“La presente legge, nel rispetto dell’unità nazionale e al fine di rimuovere discriminazioni e disparità di accesso ai servizi essenziali sul territorio, nel rispetto altresì dei princìpi di unità giuridica ed economica, di coesione economica, sociale e territoriale, anche con riferimento all’insularità, nonché dei princìpi di indivisibilità e autonomia e in attuazione del principio di decentramento amministrativo e per favorire la semplificazione e l’accelerazione delle procedure, la responsabilità, la trasparenza e la distribuzione delle competenze idonea ad assicurare il pieno rispetto dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione, nonché del principio solidaristico di cui agli articoli 2 e 5 della Costituzione, definisce i princìpi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e per la modifica e la revoca delle stesse, nonché le relative modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione, nel rispetto delle prerogative e dei Regolamenti parlamentari.”
– si legge questo nel primo punto delle finalità dal testo trasmesso dal Senato alla Camera il 24 gennaio. La Camera, il 26 gennaio, lo ha assegnato alla I Commissione Affari Costituzionali in sede Referente.
Il disegno di legge è stato presentato dal Ministro per gli Affari regionali e le autonomie, il leghista Roberto Calderoli. Questo tema è molto sentito dal Carroccio, tanto da riproporlo da diversi anni, ma lasciando seri dubbi negli altri partiti.
Ma cosa prevede?
Il terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, come modificato nel 2001, prevede essenzialmente che una serie di materie, non affidate in via esclusiva allo Stato centrale, possano essere demandate alla competenza di ogni singola Regione a statuto ordinario, quindi tutte tranne Val d’Aosta, Trentino-Alto Adige, il Friuli-Venezia Giulia, la Sardegna e la Sicilia. La legge che affida le competenze è
“approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”.
Le materie attribuibili alle Regioni sono indicate ai commi 2 e 3 dell’articolo 117 della Costituzione. Si tratta di:
- organizzazione della giustizia di pace;
- norme generali sull’istruzione;
- tutela di ambiente,
- ecosistema e beni culturali;
- rapporti internazionali e con l’Ue;
- commercio estero;
- tutela e sicurezza del lavoro;
- professioni;
- ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi;
- salute;
- alimentazione;
- Protezione civile;
- governo del territorio;
- porti e aeroporti civili;
- reti di trasporto e di navigazione;
- ordinamento della comunicazione;
- produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia;
- previdenza complementare e integrativa;
- finanza pubblica e sistema tributario;
- promozione e organizzazione di attività culturali;
- casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito;
- enti di credito fondiario e agrario.
Inoltre prevede che le Regioni potranno poi a loro volta trasferire le funzioni agli enti amministrativi più vicini ai cittadini: Comuni, Città metropolitane e Province. Si parla però anche dei Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni, punto sul quale si registrano le maggiori divisioni.
I “Livelli essenziali delle prestazioni”, o Lep, sono gli standard minimi dei servizi che devono essere garantiti in tutte le Regioni e rappresentano una tutela per i “diritti civili e sociali” dei cittadini, come sancito dalla Costituzione. Secondo la proposta di legge, l’entità di questi finanziamenti dovrebbe essere definita prima delle richieste di autonomia, ma lo stesso testo legislativo lascia anche alle Regioni la possibilità di stipulare un’intesa anche senza l’emanazione del decreto del Presidente del Consiglio. Per questo, l’esecutivo deve procedere in modo veloce: il testo prevede che abbia 12 mesi di tempo per determinare i livelli minimi ed essenziali delle prestazioni che dovranno essere rispettati dalle Regioni nella gestione delle loro competenze, in modo da avere una certa uniformità nel Paese in temi cruciali come salute, scuola, ambiente e beni culturali.
A far discutere la gran parte dei cittadini, e non solo, del sud-Italia sono soprattutto i finanziamenti. Il testo legislativo evidenzia come senza intesa sui Lep, si procede secondo il criterio della spesa storica:
chi più ha speso negli anni per i servizi corrispondenti alle funzioni, più riceverà. Questa disposizione è al centro delle contestazioni e si parla di “secessione dei ricchi”, visto che così le regioni del Nord risulterebbero enormemente avvantaggiate rispetto a quelle del Sud.
Presentando il provvedimento a Palazzo Madama, Calderoli ha dichiarato:
“Io ho cercato di attuare la Costituzione rispetto a quello che c’è e c’era. Quando mi viene detto che il mio è un ddl ‘spacca Italia’ io dico guardate che l’autonomia differenziata non è nel mio disegno di legge ma è dentro la Costituzione che avete fatto voi. Dicono che voglio incrementare i divari nel Paese, sono 8 mesi che chiedo che mi dicano articolo, comma e riga dove c’è questo peggioramento e incremento dei divari. Io credo di aver preso in mano la questione dei Lep, che nessuno sapeva cosa fossero.
Noi li abbiamo definiti in questa legge e nella legge di bilancio: grazie al professor Cassese sappiamo quali delle 23 materie sono riferibili a diritti civili e sociali e quali no e sappiamo per ciascuna il livello essenziale di prestazione per singole funzioni”.
Ad essere contrari al provvedimento sono la gran parte dei 160 sindaci che aderiscono alla rete Recovery Sud che hanno manifestato annunciando di essere pronti a un “referendum abrogativo” della riforma Calderoli. Dalla parte dei sindaci si è schierato Antonio Decaro, primo cittadino di Bari e presidente di Anci, che ha dichiarato:
“L’autonomia differenziata senza finanziare i livelli essenziali delle prestazioni peggiora la situazione attuale. Perequazione significa dare di più a chi ha più bisogno”.
Per Elisa Scutellà, deputata in quota 5 stelle:
“L’emendamento di FdI? Vorrebbe addolcire la pillola ma in realtà lo spacciano per risolutivo per non perdere del tutto la faccia di fronte ai loro elettori del Sud. Mi chiedo come si possa continuare a sostenere un patto politico Spacca-Italia siglato sulla pelle degli italiani, un baratto scellerato tra l’autonomia voluta dalla Lega e il premierato, bandiera di Fratelli d’Italia. Se questo Governo ha deciso di svendere i nostri asset per addivenire all’irrealizzabile incasso di 20 miliardi dalle privatizzazioni, come pensa di trovare 70 miliardi l’anno per garantire omogeneità di trasferimenti pubblici a livello pro capite per sanità, trasporti e scuola?
Un Paese civile si può definire comunità solo se è in grado di garantire a tutti parità di condizioni nella salute come nella scuola. L’autonomia differenziata amplierà i divari tra le regioni del Nord e del Sud, comporterà una migrazione sempre più consistenze di medici, infermieri ed insegnanti verso le regioni settentrionali. Il quadro che si prospetta è allarmante, auspico che chi come me affronta le quotidiane difficoltà di chi vive al Sud faccia un passo indietro e si ravveda in tempo”.
Il Comitato contro ogni autonomia differenziata ha raccolto in 6.000 firme per chiedere all’Emilia-Romagna di abbandonare la strada dell’autonomia differenziata. Inoltre hanno promosso un sit-in ricordando il rischio di creare un’Italia spaccata in due. Infatti chiedono di
“interrompere qualunque processo di acquisizione di richiesta di ulteriore particolare autonomia differenziata, cosicché dall’eventuale ritiro delle attuali intese non possa seguirne un altro con altra maschera. Il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini dovrebbe ritirare le intese e non adempiere a quello che il ddl Calderoli già ci dice e cioè di inviare le intese già negoziate dalla Conferenza delle Regioni”.
spiega la portavoce Maria Longo.
Sul “piede di guerra” è anche la Chiesa:
“L’autonomia differenziata contiene nel suo corpo la divisione, intesa come volontà egoistica e come perverso progetto politico. La volontà egoistica dei ricchi e dei territori ricchi, il progetto, antico di poco più di quarant’anni fa, di dividere l’Italia, separando il suo Nord, divenuto opulento con le braccia e l’intelligenza dei meridionali, da quel Sud impoverito dalla perdita di risorse, di forze fisiche e intellettuali, svuotato progressivamente di fondamentali ricchezze al posto delle quali sono arrivati a fiumi inganni e false promesse.
La stessa parola, ‘differenziata’ significa che l’autonomia non è uguale per tutte le regioni, che essa, appunto, si differenzia tra quelle forti, che con l’autonomia diventeranno più forti, dalle regioni deboli, che paradossalmente diventeranno più deboli. Insomma, si realizza, anche nelle istituzioni, quella dinamica che legittima l’ingiustizia più grave.
Quella che fa i pochi ricchi nel mondo più ricchi e il novanta per cento degli esseri umani più poveri. Ma, c’è anche un fatto che rende più grave la decisione del Senato e delle forze politiche che l’hanno determinata. Questa trasformazione nel Paese avviene quando due debolezze si intrecciano pericolosamente, quella della politica e quella del Meridione. Basterebbe solo questo per accendere le menti più attente e i cuori più sensibili. E per comprendere meglio che quella parola, accompagnata dal più breve articolo, incomprensibile per la povera gente, i Lep (anche questo a coprire la furbizia dei potenti), risulterà ingannevole anche quando lo Stato, che non ha più soldi, trovasse i tanti miliardi che servirebbero per attuarli.
Il vero inizio del buon cambiamento si avrà quando tutti partiremo dal Sud. Per una sola volta gli altri, che sono ‘lontani’, scendano qui. Idealmente si diventi tutti insieme Sud per coglierne tutto il dolore e insieme tutta la sua grandezza, per fare più ricca tutta l’Italia con il prezioso contributo del Mezzogiorno.
Che il Vangelo e la Costituzione, in questo tempo complesso e difficile, che chiede la generosità e l’impegno politico di tutti, ci tolgano il sonno, divengano un peso sulla nostra coscienza, fino a quando ogni riforma e ogni legge, anche la più piccola, non sia orientata al bene di tutti, iniziando dai più fragili, così da far crescere una comunità rinnovata, fondata sulla solidarietà, sulla giustizia, sulla pace”.
È questa la dura presa di posizione ribadita dal vescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia.
Per il Movimento 5 Stelle in Sicilia in una nota pubblicata dal referente regionale Nuccio Di Paola e dal capogruppo all’Ars Antonio De Luca
“Stanno spaccando l’Italia e affondando la Sicilia nel silenzio generale. Questa destra, Schifani compreso, è peggio dell’invasione delle cavallette. Occorre informare le persone di cosa li aspetta, che la sanità e le scuole, già messe malissimo, rischiano di implodere. Pure Musumeci ha tradito la Sicilia, mentre Schifani parla di aria fritta e ciancia di ipotetiche garanzie che non cambieranno la sostanza per indorare la pillola che ci stanno costringendo ad ingoiare.
Presenteremo una mozione all’Ars, per impegnare il governo ad esperire tutti i tentativi possibili per fermare questa macchina infernale. Quantomeno capiremo chi sono i traditori della Sicilia, chi lavora veramente per i siciliani o chi per il proprio tornaconto personale, inchinandosi alla volontà del proprio partito per garantirsi una ricandidatura. Con il voto complice di tanti siciliani, che hanno tradito la Sicilia, Musumeci compreso, che appena qualche anno fa sul tema non appariva certo favorevole. In Sicilia sembra di essere su un altro pianeta. Si parla di leggi per salvare gli ineleggibili, di spartizione senza pudore delle poltrone della Sanità e si pensa persino a riesumare le Province in contrasto con la legge nazionale. Nulla che interessi realmente ai siciliani che sicuramente avrebbero maggiormente apprezzato il governo regionale se avesse difeso i fondi Fsc che ci sono stati scippati dal governo Meloni o la sanità pubblica che va alla deriva.
E tutto questo con Schifani accondiscendente, salvo una timida e fasulla protesta che, ovviamente, non ha portato a nulla. Quella in discussione a Roma è una riforma che può avere ricadute negative molto, ma molto importanti e la stanno trattando come se si trattasse di una leggina insignificante. La gente non sa nulla o quasi di cosa li aspetta, per questo va informata preparandola per una successiva raccolta di firme per il referendum abrogativo”.
E, subito dopo, pubblicano sui propri social
“l’elenco dei Senatori Siciliani che hanno tradito la Sicilia. Rappresentati dei partiti Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia che hanno votato a favore della secessione a svantaggio della terra in cui sono nati o sono stati eletti, consentendo che la disparità tra Nord e Sud diventi sempre più evidente.
Hanno scelto il tornaconto personale, restando fedeli alle proprie forze politiche a tradizione Nordista. Segnatevi questi nomi e questi partiti, sono proprio queste scelte politiche ad incidere sulla qualità della nostra vita in tutti gli ambiti, da quello sanitario a quello lavorativo”.
E i nomi sono:
per la Lega Bongiorno Giulia e Germanà Nino; per Forza Italia Ternullo Daniela e Craxi Stefania; per Fratelli d’Italia Musumeci Nello, Russo Raoul, Sallemi Salvatore, Pogliese Salvo e Bucalo Carmela.
immagine di copertina presa dal web
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