Secondigliano. Paolo Di Lauro ha rinunciato a difendersi e si è affidato a un avvocato di ufficio. Si è svolta l'importante udienza per la cosiddetta faida del principino. La saga criminale che insanguinò Secondigliano nel corso degli anni Novanta.
Una faida scoppiata per un litigio in discoteca tra due gruppi di ragazzi di Secondigliano. Tra le vittime anche Vincenzo Esposito, noto come il principino, nipote di Maria Licciardi, ucciso dopo aver consumato un agguato contro la famiglia Fusco.
Due giorni fa la sua requisitoria del PM Di Dona: richiesti 27 anni ai boss Guido e Raffaele Abbinante, 20 anni a Calzone, ergastolo per Paolo Di Lauro (padrino condannato in via definitiva per un omicidio negli anni Ottanta e per fatti di droga), 30 anni per Raffaele Perfetto, 14 anni per Antonio Leonardi, 23 anni per il pentito Lo Russo, 15 anni per Maurizio Presterei, 16 anni per il pentito Ettore Sabatino, 22 anni per Gennaro Tamburrino, 23 anni per Giuseppe Lo Russo (difeso dai penalisti Antonio Abet e Domenico Dello Iacono).
Una faida iniziata a marzo del 1997, conclusasi nel 2006, con l'omicidio di Modestino Bosco.
Undici omicidi, una scia di sangue che costrinse interi nuclei familiari a lasciare Secondigliano e a emigrare in regioni del nord Italia.
Il Clan Dì Lauro composto da una famiglia criminale che ha visto i figli di Ciruzzo 'o milionario (nella foto in alto le facce dei criminali Di Lauro) diventare boss di camorra ed ereditare lo scettro criminale del padre. Il loro destino era già segnato da quel cognome Di Lauro che, per anni e tutt’ora, è al centro di traffici internazionali di cocaina ma anche infiltrazioni negli appalti e nelle estorsioni.
L’ultimo arresto ha riguardato Marco Di Lauro, avvenuto a Napoli, il 2 marzo 2019. Il covo era a Secondigliano. Come sempre i super latitanti non si spostano dal loro ambito criminale e l’omertà e le collusioni agevolano la latitanza.
Latitante da 14 anni, era il capo del clan. Anche lui spietato e cresciuto a pane e camorra, in una abitazione al quartiere Marianella si nascondeva, nella periferia Nord di Napoli: un blitz congiunto di carabinieri, polizia e guardia di finanza dopo che il suo uomo di fiducia e vivandiere lo aveva tradito, barattando la sua futura condanna (per aver ucciso barbaramente la moglie).
Oggi, Gennaro Tamburino è un collaboratore di giustizia e grazie alla sua collaborazione ha evitato l’ergastolo per quel delitto atroce che vide morire una giovane donna.
Un fiume in piena che ha portato alla luce il modus operandi del clan Di Lauro. Accusatore dei Di Lauro, oltre a consentire la cattura di Marco Di Lauro ha svelato come il clan uccideva, facendo luce su diversi omicidi avvenuti nell’area nord.
Salvatore Tamburrino, vera voce di dentro della mala di Secondigliano, ha aiutato i magistrati anche a far luce sull’omicidio di uno dei ‘pezzi da novanta’ del clan, ossia il ras Ciro Maisto, inchiodando diversi colonnelli del clan del terzo mondo e lo stesso reggente.
«Fu Pasquale Spinelli a raccontarmi le circostanze del fatto quando venni scarcerato. Fu Spinelli che mi disse di essere andato a bussare a Maisto per farlo scendere e si era portato il motorino dietro la villa dicendo ‘ci sono gli amici che ti vogliono parlare’ facendo i nomi di Nunzio Talotti e Raffaele Musolino e disse che alla villa c’era pronto Antonello Faiello che gli sparò.
Chiesi allo Spinelli dei motivi che avevano spinto il clan ad ucciderlo, poichè Maisto era un affiliato storico ai Di Lauro, che aveva commesso anche omicidi per il clan medesimo. Spinelli disse che era un periodo che il Maisto era incontrollabile, trattava male i ragazzi e diceva cose del tipo ‘se io mi giro con gli scissionisti i Di Lauro hanno un problema’. Disse Spinelli che a Marco Di Lauro queste parole avevano dato fastidio ed ordinò di uccidere Maisto».
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2023-12-21 12:46:47
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