“La grande ambizione, oltre che necessaria per la lotta, non è neanche spregevole moralmente, tutt’altro: tutto sta nel vedere se l’«ambizioso» si eleva dopo aver fatto il deserto intorno a sé, o se il suo elevarsi è condizionato [consapevolmente] dall’elevarsi di tutto uno strato sociale e se l’ambizioso vede appunto la propria elevazione come elemento dell’elevazione generale.
Di solito si vede la lotta delle piccole ambizioni (de proprio particulare) contro la grande ambizione (che è indissolubile dal bene collettivo).”
Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere 6 – VIII
di Giulia Fuschino
Andrea Segre ha ufficialmente presentato il suo nuovo film al diciannovesimo Festival del Cinema di Roma (settembre 2024), il quale, pur uscendo nelle sale dal 31 ottobre, ha ottenuto già in quella sede un immediato successo, tanto che Elio Germano, che veste i panni di Enrico Berlinguer, ha vinto il premio ‘Vittorio Gassman’ per il miglior attore protagonista.
Il presente articolo, tuttavia, non vuole andare a commentare il valore tecnico del film né tantomeno farne un’analisi politico-storiografica: l’autrice riferisce, anche per questioni anagrafiche, solo l’impressione da spettatrice e ne fa una recensione anche alla luce del messaggio ultimo del film, che così tanto ha colpito il vario pubblico nelle sale di tutta Italia.
Come chiarisce la didascalia iniziale, la sceneggiatura si concentra sul periodo di segreteria di Enrico Berlinguer al Partito Comunista Italiano dal 1973 al 1978, specificamente dall’immediato post golpe cileno e l’attentato da lui subìto in Bulgaria all’uccisione di Aldo Moro.
Pur nei limiti del prodotto artistico, il film risulta molto preciso ed accurato nella ricostruzione storica anche grazie all’uso di filmati di repertorio. Ma il pregio consiste nel non voler produrre un documentario o peggio un memoriale, distorsione politica di cui la figura del Segretario è stata sempre oggetto dalla sua morte in poi (un esempio è il documentario Quando c’era Berlinguer di Valter Veltroni, 2014).
La sfida a cui il regista e soprattutto Germano si sono sottoposti e che emerge chiaramente è questa: restituire Enrico Berlinguer per com’era ed agì nello spazio di tempo preso in esame, quali gli anni cruciali in cui il P.C.I. dovette confrontarsi col terrorismo sia nero che rosso e con la necessità di una stabilizzazione dell’assetto repubblicano contro le correnti eversive, il processo di emancipazione femminile. Ma, come è reso in maniera eccelsa da Elio Germano, Berlinguer è anche un compagno, un segretario molto amato dalla popolazione; infatti il regista sottolinea proprio il diretto rapporto tra lui e le federazioni, sezioni, borgate, consigli di fabbrica; d’altro canto, la caratterizzazione si muove anche su altri due rapporti diretti: quello con l’apparato dirigente del Partito e con l’Unione sovietica e quello, più privato, con la propria famiglia. Ne emerge così per lo spettatore un tentativo di ricostruzione globale della personalità del Segretario, ricostruzione molto difficile considerando tutti i tentativi odierni di attribuzione politica della sua eredità, di revisione e di contestazione che animano il dibattito da lui in vita e soprattutto da quarant’anni.
La lode maggiore ad Andrea Segre, Marco Pettanello (co-sceneggiatore) e a tutta la produzione sta dunque nel aver fatto un film corale e sentito come una necessità, ossia quella di far arrivare a spettatori di tutte le età la figura storica di Berlinguer, il P.C.I. in quegli anni, il duro rapporto con l’URSS di Breznev sul cosiddetto “euro-comunismo” e l’apertura alle masse cattoliche, il fallimento della “via democratica al Socialismo” operata da Salvador Allende nel 1973.
Ma soprattutto il merito di questo film sta nel suscitare un continuo dibattito tra generazioni diverse: il regista e Germano sono nati negli anni ’80, in sala con chi vi scrive c’era chi ha vissuto personalmente quegli anni e chi scrive che ne ha 27. E tutti, a prescindere dall’appartenenza politica o età, ci siamo chiesti: ma qual’è questa ‘grande ambizione’ che fa da sottotitolo al film? Il compromesso storico con la Democrazia Cristiana come strategia di sopravvivenza? Molti hanno risposto di sì. Tuttavia, chi scrive vuole porre l’attenzione su due punti nodali del film:
-
l’incipit con la citazione dai Quaderni dal carcere di Antonio Gramsci: «Di solito si vede la lotta delle piccole ambizioni (de proprio particulare») contro la grande ambizione, che è invece indissolubile dal bene collettivo.» che si è riportata integralmente per una migliore comprensione, sopra;
-
Il discorso che Berlinguer fa ai figli: «penso che voi sappiate bene quanto la vita di un militante sia sacrificata alla causa per la quale lotta.»
Tenendo presente questi due punti e lo snodo storico, si potrebbe affermare che il significato di ‘grande ambizione’ non si debba cercare in una risoluzione pratica fatta da l Segretario (es. il compromesso) ma in tutto lo spirito che egli ha messo nel perseguire la causa, pur nell’avvio al tramonto, inevitabile del Comunismo. Causa che lui stesso chiarisce essere: «solo percorrendo una via diversa, noi possiamo giungere al Socialismo». Pur tenendo presente le difficoltà materiali, le frizioni ideologiche e l’impossibilità di movimento del P.C.I. in questa rotta a causa dell’ingerenza americana sul paese e dell’Unione sovietica sul partito, Berlinguer tenta. E’ uno sforzo a cui ha dedicato la militanza, tentare come un Allende, sia pur in un contesto molto diverso. Ossia attuare quello che già Togliatti aveva in mente, una «terza via». Giusto o sbagliato si possa ritenere (non è volontà del regista fare un processo politico), quel che arriva allo spettatore e che, chi scrive ritiene, sia l’obiettivo ultimo del film è lo sforzo personale e professionale di Enrico Berlinguer a traghettare il PCI verso una grande ambizione, che in definitiva, al di là delle tifoserie, risulta essere:
«affrontare le sconfinate distese del mare che ci sta davanti per giungere ad approdi nuovi per far avanzare il nostro paese, l’Europa, tutta l’umanità» (E. Berlinguer)
Sia pur una strada senza uscita, impossibile nei fatti, quella percorsa da Berlinguer viene restituita, nei suoi propri limiti e nei limiti del prodotto cinematografico, come una missione a cui si può sacrificare un’intera vita, missione che è indissolubile dal bene collettivo.