Nell’appartamento «abbiamo acceso la luce, il corpo di Lea Garofalo era disteso per terra nel salotto posto alla sinistra rispetto all’ingresso. Era disteso a faccia in giù, sopra il corpo era stato messo un divano, e vicino alla testa c’era una pozza di sangue». Questa è la ricostruzione della scena del delitto fatta dal collaboratore Venturino. Il giovane manutengolo aggiunge: «Abbiamo spostato il corpo da sotto il divano e lo abbiamo girato. Il viso di Lea aveva dei grossi lividi, e c’era sangue intorno alla bocca, al naso e tutto intorno al collo. Ricordo che aveva la parte intorno al collo e alla bocca schiacciata, come se avesse preso dei grossi colpi».
E continua: «Era stata strangolata, infatti intorno al collo aveva ancora una corda di colore verde, che io riconobbi come una corda che era a casa mia in via Fioravanti e che serviva per chiudere le tende. La corda era entrata in profondità nel collo, addirittura non se ne vedeva una parte che era entrata dentro la carne. Intorno al collo c’era anche un lenzuolo. Io e Curcio abbiamo messo il corpo dentro lo scatolone. Lo abbiamo sigillato con il nastro adesivo, chiudendolo da sotto, nella parte dove c’erano i piedi. Abbiamo legato il corpo di Lea, prima di metterlo nello scatolone, con delle lenzuola che abbiamo preso da un armadio della casa di Floreale. Poi abbiamo preso degli stracci dalla casa ed abbiamo pulito il sangue con questi stracci, che poi abbiamo messo nello scatolone, dalla parte della testa, prima di sigillare lo scatolone del tutto e abbiamo messo lo scatolone nel sacco trasparente. La chiazza di sangue era abbastanza grossa, e non siamo riusciti a pulire completamente il sangue. Poi siamo scesi a piedi sulle scale con lo scatolone, io sono rimasto nell’androne mentre Curcio ha preso la Passat parcheggiata, ha aperto il cancello centrale d’ingresso, ed abbiamo messo lo scatolone nel bagagliaio. Abbiamo portato lo scatolone con il cadavere nel box. Siamo andati da Floreale e gli abbiamo dato le chiavi dell’appartamento».
L’atroce delitto si è consumato nell’appartamento di piazza Prealpi 2. È il 24 novembre 2009, Lea – separata con una banale scusa da Denise – si ritrova faccia a faccia con i suoi assassini. Ma cosa è successo realmente nell’appartamento prestato da Floreale? Quante persone sono presenti? Chi ha colpito Lea con tutta questa violenza? Le versioni di Venturino e di Cosco non sono in grado di accertare la realtà dei fatti. «Non si può ritenere accertato», si legge nelle motivazioni, «alla stregua delle dichiarazioni di Venturino – cui quelle di Carlo Cosco non danno riscontro -, cosa sia realmente successo all’interno dell’appartamento di piazza Prealpi, né quali e quante persone fossero presenti, prima, durante e dopo l’arrivo di Lea e Carlo».
Il mandante «figlio di puttana» assiste all’esecuzione
Si può, facilmente, immaginare la reazione animalesca di questi vigliacchi, dopo i vari tentativi miseramente falliti registrati nel corso degli anni e dei giorni precedenti. Gli unici dati certi riguardano il prelevamento della donna nei pressi dell’Arco della Pace alle ore 18:39, grazie alle immagini registrate dalle telecamere piazzate nella zona; il trasferimento nel locale di piazza Prealpi e l’aggressione ipotizzata intorno alle 19:03, l’orario dell’ultimo segnale di vita di Lea Garofalo.
Nella sentenza c’è un passaggio molto importante che riguarda il capo dei vigliacchi Carlo Cosco. Lui, «il figlio di puttana», il mandante dell’azione di Milano, ruolo già assunto per l’episodio di Campobasso, «non ha partecipato all’esecuzione materiale dell’omicidio». Non si è sporcato con il sangue di Lea, «tanto da presentarsi, poco dopo, a Denise, con gli stessi abiti indossati in precedenza».
Il mandante assiste all’esecuzione, guarda la mamma di sua figlia mentre viene selvaggiamente colpita dai suoi scagnozzi. Tutti gli altri sono preoccupati per gli indumenti sporchi di sangue, «dopo che Floreale ci ha accompagnato in via Canonica», spiega il collaboratore Venturino al magistrato, «dato che io non avevo le chiavi di casa perché le aveva Carlo Cosco, abbiamo deciso di andare a cambiarci gli abiti a casa del nostro amico Valerio De Vita, quello che ha deposto al processo, e con cui in quel periodo conviveva Curcio Rosario. De Vita mi ha prestato dei jeans, mentre Curcio mi ha prestato delle scarpe». Carlo Cosco, però, non ritiene di sostituire i suoi abiti. Non sono sporchi di sangue e, quindi, sua figlia Denise, che incontrerà poco dopo, non potrà accorgersi di eventuali anomalie.
Una leggerezza? No, una certezza.
Sulle macchie di sangue sono molto attenti e scrupolosi. «Tre o quattro giorni dopo – racconta Carmine Venturino – Carlo Cosco mi aveva chiesto se avevamo controllato il divano, infatti noi prima di uscire avevamo rimesso a posto il divano sotto cui c’era il cadavere della Garofalo». Venturino, insieme al Floreale, ritorna sul luogo del delitto e si accorge che «effettivamente il divano era macchiato. C’era una macchia di sangue visibile. Ho detto a Floreale che dovevamo andare a buttare il divano. Faccio presente che si sapeva già che era sparita Lea Garofalo e immagino che Floreale avesse preferito non fare domande perché aveva capito che a casa sua era successo qualcosa. Siamo andati con il solito Fiat Doblò (quello intestato alla Olimpia) in una via vicino a piazza Prealpi ed abbiamo lasciato il divano vicino ai cassonetti dell’immondizia». Un luogo molto adatto per questi scarafaggi!
Gli spostamenti
Grazie ai tabulati telefonici e alla testimonianza di Floreale, i magistrati hanno accertato il trasferimento di Lea dall’appartamento al box di viale Espinasse. «In mancanza di riscontri oggettivi alle affermazioni di Venturino non può dirsi raggiunta la certezza che, quando è stata trasferita nel box, Lea Garofalo fosse già morta, così come non è dato sapere se e quali spostamenti della stessa – viva o morta – vi sono stati prima dell’approdo alla destinazione finale». Il progetto di Carlo Cosco, studiato nei minimi dettagli con i suoi complici, prevede la distruzione del corpo della madre di sua figlia. Nessuna pietà per la donna che lo ha reso lo zimbello di tutti.
Dal box il corpo di Lea viene trasportato nel magazzino degli orrori di San Fruttuoso. Ma c’è il problema delle chiavi, che non si trovano. «Quella notte», racconta l’ex fidanzatino di Denise, «io e Curcio ci incontrammo con Cosco Carlo al Drago Verde, gli spiegammo il problema delle chiavi di Crivaro e che avevamo messo il cadavere di Lea nel box di Floreale, lui è rimasto un po’ perplesso dicendogli che Floreale ci aveva detto che sino all’indomani mattina nessuno si sarebbe recato nel box». E si adegua alla nuova inaspettata situazione, con un ordine preciso: «il piano di seppellire Lea Garofalo è saltato, la dovete bruciare, la dovete carbonizzare».
«La bastarda se n’era addunata»
La bastarda se ne era accorta. Con questa frase, riferita a Venturino, Carlo Cosco dimostra tutto il suo cinismo da ‘ndranghetista. La donna, sola (nella sua vita è stata abbandonata da tutti) e disperata, si accorge della sua fine per mano di un gruppo di vigliacchi. E l’epilogo arriva nel peggiore dei modi, ampiamente pronosticato dalla fimmina calabrese.
«La cosa peggiore», si legge nel suo memoriale, «è che conosco già il destino che mi spetta, dopo essere stata colpita negli interessi materiali e affettivi arriverà la morte! Inaspettata, indegna e inesorabile…». E con la morte violenta arriva la distruzione del cadavere.
La mattina del 25 novembre Carmine Venturino incontra, nel cortile di viale Montello, Vito Cosco, «che mi aveva detto di andare al magazzino di Crivaro con il solito furgone, il Fiat Doblò e che lui e Curcio Rosario mi avrebbero raggiunto sul magazzino dopo essere andati a prendere il cadavere della Garofalo dal box di Floreale». Venturino giunge al magazzino, ma non trova nessuno. Marino, incaricato da Crivaro per la consegna delle chiavi, non è ancora arrivato. La Passat con il corpo senza vita di Lea sta arrivando e non c’è tempo da perdere: il manutengolo telefona a Crivaro, lo raggiunge al cantiere dove lavora. Lo scambio di telefonate tra il proprietario del magazzino e Marino tranquillizza Venturino che torna al magazzino, «c’era già lì ad attendermi Curcio Rosario: era arrivato con la Passat e dentro la Passat c’era lo scatolone con il cadavere». I due parcheggiano la macchina e con il furgone vanno a comprare una tanica di dieci litri di benzina. Al loro ritorno Marino apre il cancello della struttura. Tutto è pronto per la macabra operazione. «Abbiamo preso un grosso fusto di metallo – spiega Pillera, uno degli esecutori -, si tratta di uno di quei fusti alti dove si tiene il petrolio e lo abbiamo spostato in un punto del terreno abbastanza coperto dalla visuale esterna. Abbiamo preso il cadavere aprendo da un lato lo scatolone, ed abbiamo messo il cadavere dentro il fusto, spingendo il corpo in modo che non uscisse dal fusto stesso. Lo abbiamo messo a testa in giù, a livello del bordo superiore del fusto si intravedevano appena le scarpe. Dentro al fusto abbiamo messo anche la borsa che aveva la Garofalo. Il cartone lo abbiamo poi bruciato in seguito all’interno del fusto».
E aggiunge: «Abbiamo versato una parte della benzina sul cadavere ed abbiamo dato fuoco. Il cadavere non bruciava bene, tant’è che ricordo ad un certo punto Curcio mi ha detto che forse non bruciava perché non c’era abbastanza aria dentro il fusto ed allora io con un piccone che era nel magazzino ho fatto diversi buchi nel fusto, mi pare nella parte inferiore dello stesso». Il cadavere della giovane donna brucia lentamente, i buchi fatti con il piccone non accelerano l’operazione.
L’astuzia criminale dei due delinquenti serve a poco. Venturino, l’ex fidanzatino della figlia della donna di cui sta distruggendo il corpo, decide di andare a chiedere consigli a Vito Cosco. Al suo ritorno si accorge «che il cadavere era stato tolto dal fusto. Curcio – spiega lo stratega criminale – aveva messo il cadavere su dei bancali di legno, che stavano bruciando insieme al corpo. Mi ha detto che aveva rovesciato il fusto ed aveva tirato fuori il cadavere utilizzando un’asta da ponteggi, e poi mi aveva detto Curcio che aveva dato fuoco, versando altra benzina, al cadavere ed ai bancali di legno: infatti quando ero tornato la benzina era finita».
«La testa praticamente non c’era più»
Nessuno si accorge di nulla, nemmeno il forte odore di carne bruciata attira l’attenzione dei vicini. «Il cadavere faceva parecchio fumo e c’era un forte odore. Faccio presente che oltre al corpo bruciavano anche i suoi vestiti, il giubbotto e la borsetta. L’odore che si sentiva era proprio di carne bruciata. Nella villetta confinante con il magazzino di Crivaro il proprietario, che è uno zingaro e che so essere anche il proprietario del magazzino di Crivaro, stava bruciando qualcosa, credo delle foglie. Posso immaginare che l’odore di carne bruciata non potesse non averlo sentito».
Nessuno ha parlato, nessuno ha visto, nessuno ha sentito. Tutti muti. E qualcuno, se parla, racconta cazzate!
È lo sfregio finale per la fimmina calabrese.
dal libro UNA FIMMINA CALABRESE
di Paolo De Chiara
Bonfirraro Editore
Una fimmina calabrese, così Lea Garofalo sfidò la ‘ndrangheta
Una fimmina calabrese, così Lea Garofalo sfidò la ‘ndrangheta
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2023-11-25 14:37:03
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