antigone, Ismene, Eteocle e Polinice: “maledetti” figli di Edipo condannati a scontare la colpa del padre armati l’uno contro l’altro, come ben attestano i Sette contro Tebe di Eschilo. Oreste, Elettra e Ifigenia: figli di Agamennone e Clitennestra condannati ad una vita da esuli e, nel caso di Elettra, esule nella sua stessa casa.
L’eroe epico è forte, statico, compatto e tutt’uno con il divino da cui non si distingue, potremmo dire che è un semi-dio. D’altro canto, l’eroe tragico, che incarna libertà, responsabilità, colpa e punizione, nella sua complessità è dinamico, colloquia con se stesso, con le sue parti in conflitto e con il coro, che incarna il punto di vista della città tutta.
Uomini e donne disperati, animali irreversibilmente feriti, quando non addirittura uccisi; coinvolti in una catena di sangue, pagano per colpe non loro, eppure dannatamente condannati.
Il sacrificio del cervo sacro. Che siano i casi della famiglia di Agamennone, trattati nell’Orestea di Eschilo o di quella dei Labdacidi di Edipo, approfonditi nel ciclo tebano di Eschilo e di Sofocle, o che sia Darya Dugina nella cogente cronaca attuale non fa differenza per indurci a pensare, riflettere, agire: il mito si sposa con la realtà, la vicenda mitica con la storia politica reale, la Letteratura con la Vita, il glorioso passato con l’inquietante presente.
L’eroe epico ha ceduto definitivamente il testimone all’eroe tragico?
Sull’altare dell’egemonia – politico-economica in primis –, del predominio, della supremazia continueranno ad essere sacrificati ‘cervi sacri’, ormai rassegnati a pagare il fio per le colpe dei propri padri.
Ugolino e i figli, Edipo e i figli, Agamennone e i figli, Aleksandr Dugin e la figlia: un rapporto ancestrale improntato all’amore filiale, ma che può trasformarsi in inarrestabile maledizione e condanna.
Potremmo immaginare un nuovo solenne stasimo in cui il coro possa finalmente cantare la rottura di questo vincolo fatale, lo strappo di questo legame indissolubile, la lacerazione di questo impium foedus?
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2022-08-24 19:02:08
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