Paolo Sorrentino ci insegna come si racconta una vita, e lo fa senza censura, in tutta sincerità con convinzione, uscendo dalla propria interiorità. Parthenope è il personaggio da lui creato; Parthenope, il lungometraggio nelle sale da pochi giorni, scritto e diretto da Paolo Sorrentino. Arriva dal mare Parthenope, da uno dei posti più belli al mondo, nata nelle acque del Golfo di Napoli, le stesse acque che le hanno dato la vita e che poi le daranno anche il male. Il dolore della perdita di una persona cara non perdona, commuta sì, ma persiste condizionando le sue scelte nel decorrere degli anni, sempre alla ricerca delle stesse emozioni, oramai perse.
A cosa stai pensando? è una domanda ricorrente che Sorrentino fa porre ai suoi personaggi, condividendo le risposte tra sguardi intensi e pensieri espressi in gesti seduttivi in un atmosfera felliniana di alto livello. Infatti, Sorrentino, con questa pellicola, conferma il suo stile riconoscibile per l’utilizzo di simbolismi e surrealismi. Rispecchia la sua città natale, Napoli, attraversata da una dea senza pudore, che passa senza soluzione di continuità dai vicoli alle spiagge di Posillipo, mescolando alto e basso, miseria e nobiltà, desiderio e carnalità.
Convince l’interpretazione dell’attrice ventiseienne Celeste dalla Porta nel ruolo di Parthenope, per la naturalezza e per la bellezza con cui si muove sul grande schermo. Coinvolge soprattutto la sua giovinezza e la scioltezza di trovarsi al proprio agio anche nelle scene più complesse, sicuramente dovuto a uno studio scrupoloso, diretto da un regista determinato e esaustivo.
L’amore e la tragedia si intrecciano, rendendo Parthenope una figura metaforica che rappresenta il legame indissolubile tra Napoli e l’amore fatale, romantico e materno. A Napoli c’è posto per tutto e per tutti. Parthenope seduce, istiga, provoca, distrugge e dona al pubblico un’esperienza sensoriale, emotiva, intellettuale e visiva, una sorta di grande giovinezza infinita che fa impazzire tutti.
Alla domanda: A cosa stai pensando? risponde in finale Silvio Orlando, nel ruolo del professor Devoto Marotta, con: Sto pensando che l’antropologia è vedere. Vivere vedendo, consiglia Paolo Sorrentino, lasciandosi scorrere addosso le immagini e la vita, che all’improvviso è già vissuta, come la nostra, col tempo che passa e non perdona.
“Non sei né giovane né vecchio Ma è come se dormissi dopo pranzo Sognando di entrambe queste età”.
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