La riforma sull’autonomia differenziata è stata approvata pure alla Camera nella notte del 19 giugno, dopo un lungo iter fatto pure di scontri pressoché politici. È favorevole o contrario? Perchè?
Sull’autonomia differenziata, il mio parere è chiaramente contrario, e vorrei spiegare le ragioni di questa posizione. Sebbene l’idea di concedere maggiori autonomie alle regioni possa apparire allettante, la legge quadro appena approvata presenta numerosi punti critici rispetto a quanto prevede l’art. 116 della nostra Carta costituzionale.
Innanzitutto, il rischio principale di questa legge quadro sull’autonomia differenziata è quello di aumentare le disuguaglianze territoriali, mettendo a repentaglio il principio costituzionale di solidarietà nazionale. La riforma, così come è stata disegnata dalla legge quadro (Calderoli), non garantisce adeguati meccanismi di perequazione finanziaria.
Senza un solido sistema di redistribuzione delle risorse, le regioni con meno risorse potrebbero non essere in grado di fornire servizi essenziali di qualità ai loro cittadini, minando il diritto all’uguaglianza di trattamento per tutti gli italiani. Un altro aspetto critico riguarda i Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP).
La legge quadro non fornisce sufficienti garanzie sulla definizione e sul finanziamento dei LEP, che sono fondamentali per assicurare che tutti i cittadini, indipendentemente dalla regione di residenza, abbiano accesso a servizi pubblici di base come sanità, istruzione e trasporti. Senza una chiara definizione e un adeguato finanziamento dei LEP, esiste il rischio concreto che le disuguaglianze tra le diverse aree del Paese si accentuino ulteriormente. La legge si limita a prevedere il finanziamento sulla base delle risorse in essere, circostanza che non da certo garanzie.
Infine, è preoccupante l’assenza di un quadro chiaro su come verranno gestite le competenze trasferite alle regioni. Senza una chiara definizione dei limiti e delle responsabilità, si rischia di creare confusione e inefficienza amministrativa, con possibili conflitti tra livelli di governo. Per tutte queste ragioni, ritengo che la riforma, così come concepita dalla legge quadro, non sia la risposta giusta alle esigenze del nostro Paese.
Dovremmo invece lavorare per un sistema di autonomia differenziata in linea con l’art. 116 della Costituzione che garantisca efficienza, equità e solidarietà, valori fondamentali della nostra Costituzione.
Che valutazione generale dà al Ddl Calderoli?
La mia valutazione è nettamente negativa, innanzitutto sul versante finanziario, vi sono dati contraddittori e poco equilibrati in merito, in secondo luogo perché si altera l’equilibrio tra le istituzioni dello Stato.
C’è chi dice che per primi, questa legge, l’ha voluta il centro sinistra con il Titolo V della Costituzione nel 2001. È giusta questa analisi?
L’analisi secondo cui il centrosinistra ha gettato le basi per l’autonomia differenziata con la riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001 è corretta. È vero che la modifica costituzionale voluta dal centrosinistra ha introdotto il concetto di autonomia differenziata, prevedendo la possibilità per le regioni di ottenere forme e condizioni particolari di autonomia attraverso un’intesa con lo Stato.
Tuttavia, la legge quadro attuativa recentemente approvata, conosciuta come Calderoli, sembra discostarsi significativamente dallo spirito originario del Titolo V e dai criteri stabiliti dall’articolo 116 della Costituzione. La riforma del Titolo V aveva l’obiettivo di razionalizzare e migliorare l’efficienza amministrativa, garantendo nel contempo un equilibrio tra le diverse regioni.
Essa prevedeva che le regioni potessero ottenere ulteriori competenze solo attraverso una procedura chiara e condivisa con lo Stato centrale. L’intento era di creare un sistema di autonomia che fosse differenziato, ma all’interno di un quadro di unità nazionale e solidarietà.
La Legge Calderoli, invece, sembra spingere verso un’autonomia di tipo speciale piuttosto che differenziata. Questa legge prevede la possibilità di trasferire una vasta gamma di competenze alle regioni richiedenti, senza garantire adeguati meccanismi di perequazione finanziaria e senza una chiara definizione e finanziamento dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP).
Questo approccio rischia di amplificare le disuguaglianze esistenti tra le regioni più ricche e quelle meno sviluppate, andando oltre quanto previsto dall’articolo 116 della Costituzione, che richiede che l’autonomia sia concessa nel rispetto dei principi di unità e solidarietà nazionale.
Il Titolo V riformato nel 2001 afferma il principio di sussidiarietà verticale, non solo tra Stato e Regioni, ma tra Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni. Tale sussidiarietà, in linea di principio, oltre a venire incontro alle specificità dei territori, dovrebbe avvicinare i servizi ai cittadini, dando loro un maggior controllo su come vengono spesi i soldi delle tasse da essi pagate. Ritiene che tale principio sia valido, ben espresso dall’attuale Titolo V e, infine, ben rispettato dal ddl di attuazione? Se no, perché?
Il principio di sussidiarietà verticale introdotto con la riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001 è certamente valido e ben espresso. Questo principio, che prevede una distribuzione delle competenze e delle responsabilità non solo tra Stato e Regioni, ma anche tra Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni, mira a migliorare l’efficienza amministrativa e ad avvicinare i servizi ai cittadini.
L’idea è che i livelli di governo più vicini ai cittadini possano meglio comprendere e rispondere alle loro esigenze specifiche, garantendo così un utilizzo più efficace delle risorse pubbliche.
In conclusione, mentre il principio di sussidiarietà verticale del Titolo V è valido e ben espresso, la legge quadro Calderoli di attuazione presenta diverse criticità che potrebbero compromettere la sua applicazione pratica. Per rispettare pienamente questo principio, sarebbe necessario un sistema di finanziamento più equo e una chiara definizione delle competenze e delle risorse necessarie a tutti i livelli di governo.
Titolo V nel 2001 voluto dal centro sinistra e criticato dal centro destra e Ddl Calderoli oggi voluto dal centrodestra e criticato dal centro sinistra. Non si corre il rischio che il tutto si concluda solo come una mera opposizione politica mettendo da parte i veri bisogni dei cittadini?
Il rischio che la discussione sull’autonomia differenziata si trasformi in una mera opposizione politica esiste certamente, e potrebbe distogliere l’attenzione dai veri bisogni dei cittadini, che oggi sembrano ignorati dal Governo, mi riferisco alla costante crescita della povertà, alla mancanza di alloggi pubblici, alla mancanza di sussidi per gli affitti per le classi meno ambienti, alla mancanza di finanziamenti adeguati per il servizio sanitario nazionale, alla mancanza di interventi per le persone con disabilità, e tanto altro che non sto a citare.
La riforma del Titolo V nel 2001, voluta dal centrosinistra e criticata dal centrodestra, ha introdotto il principio di sussidiarietà con l’intento di avvicinare i servizi ai cittadini e rendere più efficiente la gestione delle risorse, mentre il la Legge quadro sembra che invece di decentramento attui una riforma improntata all’autonomia speciale, come quella delle Regioni Statuto speciale.
Diversi sindaci hanno fatto appelli o pressioni alle Regioni (vedi caso Calabria) per impugnare la legge sull’autonomia differenziata dinanzi alla Corte Costituzionale. Che cosa ne pensa?
Sono favorevole all’impugnativa della legge sull’autonomia differenziata dinanzi alla Corte Costituzionale o alla promozione di un referendum abrogativo, perché come dicevo la Legge Calderoli rischia di aumentare le disuguaglianze territoriali, mettendo a repentaglio il principio costituzionale di solidarietà nazionale.
Andiamo ai Lep perché è qui che la maggior parte del panorama politico si spacca: c’è chi afferma che sarà più dannoso per le regioni del sud e c’è chi dice che sarà un aiuto concreto e che finalmente farà mettere tutte le Regioni d’Italia sullo stesso livello. Quale dei due casi è giusto secondo lei e perchè?
Credo che l’efficacia dei LEP dipenderà molto da come saranno implementati e finanziati. È essenziale che la definizione dei LEP sia chiara e che ci siano adeguati meccanismi di finanziamento e controllo.
Senza queste garanzie, c’è il rischio che le regioni più deboli non riescano a raggiungere gli standard previsti, peggiorando le disuguaglianze. Tuttavia, se implementati correttamente, i LEP potrebbero rappresentare un passo importante verso l’equità territoriale e il miglioramento dei servizi pubblici in tutta Italia.
C’è chi afferma, però, che con l’autonomia differenziata di risorse ce ne saranno sempre di meno…
Così come formulata la legge le preoccupazioni riguardo alla diminuzione delle risorse sono fondate e meritevoli di considerazione, ma occorre tenere distinto il concetto di autonomia differenziata previsto dall’art. 116 della Costituzione e la sua applicazione prevista dalla legge quadro Calderoli. Quest’ultima porta ad una distribuzione iniqua delle risorse, con conseguenze negative soprattutto per le regioni meno sviluppate.
Ma secondo lei bastano questi Lep a garantire diritti di cittadinanza uguali per tutti?
In sintesi, i LEP sono un elemento fondamentale per garantire diritti di cittadinanza uguali per tutti, ma devono essere parte di un sistema più ampio che includa controlli rigorosi e un finanziamento adeguato.
Solo in questo modo si può evitare che rimangano solo una buona intenzione sulla carta e si assicuri che tutti i cittadini possano beneficiare di servizi pubblici di qualità, indipendentemente dalla loro regione di residenza.
Andando al tema sanità, tema così tanto delicato nel nostro paese, che impatto avrà questa legge proprio sulla sanità?
L’autonomia differenziata come disegnata dall’Art. 116 della Costituzione potrebbe portare a benefici in termini di adattamento e innovazione nei servizi sanitari, ma non con la legge quadro Calderoli da poco, manca un adeguato finanziamento per i servizi sanitari su base adeguate misure di supporto e controllo per evitare un aumento delle disuguaglianze e per garantire che tutti i cittadini abbiano accesso a cure sanitarie di qualità.
Trova aspetti critici in questo Ddl? Se è si, quali e perché?
Gli aspetti critici sono l’equilibrio finanziario, il ruolo del Parlamento nel processo, il rischio di accentuare le differenze tra le regioni del Nord e del Sud, e la piena aderenza al principio di sussidiarietà.
In questa legge mancano:
- Adeguati meccanismi di perequazione finanziaria per sostenere le regioni meno ricche.
- Un sistema di monitoraggio efficace per assicurare che i Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) siano rispettati e attuati uniformemente.
- Un ruolo chiaro e significativo del Parlamento per mantenere la supervisione e il controllo centralizzato necessari.
- Supporto e formazione adeguati alle amministrazioni regionali per gestire efficacemente le nuove competenze.
A conti fatti qual è il vero scopo di questa manovra?
La manovra sull’autonomia differenziata sembra più un tentativo di soddisfare le richieste politiche di una parte della maggioranza di governo, piuttosto che una riforma studiata per migliorare realmente l’efficienza e l’equità dei servizi pubblici. Facendo ciò, si rischia di aumentare le disuguaglianze territoriali e di compromettere la qualità dei servizi essenziali, con un impatto negativo soprattutto sulle regioni meno avvantaggiate.
Questo approccio, a lungo termine, potrebbe danneggiare l’unità nazionale e la coesione sociale, rendendo evidente che una riforma di tale portata dovrebbe essere basata su una pianificazione più attenta e inclusiva, piuttosto che su calcoli politici di breve termine.
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