La scorsa settimana il calendario ci ha riportato anche la Giornata nazionale di sensibilizzazione sui disturbi alimentari. Giorno in cui abbiamo visto discorsi, retoriche, meme, attenzioni sul tema. Che, come sempre accade in questo Paese, non hanno superato il tramonto.
Lo vediamo l’8 marzo, il 25 novembre, il 2 maggio e in tante altre messe cantate (stonate).
L’attenzione e l’impegno dovrebbero essere reali, costanti, quotidiani. Anche oggi, domani, se la sensibilizzazione è vera e non mero sfoggio di ipocrisia. Ovvero uno degli sport nazionali più diffusi. Condividiamo la riflessione/testimonianza di Ilaria Di Roberto, scrittrice ed autrice del libro “Tutto ciò che sono”.
Non riesco a determinare con chiarezza quando i disturbi alimentari abbiano iniziato ad influenzare la mia esistenza: forse nel momento in cui ho realizzato che mio padre non mi avrebbe mai amata quanto se stesso, quando ho compreso che non avrei mai ricevuto quella carezza tanto desiderata. Magari quando le vessazioni dei miei compagni di classe sono diventate così opprimenti da costringermi ad annientare la mia identità, o ancora quando mi sono resa conto che lo specchio non fosse affatto mio amico, come prometteva di essere, e che quei pantaloni taglia 48 sarebbero stati la mia più grande condanna, oltre che l’ingrata fonte delle percosse e del bullismo che subivo quotidianamente tra i banchi di scuola.
Per me, questa giornata è quasi come una celebrazione. L'anoressia è stata per lungo tempo la mia più grande e fedele compagna, il mio rifugio, il mio porto sicuro. Nonostante le visite al pronto soccorso, il numero indeterminato di occasioni in cui ho visto mia madre in preda all'esasperazione, il calo della vista, le flebo, la scomparsa del ciclo mestruale, la degenza e l'incapacità di stare in piedi per più di quindici minuti senza che le mie ginocchia cedessero, l'anoressia mi ha in qualche modo restituito tutte quelle carezze che mi mancavano, lenendo con la sua tacita azione e le sue dita da ragno quei vuoti interiori che necessitavano più che mai di essere colmati.
Mi ha protetta, regalandomi l'illusione di volare in alto, anche quando l'ago della bilancia si avvicinava sempre più allo zero, facendomi rasentare un fondo che sapeva di morte.
Ogni volta che ho cercato di parlare di questo con persone al di fuori del mio circuito familiare, ho avuto la sensazione di non essere creduta, se non addirittura ghettizzata. Ho perso il conto delle volte in cui, durante discussioni aperte con i miei amici in cui accennavo di essere affetta da anoressia nervosa, venivo scherzosamente ritenuta “disturbata”.
E in realtà era così, perché per quanto quelle parole affondassero le proprie lame in quel che rimaneva della mia pelle e per quanto ogni fuorviante tentativo di edulcorazione potesse apparire come risolutivo, il disturbo era effettivamente radicato nella mia mente. Era lo stesso che distorceva l'immagine riflessa nello specchio, che mi faceva confondere una costola sporgente con un chilo di grasso, che mi faceva declinare ogni possibile momento di convivialità con le persone che amavo, che mi poneva nella condizioni di invidiare le mie compagne di degenza che pesavano 35 chili e che mi induceva a percepire il cibo come un mostro a tre teste, come una vera e propria minaccia anziché un piacere o un mezzo per mantenermi in vita. Solo adesso mi rendo conto di quanto il giudizio collettivo e l'ignoranza su questo tema possano essere limitanti per noi aspiranti “farfalle”.
È così che ci chiamano, vero?
Ergo, sei vittima di bullismo a causa del tuo peso? Niente paura! In qualche parte del mondo troverai sempre qualcuno pronto a consolarti con aforismi di elevata taratura: "Ma cosa ti importa? Gli uomini amano le donne formose! Le ossa sono per i cani!". Come se astenersi dall’affossare una persona per il suo peso implicasse, in una qualche maniera, l’impellenza di screditare o denigrare le donne sottopeso o affette da anoressia nervosa. È sorprendente notare come le persone cerchino di trovare un senso di civiltà ed empatia creando un nemico immaginario che diventa inevitabilmente un bersaglio sostitutivo.
Per essere onesti, non ci consenti di porre l'accento sul tuo sovrappeso? Bene! Decidiamo, quindi, di attaccare le ragazze magre così, una volta terminata la lunga sequela di illazioni, torneremo a disquisire sull'innaturalezza delle donne normopeso che, nonostante si impegnino in palestra o seguano uno stile di vita sano, saranno sempre accusate di essere “tutte rifatte”.
"Sei povero/a? Va bene, le persone benestanti sono tutte superficiali".
"Sei anoressica? Considerati fortunato/a, le persone sovrappeso venderebbero un rene per avere il tuo aspetto!"
"Sei obeso/a? Non preoccuparti, gli uomini adorano le curve. Cosa te ne fai dei manici di scopa?"
Il rispetto per gli altri non è sufficiente, dobbiamo aizzare ostilità, competizioni, propinare dei modelli da seguire per alimentare la nostra autostima. Il rispetto implica sacrificio, e spesso questo sacrificio consiste nel sopprimere qualcuno come pegno e ammenda per i nostri fallimenti, come un modo per salvaguardare la nostra dignità.
Tuttavia, dobbiamo ricordare che con queste azioni retoriche e di benaltrismo, non otterremo mai ciò che auspichiamo: augurare che una donna magra diventi cibo per cani non farà dimagrire una donna in sovrappeso. Criticare una persona benestante non ci renderà meno poveri, e insultare una persona sovrappeso non ci renderà più magri o più belli. Gettare fango sugli altri non migliorerà la nostra vita, perché il male che viene brutalmente inflitto imbruttisce chi lo infligge, non chi lo riceve.
Anch'io ho sofferto di obesità in passato, ma ora sono felice. Come ho fatto? Costruendo la mia felicità tassello per tassello, giorno dopo giorno, investendo il mio tempo e le mie energie sul mio percorso anziché sulla svalutazione altrui. E posso garantirvi che non è stato necessario immolare qualcuno per diventare la persona che sono oggi.
Ferire gli altri può temporaneamente distogliere l'attenzione dalle nostre ferite, ma la domanda è un'altra: svaniranno?
Allo stato attuale non posso affermare con certezza di essere guarita completamente dai disturbi alimentari, forse perché sento ancora la mancanza di quella carezza in più o perché inconsciamente sto ancora cercando quel corpo perfetto e irraggiungibile che nella mia mente sarebbe più degno di amore del mio attuale contenitore. Ma non smetterò mai di lottare affinché io e tante altre donne con il medesimo problema possiamo regalarci amore e concederci quel briciolo in più necessario per vivere appieno, emozionarci e vincere.
I NOSTRI PRECEDENTI ARTICOLI
Ilaria Di Roberto, quest’anno sarà vera Pasqua, di rinascita e liberazione
https://www.wordnews.it/ilaria-di-roberto-questanno-sara-vera-pasqua-di-rinascita-e-liberazione
«Ora vado, non voglio perdermi neanche un momento della mia rinascita»
https://www.wordnews.it/ora-vado-non-voglio-perdermi-neanche-un-momento-della-mia-rinascita
Le coraggiose lotte contro le violenze di oppressioni criminali di Luana e Ilaria
Una società patriarcale che non rispetta una donna Nata Libera
Il revenge porn e le orrende perversioni che corrono sempre più sulla rete
Revenge porn, perversione criminale contro le donne
Criminali complici dei carnefici
Il diritto all'autodeterminazione delle donne è inviolabile
In solidarietà a tutte le donne derise ed umiliate
«Voglio mostrare alle donne vittime di violenza come si vive non come si muore»
«Tutto ciò che sono», è uscito il nuovo libro di Ilaria Di Roberto
«Tutto ciò che sono», una rivalsa per le donne vittime della violenza patriarcale
Lilith, hanno cercato di oscurarla ma la sua ribellione risplende nei millenni
Cultura dello stupro, molestie da strada e l’industria della violenza sessuale
«Voglio mostrare alle donne vittime di violenza come si vive non come si muore»
«Tutto ciò che sono», è uscito il nuovo libro di Ilaria Di Roberto
(si può acquistare su tutti i principali bookstore online e sul sito della casa editrice qui https://www.europaedizioni.com/prodotti/tutto-cio-che-sono-ilaria-di-roberto/ )
L'appello alle donne: «tornate ad essere libere»
«Tutto ciò che sono», una rivalsa per le donne vittime della violenza patriarcale
Basta! Anche io ora dico la mia
Per le donne vittime di violenza essere sopravvissute è considerata una colpa in questa società
«Non siamo un sesso debole, siamo sopravvissute»
Condanna della Corte Europea per i Diritti Umani per vittimizzazione secondaria in tribunale
Non esistono carnefici buoni, le vere intenzioni si svelano sempre
Vigliacchi, violenti criminali pullulano, chi denuncia viene rimosso
uploads/images/image_750x422_65f7287749795.jpg
2024-03-19 15:26:33
3