Secondo il regolamento che disciplina il procedimento dinanzi alla Corte Europea tutti i soggetti destinatari della notifica, compreso il Governo Italiano, hanno il termine improrogabile di due mesi e dieci giorni per intervenire, presentando le loro osservazioni per iscritto.
Le questioni pregiudiziali che il giudice italiano ha sottoposto all’esame della Corte UE riguardano tre punti:
se sia legittimo o meno che le prescrizioni contenute nell’AIA (autorizzazione integrata ambientale) vengano rilasciate tenendo conto solo di alcune sostanze tossiche emesse dagli impianti, invece di tutte;
se sia legittimo o meno che l’AIA non contenga alcuna prescrizione conseguente alle valutazioni del danno sanitario causato alla popolazione;
se sia legittimo o meno che i termini di adempimento alle prescrizioni dell’AIA siano stati più volte prorogati in contrasto con i termini imposti dal diritto comunitario, fino a raggiungere, al momento, circa undici anni dall’emanazione della Direttiva Europea Anti Inquinamento.
Ove la Corte di Giustizia UE ritenesse che la normativa italiana contenuta nei c.d. decreti salva ILVA sia, in tutto o in parte, contrastante con le Direttive Europee, anche per il solo ritardo di ottemperanza, ne seguirà, come espressamente motivato dal Tribunale di Milano, l’accoglimento delle domande inibitorie proposte dai nostri associati innanzi alla magistratura italiana, e cioè la chiusura o, quantomeno, il fermo, degli impianti.
Ci sembra, pertanto, alquanto fuorviante che il Governo si ostini a convocare tavoli con l’impresa e con i sindacati al fine di dirimere controversie fra loro insorte sulla gestione degli impianti e sulla crisi finanziaria in atto, come ampiamente riportato dai mass media in questi giorni, anziché prendere le doverose decisioni in merito al giudizio che si sta svolgendo dinanzi al giudice europeo.
Esso, come noi auspichiamo, sarà quello decisivo per porre fine alla sistematica violazione dei diritti umani, in atto da decenni, a Taranto e comuni limitrofi, come denunciato, nella relazione del 12 gennaio 2022, anche dal Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU, che ha inserito Taranto tra le trenta “zone di sacrificio” più sfruttate al mondo dall’attività industriale inquinante.
E ha aggiunto che tali zone di sacrificio sono spesso create dalla collusione tra Governi ed imprese, con totale noncuranza della salute degli abitanti, trattati come persone “usa e getta”, al pari della loro salute e della salubrità ambientale!
Associazione “Genitori tarantini”
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