«Nonostante un gravissimo silenzio e una gravissima ignoranza indotta nell'opinione pubblica, sull'argomento noi magistrati avevamo già una sentenza che aveva condannato definitivamente il senatore Dell'Utri per concorso in associazione mafiosa. Questa stabiliva e statuiva che l’allora imprenditore Silvio Berlusconi nel 1974 con l'intermediazione di Marcello Dell'Utri avesse stipulato un patto con esponenti apicali, esponenti di vertice della Cosa Nostra palermitana. Patto di reciproca protezione e sostegno. E che quel patto era stato rispettato dal 1974 almeno fino al 1992».
Nino Di Matteo
L'Italia è il Paese che ama. L'Italia è il Paese che non dimentica. L'Italia ricorda solo e soltanto personaggetti che nulla hanno lasciato di buono. Chi ci ha rimesso la pelle – per la nostra libertà (dal fascismo e dalle mafie) viene definito eroe (gli eroi non eistono) e viene relegato nel dimenticatoio. La naftalina viene tolta una volta ogni anno per la riesumazione commemoratica. Inutile, dannoso e insensato esercizio di memoria.
Per altri, invece, il ricordo vivido e affranto sembra essere quotidiano. Berlusconi di qua e Berlusconi di là. Dopo un anno dalla sua morte siamo pieni di santini dell'uomo di Arcore (sappiamo bene come lo chiamava il suo alleato Bossi). Manca a tutti (loro). Non lo hanno dimenticato, molti non possono dimenticarlo.
Marcello Dell'Utri, indipendentemente dal sequestro di quasi 20 milioni di euro (soldi di B. non dichiarati), lo deve ricordare. Il suo amico – di lunga data – ha fatto molto per lui. Insieme hanno costruito un partito (ancora di governo). Gli amici degli amici non si possono dimenticare facilmente. Lo stalliere di Arcore, il mafioso Vittorio Mangano, ne è il fulgido esempio. Gli "Amici" non si tradiscono.
Da vivo era l'Unto del Signore, da morto lo dovete fare Santo (tanto uno in più, uno in meno…).
Ha creato le televisioni (con i decreti di Craxi), ha offerto posti di lavoro. Ha vinto con il Milan, aveva la Standa, i giornali. Milano2, Milano3. Si è sacrificato per il Paese. Ma chi gliel'ha fatto fare? Poteva fare l'imprenditore, senza entrare nella palude politica. Lo ha fatto per spirito nazionale, per salvare le nostre Istituzioni. Per rialzare il nostro Paese "orribilmente sporco". Solo per i cazzi suoi (e, forse, di qualcun'altro), ovviamente.
Nessuno, a una anno dalla sua morte, pone in maniera insistente una semplice domanda: ma dove ha preso i soldi il Berlusca? Come nasce la "fortuna" di Silvio Berlusconi?
Nessuno elenca i processi, le prescrizioni, la condanna ai servizi sociali, l'esclusione dalla vita politica (legge Severino). Ovviamente, è stato riabilitato. E le figure di merda in Europa? Le leggi fatte per salvare le sue aziende, che stavano fallendo? La Banca Rasini di Milano, i rapporti con i mafiosi?
La cacciata di Fini, i contratti con i suoi alleati politici. La fondazione di un partito (Forza Italia) con il suo amico condannato a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Il lascito sempre al suo amico Dell'Utri. I rapporti con la P2, con Gelli, con la Massoneria.
A nessuno frega un cazzo.
Ormai il suo nome è stato scolpito nel marmo. Il passato (mai approfondito) deve essere dimenticato, come le tante ragazze (a libro paga ed elette in Parlamento) che hanno accompagnato gli ultimi anni del sultano di Arcore.
L'Italia è un Paese strano, un Paese senza memoria. Dove le persone perbene (Ambrosoli, Siani, Falcone, Borsellino, Pasolini, Alpi, Chinnici, Mancini… e tantissimi altri) vengono ricordate – forse – per un giorno e chi ha fatto intrallazzi (documentati) viene omaggiato con libri, serie Tv, programmi televisivi e manifestazioni struggenti.
Visto che non siete riusciti (solo per problemi di tempo) a farlo Presidente della Repubblica, fatelo Santo.
n.b.: ma non dimenticate l'ex presidente (il peggiore di tutti) della Repubblica Giorgio Napolitano.
«La Trattativa continuò anche con il Governo Berlusconi. Dell’Utri, lo spiegano i giudici nella sentenza, rappresentò a Berlusconi le richieste di Cosa nostra.
E dicono i giudici che quel Governo tentò di adoperarsi, non riuscendoci per motivi che non dipendevano dalla volontà del premier, per accontentare alcune delle richieste di Riina.
Dice quella sentenza che un presidente del consiglio del Governo italiano, nello stesso momento in cui era presidente del consiglio, continuava a pagare, come aveva fatto nel 1974, cospicue somme di denaro a Cosa nostra».
Nino Di Matteo, Roma, 14 novembre 2018
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