In un dialogo intenso con la figlia Daria, affetta da una grave malattia dalla nascita, Ada D’Amato si confronta con il senso di sconcerto, la lunga condizione di essere madre di una figlia “diversa” che non potrà mai approcciarsi alla vita come le altre bambine, la cui mente immobile vivrà in un corpo che non risponde alla vita, ma si trascina in una lenta agonia a cui non saprà porre riparo né lei e né la madre.
“Come d’aria” è appellativo che fa emergere la percezione che la madre ha della figlia Daria che come aria si propaga nello spazio della vita, leggera, evaporante nelle sue mille espressioni.
Come si può cedere il passo alla normalità nella malattia invalidante che nulla ha della vita, a volte noiosa, burrascosa, ma comunque vissuta con polmoni, con arti, con mente sani?
E’ questa la sfida di Ada D’Adamo, che quando si trova davanti alla sua malattia, alle visite mediche e alla mancanza di contatto fisico con la sua Daria, va a ritroso nella sua esistenza, quella degli ultimi anni , e tenta di mettere insieme gli elementi che possano aiutarla a sopravvivere, a sentire, ad apprezzare quel lungo calvario iniziato la notte del 27 novembre 2005, quando le fu messa accanto la sua bambina, quando sentì per la prima volta il calore di quel corpicino troppo piccolo. E allora i fiori, gli abbracci dei nonni, del padre diventarono il senso di normalità che non fu più tale quando la diagnosi venne troppo presto a sconvolgere quel piano di intenso benessere.
“Ho passato la vita prima a danzare e poi a guardare gli altri danzare. Desideravo la bellezza. Per anni ho ricercato la grazia del gesto, la precisione del dettaglio, il gioco delle proporzioni che si armonizzano nell’insieme. Una lavoro paziente, a cui il ballerino sottopone il proprio corpo in ogni istante, una ricerca quotidiana che non si placa mai.
La tua disabilità, da questo punto di vista, mi appariva come una autentica beffa. Proprio io, abituata a tenere sotto controllo la posizione di un mignolo, mi ritrovavo alle prese con un corpo completamente fuori controllo, con scatti epilettici, una schiena e una testa incapaci di stare dritte. Tetraparesi spastico-distonica, clonie, alternanza di ipertono e ipotono, nistagno, sciallorea… altro che mignolo!
Il senso di impotenza diventa più forte della speranza, la difficoltà ad adattarsi ad una condizione mai avuta o semplicemente immaginata getta nello sconforto, ma la vita assume forme svariate e si modella allo stato disegnato dalla sorte, ed anche quello che può sembra inaccettabile, diventa la “normalità” come per Ada che dovrà affrontare i lunghi pianti di Daria, la solitudine avvolgente di quegli anni quando tutto il suo mondo si restringeva sempre di più intorno alla malattia della figlia e poi a quella sua.
Ed anche i tentativi di disegnare uno spazio nuovo, con altre mamme che avevano lo stesso problema, a volte, era fallimentare perché si ha paura di mettersi a nudo, si preferisce rimanere nell’anonimato piuttosto che accarezzare la sorte insieme, camminare alla stessa velocità, quella della abnegazione e del dolore.
L’istinto di salvezza entra preponderante nell’animo e Ada trova nel contatto fisico con Daria, la vera salvezza, e dirà di aver ricercato la bellezza e di averla trovata in Lei in Daria tanto da dire, al momento della sua malattia che la porterà alla morte, che quella impossibilità di dialogare con la figlia attraverso il solo sentire il suo corpo appiccicato al suo, sarà la cosa più difficile da superare.
Una storia intensa, dolorosa, ma che fa entrare in contatto con l’altra faccia del sentire umano quella della sofferenza incorniciata in una nuova sfida che è quella di accettare , ma anche amare quello che di più prezioso ci possa essere, una figlia anche nella sua diversa normalità.
“Appena conosciuti io e il tuo babbo abbiamo coniato un acronimo a partire dal mio nome, A (di (A: “Ada di Alfredo”. Ma anche “Alfredo di Ada”. Poi quando sei nata quel “di2 che stava lì a significare il reciproco possesso ( io sono tua, tu sei mio) è diventato D, l’iniziale del tuo nome. Io, lui e tu nel mezzo, al centro esatto del nostro amore. Un amore d’aria. E il mio nome sta anche nel mio cognome. Detti insieme fanno uno scioglilingua sul quale tante volte ho recriminato, si deve pronunciare lentamente per non rischiare di scivolare su quelle sillabe ripetute che sbattono e si arrotolano sul palato. Da lì comincia questo gioco di parole, senti se ti piace :
D’adamo
D’ada(mo)
D’a(di)a
Dia8ri)a
D’aria.
Finirò col distogliermi in te? Sono Ada. Sarò D’aria..
Roma. Settembre 2022
Ada D’Adamo è nata a Ortona, è vissuta ed ha lavorato a Roma, dove si è diplomata all’Accademia Nazionale di Danza e laureata in Discipline dello Spettacolo. Ha trascorso molto tempo ad osservare il corpo e le sue declinazioni sulla scena contemporanea, e ne ha scritto in diversi saggi sulla danza e sul teatro.
Ada D’Amato è venuta a mancare il 1 aprile 2023 all’età di cinquantacinque anni.
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2023-06-22 12:07:54
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