Il giorno dopo il Natale, una quiete forzata,
il cielo si stende, ma resta appesantito.
Non canti di gioia, non luci d’argento,
solo il gelo pungente che bacia il cemento.
Le campane dormono, i fucili si svegliano,
nel cuore la paura, nei volti il tormento.
Un pane spezzato tra mani tremanti,
la guerra non conosce né santi né amanti.
In un angolo oscuro, un soldato ripensa,
a casa lontana, a quella presenza,
che ora è un ricordo, un’eco sfumata,
mentre il fronte lo chiama con voce glaciale.
La neve si posa su un casco d’acciaio,
la candela del cuore diventa un roveto.
Un pensiero si leva, più forte del freddo,
per un mondo che torni a sognare in segreto.
Il 26 porta domande mai dette:
può il Natale curare ferite già aperte?
Può la speranza, così fragile e pura,
sopravvivere in mezzo a questa paura?
Eppure, in un gesto, una mano si tende,
un soldato nemico a un altro sorride.
Per un attimo breve, la guerra si arresta,
e l’uomo si scopre più forte della tempesta.