La riforma sull’autonomia differenziata è stata approvata pure alla Camera nella notte del 19 giugno, dopo un lungo iter fatto pure di scontri pressoché politici. È favorevole o contrario? Perchè?
In data 3 febbraio 2023 il Consiglio dei ministri ha definitivamente approvato la quinta bozza Calderoli sull’autonomia differenziata. Già l’elevato numero di riscritture del testo dimostra la schizofrenia con cui Governo e maggioranza hanno proceduto su un terreno a dir poco sensibile, introducendo piccole ‘toppe’ per provare ad annacquare le parti più indigeribili del disegno tanto caldeggiato dalla Lega. Il tutto, però, senza scalfire minimamente un quadro che resta profondamente allarmante. Il disegno di legge rischia di frantumare il Paese con conseguenze devastanti sul futuro di milioni di cittadini.
Si gettano le premesse per accrescere ulteriormente le differenze tra regioni del Nord e regioni del Sud, ma anche tra aree e territori dello stesso Nord. Il rischio è soprattutto quello di cristallizzare, se non ampliare, le disuguaglianze oggi esistenti tra cittadini che fruiscono di certi servizi, a un certo livello, e cittadini destinati a non beneficiarne o a beneficiarne in termini del tutto insufficienti. Esito inammissibile, se pensiamo che sono in gioco settori come sanità, istruzione, trasporti locali, energia. Il M5S non è contrario pregiudizialmente al riconoscimento di maggiore autonomia territoriale, è però fermamente contrario a questo progetto di autonomia, sia nel metodo che nel merito.
Dal nostro punto di vista non è percorribile alcun progetto di autonomia senza prima aver non solo definito i Lep, ovvero i Livelli essenziali delle prestazioni da garantire in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, ma anche chiarito quali sono le fonti di finanziamento: i Lep costano, inutile e dannoso far finta di nulla Le enormi preoccupazioni che accompagnano il ddl Calderoli sull’autonomia differenziata, inoltre, devono essere valutate non solo in riferimento ai contenuti del ddl, ma anche ai passaggi già approvati, e non meno allarmanti, all’interno della Legge di bilancio (commi da 791 a 801 dell’articolo 1 della Legge di bilancio per il 2023). È bene sempre riferirsi al combinato disposto Ddl e Legge di bilancio.
La legge Calderoli sull’Autonomia differenziata determinerebbe la frattura definitiva tra i cittadini italiani e le istituzioni, produrrebbe una scissione economica, sociale e culturale, in barba alla Costituzione che dice che la Repubblica è una e indivisibile. Non esiste nessun documento con il quale il ministro Calderoli e la sua maggioranza hanno fornito prove a supporto della teoria secondo cui con l’autonomia differenziata si favorirebbe la crescita del Paese. Anzi, semmai abbiamo innumerevoli prove contrarie e sappiamo che con il regionalismo c’è stata l’esplosione del debito pubblico e la crescita esponenziale della crisi del sistema sanitario.
Che valutazione generale dà al Ddl Calderoli?
Dalle audizioni degli esperti è arrivata una sonora bocciatura dell’autonomia differenziata della Lega. Il Ddl Calderoli è stato definito un pericoloso disegno che finisce per sostituire le Regioni allo Stato e produce immediati e duraturi effetti sfavorevoli per la coesione del Paese. Il presidente della Svimez ha sottolineato come il testo sia impraticabile sotto il profilo finanziario, dal momento che non prevede fondi di perequazione territoriale e che cristallizza la spesa storica invece di superarla. Svimez stima in almeno un centinaio di miliardi i soldi necessari per finanziare i Lep.
Il ddl esautora il Parlamento, relegandolo a un ruolo decorativo, con la semplice espressione di pareri non vincolanti sui Dlgs di determinazione dei Lep. Su questo, quindi, Camera e Senato non toccano palla. Sulle intese tra Stato e singole Regioni, invece, l’ultima bozza parla di Camere che possono esprimere atti di indirizzo, ma nulla di più.
Andiamo ai Lep perché è qui che la maggior parte del panorama politico si spacca: c’è chi afferma che sarà più dannoso per le regioni del sud e c’è chi dice che sarà un aiuto concreto e che finalmente farà mettere tutte le Regioni d’Italia sullo stesso livello. Quale dei due casi è giusto secondo lei e perchè?
Il ddl Calderoli è intriso di un’inaccettabile ipocrisia sui Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti in modo omogeneo a tutti i cittadini per poter fruire di uguali diritti in settori come sanità, istruzione, trasporti, energia.
Il testo sembra consapevole del fatto che prima di tutto vanno determinati i Lep, ma la loro definizione viene affidata ai Dlgs scritti da una Cabina di regia totalmente governativa, a trazione leghista, o in subordine a un Commissario nominato da Calderoli. Il problema, poi, è che i Lep non vanno solo definiti, ma anche garantiti. E per farlo ci vogliono soldi, risorse adeguate. Esempio: con i Lep si può stabilire che le scuole debbano avere un minimo di studenti, con costi di un certo tipo, oppure che debbano avere anche le mense, con costi totalmente diversi. Svimez calcola fino a 100 miliardi di euro per finanziare seriamente i Lep.
Qui il ddl Calderoli si limita a un generico riferimento a decisioni che verranno prese in Legge di bilancio, dove però le esigenze contabili del Governo, finora totalmente votato all’austerità, mettono a repentaglio ogni serio tentativo di reperire risorse congrue
Andando al tema sanità, tema così tanto delicato nel nostro paese, che impatto avrà questa legge proprio sulla sanità?
Già dopo la riforma del titolo V della Costituzione, i divari sono aumentati. Noi abbiamo già oggi, nella sanità, la prova delle degenerazioni create da 20 anni di regionalismo differenziato. Registriamo sperequazioni pronunciatissime tra Regioni, nonostante la definizione dei Lea (Livelli essenziali di assistenza), mai monitorati, mai adeguati o corretti per colmare veramente i divari.
Non c’è solo la pandemia a insegnarci come sia indispensabile investire nel settore in modo uniforme in tutto il Paese. Ad insegnarcelo ci sono anche 30 anni di erosione del SSN, nato come servizio universale ed equo, invidiato da quasi tutto il mondo. Già oggi non è così e la sanità regionalizzata non garantisce i LEA a tutti i cittadini. Al Sud la Sanità è già al collasso, con l’Autonomia questo disastro si estenderà a tutte le materie oggetto delle intese.
E’ evidente a tutti che con l’Autonomia differenziata il diritto alla Salute è seriamente a rischio: non potranno più essere assicurati ai cittadini i principi di universalità e uguaglianza. Così si scardina ogni barlume di coesione sociale, le liste d’attesa si allungheranno da nord a sud e i cittadini migreranno sempre di più da una regione all’altra o si rivolgeranno al privato più di oggi. Così lo Stato abdica dal suo compito di garantire la salute ai cittadini.
Trova aspetti critici in questo Ddl? Se è si, quali e perché?
Spaccare l’Italia arreca danni non solo al Sud ma anche allo stesso Nord. Si pensa che sviluppare il porto di Napoli o di Gioia Tauro porti benefici solo al Sud? Sarebbe un errore, è noto che ogni euro investito nel Mezzogiorno porta vari vantaggi anche alle regioni settentrionali. Il sud, peraltro, è il primo mercato del nord. L’autonomia differenziata farebbe danni enormi allo sviluppo di tutto il Paese. L’autonomia differenziata assesta un colpo di grazia al sistema nazionale di istruzione, in palese violazione della Costituzione.
Questo è stato ribadito nel corso delle audizioni degli esperti. Nel disastro generale che scaturirebbe dall’approvazione di questa legge scellerata, si innesta la assoluta follia di immaginare un sistema di istruzione regionale, con programmi differenti e diversi livelli e qualità dei servizi erogati agli studenti. Già oggi l’istruzione in Italia corre a velocità diverse, il governo, per accontentare le mire propagandistiche della Lega, intende aggravare e cristallizzare questa situazione che creerà studenti di serie A, di serie B e anche di serie C. Il governo deve spiegare concretamente come pensa di demandare alle Regioni la gestione dei Trasporti.
Cosa accadrà a una nave che partendo da Napoli seguendo una disciplina regionale, si troverà poi a doverne rispettare un’altra nella regione di approdo? Come pensano di garantire il diritto di spostamento dei cittadini con un assetto feudale come quello dell’Autonomia? Siamo di fronte a uno scenario paradossale. Oggi si deve pensare su scala continentale e invece la Lega ci propone un modello vecchio di decenni, collocando l’Italia fuori dalla storia. Una responsabilità ce l’hanno anche i media: bisogna far capire ai cittadini cosa può accadere di qui a breve, invece nei programmi televisivi se ne parla pochissimo. Nel ddl non c’è uno straccio di riferimento alla necessità di motivare, da parte di una Regione interessata, la richiesta di autonomia. Eppure in gioco ci sono 23 materie che, come poi ha fatto capire Calderoli, sono di fatto “scomponibili” in 500 funzioni, in pratica la declinazione al dettaglio dei vari poteri aggiuntivi esercitabili in quelle materie. Ce ne sono alcune che secondo noi hanno un’evidente dimensione sovranazionale come l’energia o alla ricerca aerospaziale e che quindi non dovrebbero essere riconosciute alle Regioni senza battere ciglio. Si rischia quella che l’economista Gianfranco Viesti ha chiamato la ‘liquefazione dello Stato’. Non ci sono riferimenti veri ai meccanismi di finanziamento del Fondo perequativo, strumento indispensabile al riequilibrio tra territori a maggiore e minore capacità fiscale
A conti fatti qual è il vero scopo di questa manovra?
Il governo vuole rendere compiuta la secessione immaginata dalla Lega ai suoi albori, calpestando l’idea dello Stato come soggetto in grado di tutelare i cittadini. Il progetto autonomista è a dir poco anacronistico in questa fase storica, con le risorse portate in dote dal Recovery Fund, ottenuto da Giuseppe Conte, che hanno proprio l’obiettivo di accorciare le distanze territoriali. Se il Pnrr significa per l’Italia più di 200 miliardi è perché c’è il Mezzogiorno. Tra i criteri di ripartizione delle risorse del Recovery Fund, infatti, c’erano la densità della popolazione, il tasso di disoccupazione e il livello di Pil pro capite. A nessuno può sfuggire quanto abbiano contato i divari del Meridione nel fruttare all’Italia 200 miliardi. Divari che devono essere colmati, non approfonditi.
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