La Magistratura rappresenta l’unica categoria professionale i cui componenti vengono sottoposti, nel corso della carriera a ben sette valutazioni di professionalità con cadenza quadriennale.
Si ravvisa l’esigenza di trovare un delicatissimo punto di equilibrio tra la necessità di garantire elevatissimi standard di professionalità ed il pericolo che l’attività di valutazione possa trasmodare in una distorsione della costruzione orizzontale della magistratura.
Invero, alla luce delle recenti riforme ordinamentali, non bisogna sottovalutare il pericolo che le valutazioni quadriennali si pieghino ad una deriva aziendalistica tesa al raggiungimento degli obiettivi (stabiliti dai capi degli uffici) e alla drastica riduzione dei tempi della complessiva risposta alla domanda di giustizia, con innegabile sacrificio dei profili qualitativi della risposta giurisdizionale.
Il quotidiano lavoro del Magistrato, a fronte del delicatissimo compito di composizione dei conflitti che passa per una sovente non agevole opera di interpretazione del dettato normativo, non può ridursi ad una valutazione in termini meramente numerici. In tale ottica occorre una sempre maggiore responsabilizzazione dei Capi degli Uffici, il cui giudizio valutativo eventualmente positivo espresso e motivato nel rapporto informativo, se condiviso dal Consiglio Giudiziario, può portare ad una procedura semplificata.
Altra fonte di preoccupazione è legata alla tendenza alla verifica di asserite anomalie del lavoro svolto dal singolo magistrato, che spesso si traduce in una non attenta analisi della “tenuta” dei provvedimenti emessi dal magistrato nelle fasi successive del procedimento o in sede di impugnazione, senza completa ricerca delle cause della fisiologica riforma dei provvedimenti, nella conclamata certezza che la valutazione non può riguardare
«l’attività di interpretazione di norme di diritto, né quella di valutazione del fatto e delle prove».
Qualora invece nell’analisi quadriennale della professionalità del Magistrato vengano ravvisate ipotesi di negligenza inescusabile o di ignoranza tali da aver determinato grave violazione di legge o travisamento dei fatti (o, ancora, emissione di provvedimenti privi di motivazione), la chiave di lettura e di analisi di tali patologie non può essere quella delle valutazioni di professionalità bensì quella del procedimento disciplinare, con il carattere giurisdizionale ad esso connesso sia con riferimento alla tipicità degli illeciti che al rispetto del contraddittorio e delle garanzie, pena la indebita trasformazione del procedimento valutativo della professionalità in un giudizio disciplinare mascherato privo delle garanzie per l’incolpato.
L’istituto della valutazione di professionalità deve pertanto essere riportato al suo naturale alveo di verifica della capacità del singolo Magistrato di organizzare il proprio lavoro con ossequiosa attenzione ai prerequisiti di indipendenza, imparzialità ed equilibrio e nell’assoluto rispetto dei parametri della capacità, laboriosità, diligenza e impegno senza che nello stesso contesto vengano utilizzati elementi valutati con il metro proprio del giudizio disciplinare o dell’incompatibilità ambientale.
Anche con riferimento alle procedure di conferma negli incarichi direttivi e semidirettivi, appare necessario da un lato che si proceda con assoluta tempestività al fine di garantire effettività all’istituto, e che l’iter valutativo si attenga rigidamente ai parametri previsti dalla normativa di riferimento, senza l’introduzione di fattori esogeni, la cui origine e genuinità è sovente di difficile vaglio, che rischino di trasformare il procedimento amministrativo in un disciplinare surrogato privo di adeguato contraddittorio.
ant. sch.
immagine di copertina pixabay
LEGGI ANCHE:
– «Non è una riforma della giustizia ma dei magistrati. Inutile e pericolosa.»
- Caselli: «È evidente che si vogliono intimidire i magistrati»
- Riforma della giustizia approvata in CDM
- La schiforma sulla Giustizia sta camminando
uploads/images/image_750x422_668cff4fd67dd.jpg
2024-07-14 15:52:48
13