La riforma sull’autonomia differenziata è stata approvata pure alla Camera nella notte del 19 giugno, dopo un lungo iter fatto pure di sconti pressoché politici. È favorevole o contrario? Perché?
Siamo tutti a conoscenza del fatto che l’approvazione è frutto di uno sciagurato patto tripartito che comprende le aspirazioni autoritarie del premierato e la confusa controriforma della giustizia: ognuna delle tre forze di maggioranza vuole piantare la sua bandierina, senza curarsi degli effetti che pone in essere. Per quanto riguarda l’autonomia differenziata, è tempo di chiamare le cose con il nome che autenticamente le definisce: qui bisogna dire con chiarezza che si tratta della disintegrazione dell’unità nazionale. Su questa norma si misura la differenza tra chi guarda a un modello di Paese capace di ridurre i divari e chi invece pensa che sia arrivato il momento di sancire per legge la divisone esistente tra nord e sud. La mia posizione è esattamente quella che esprimo dal 2018 ed è basata sui principi costituzionali di riferimento: l’uguaglianza sostanziale dei cittadini della Repubblica può essere assicurata soltanto attraverso la preliminare realizzazione effettiva della perequazione dei diritti fra le diverse aree del Paese, con attenzione centrata su sanità, istruzione e mobilità. Con questa approvata secessione dei ricchi, invece, alcuni pretenderebbero di correre i 100 metri partendo 50 metri avanti: è una frode bella e buona.
Che valutazione dà al Ddl Calderoli?
Il Ddl Calderoli delinea lo sfascio di qualsiasi ipotesi di solidarietà tra i territori e tra i cittadini della Repubblica. I divari esistenti vengono, infatti, fotografati e fissati per sempre; lo Stato rinuncia a qualsiasi opera di riequilibrio; chi è già avanti andrà ancora più avanti e chi è indietro verrà lasciato al suo destino. E non è una questione di meridionalismo piagnucoloso. Ogni anno, lo Stato spende 17.065 Euro per un cittadino del Centro-Nord e 13.394 Euro per un cittadino del Sud. Si tratta di 3671 Euro di differenza. Se la spesa pubblica per un meridionale fosse pari alla spesa pubblica per un settentrionale, lo Stato ogni anno dovrebbe spendere in più nel Mezzogiorno 76 miliardi di Euro. Parliamo di questo; risolviamo questa anomalia e poi vediamo se il leghista Calderoli avrà ancora voglia di parlare di autonomia.
C’è chi dice che per primi, questa, legge, l’ha voluta il centro sinistra con il Titolo V della Costituzione nel 2001. È giusta questa analisi?
Se questa è l’unica giustificazione che riesce a trovare la maggioranza di destra, è messa davvero male perché sarebbe come dire che stanno attuando una idea della sinistra! In realtà, già il solo fatto di sentire il bisogno di discolparsi è indice della coscienza di stare facendo qualcosa di enormemente sbagliato. Appellarsi, poi, a una riforma di 24 anni fa, quando perfino il PD neanche esisteva, denuncia una evidente e consapevole mancanza di argomenti. Premesso, infatti, che quella riforma vide diverse critiche all’interno dello stesso centro sinistra di allora, personalmente l’ho sempre considerata un errore per il solo fatta di essere stata concepita al fine di inseguire un modello vagamente federale teso a inseguire (inutilmente) le istanze bossiane. Detto questo, da quella modifica costituzionale si potevano tirare fuori diversi modelli di legislazione ordinaria: il testo Calderoli è il peggiore che si poteva partorire.
Il Titolo V riformato nel 2001 afferma il principio di sussidiarietà verticale, non solo tra Stato e Regioni, ma tra Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni. Tale sussidiarietà, in linea di principio, oltre a venire incontro alla specificità dei territori, dovrebbe avvicinare i servizi ai cittadini, dando loro un maggior controllo su come vengono spesi i soldi delle tasse da essi pagate. Ritiene che tale principio sia valido, ben espresso dall’attuale Titolo V e, infine, ben rispettato dal ddl di attuazione. Se no, perché?
Ma nella legge Calderoli non c’è nessuna sussidiarietà verticale! Il fondo perequativo diventa un pallido miraggio; il livellamento verso l’alto della concreta possibilità di esercizio dei diritti sociali viene ignorato; le Regioni diventano staterelli come nell’Italia preunitaria. Quelle stesse Regioni che, invece, andrebbero ripensate alla luce delle esigenze di un ritorno alla centralità dello Stato in ordine a quelle materie che richiedono standard e garanzie univoche su tutto il territorio nazionale. L’architrave e la straordinaria modernità della nostra Costituzione risiedono nel secondo comma dell’articolo 3: il compito della Repubblica è di rimuovere gli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione alla vita del Paese. Ma se la Repubblica diventa un’accozzaglia di 21 sistemi istituzionali diversi e concorrenti, la Repubblica non c’è più.
Titolo V nel 2001 voluto dal centro sinistra e criticato dal centro destra e Ddl Calderoli oggi voluto dal centrodestra e criticato dal centro sinistra. Non si corre il rischio che tutto si concluda solo come una mera opposizione politica mettendo da parte i veri bisogni dei cittadini?
Sull’errore commesso con la Riforma del Titolo V, mi pare di essermi espresso senza lasciare adito a dubbi. Sul fatto che il Ddl Calderoli ne abbia tratto il peggio, sono stato altrettanto chiaro. Ed è proprio in nome dei bisogni e delle legittime attese dei cittadini che è necessario battersi contro questo scempio. La marea di dissenso che sta salendo dalla società civile, dai corpi intermedi, dalla Chiesa, rivela che non siamo di fronte a uno sterile gioco di contrapposizioni tra partiti: qui è in gioco il futuro del nostro Paese. I diritti fondamentali e sociali di ogni cittadino della Repubblica non possono dipendere dalla fortuna di nascere in questa o in quella Regione. Il cardine attorno al quale ruota la nostra opposizione all’autonomia è tutto qui.
Diversi sindaci hanno fatto appelli o pressioni alla Regioni (vedi caso Calabria) per impugnare la legge sull’autonomia differenziata dinanzi alla Corte Costituzionale. Che cosa ne pensa?
Come dicevo prima, non solo i sindaci ma la cittadinanza attiva nel suo insieme. E la regione Calabria non può restare immobile. Se davvero il Presidente Occhiuto si è reso conto del gioco romano che si sta consumando sulla pelle dei meridionali, e dei calabresi in particolare, allora agisca di conseguenza: venga in Consiglio regionale, metta la sua posizione ufficialmente nero su bianco, si faccia promotore in Calabria di una raccolta firme e, nel contempo, si unisca alle altre Regioni che intendono proporre ricorso alla Corte Costituzionale contro questa legge truffa. Prima dell’appartenenza di partito, viene l’appartenenza alla propria terra e l’adesione allo spirito più autentico della nostra Costituzione. Davanti al pericolo, anzi, alla certezza che, su materie di particolare delicatezza e su diritti fondamentali come la tutela della salute, l’istruzione, il lavoro, l’ambiente, l’energia e i beni culturali, possa concretizzarsi una demolizione mediante l’annientamento dei principi solidaristici e mutualistici immanenti alla Carta costituzionale, non c’è un minuto da perdere.
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