“La Corte costituzionale ha deciso il 20 gennaio, in camera di consiglio, il giudizio sull’ammissibilità della richiesta di referendum abrogativo denominata “Legge 26 giugno 2024, n. 86, Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione: abrogazione totale”.
La Corte ha rilevato che l’oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari. Ciò pregiudica la possibilità di una scelta consapevole da parte dell’elettore. Il referendum verrebbe ad avere una portata che ne altera la funzione, risolvendosi in una scelta sull’autonomia differenziata, come tale, e in definitiva sull’art. 116, terzo comma, della Costituzione; il che non può essere oggetto di referendum abrogativo, ma solo eventualmente di una revisione costituzionale.”
Fa sapere questo la Corte Costituzionale nel comunicato pubblicato.
In effetti la stessa Corte costituzionale il 14 novembre scorso, in seguito al ricorso di quattro regioni a guida centrosinistra, ha emesso una sentenza che ha di fatto smontato la legge impugnata cancellando ben 7 punti e riscrivendone in modo “costituzionalmente corretto” altri 5 e quindi, della legge Calderoli, resta ben poco.
Con questa pronuncia la Corte Costituzionale vorrebbe dire su cosa si dovrebbe votare se non c’è più l’oggetto della legge? Infatti di quel ddl Calderoli resta solo il principio dell’autonomia, già sancito dal Titolo V del 2001.
Ma cosa succederà adesso?
Adesso ci dovrà essere nuovamente la fase operativa avrà tempi ben lunghi. Le Camere, hanno dettato i giudici costituzionali, si devono poter esprimere compiutamente su tutti i passaggi fondamentali della riforma, dai provvedimenti che fissano gli ormai famosi Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), sui quali si sa ancora poco o nulla, fino alle intese con le singole regioni. Inoltre ad essere trasferite non potranno essere le materie in blocco ma solo singole funzioni. Come se non bastasse, va preventivamente calcolato l’impatto dei Lep e del loro finanziamento integrale su saldi di finanza pubblica che difficilmente possono sopportare nuova spesa e quindi difficilmente finanziabili.
Nella maggioranza, giustamente, si esulta per la sentenza in quanto non dovrà più combattere contro chi tacciava questa legge come “spacca Italia”: “Ora avanti tutta”, afferma il presidente del Veneto Luca Zaia.
“Mi pare di capire che la legge resta valida, vanno fatti dunque quei correttivi chieste dalla Corte in precedenza, va applicata la sentenza dei giudici per i 7 punti indicati, quindi integrare dove la corte richiede di farlo. L’iter si accorcia, ora il Parlamento può intervenire, recependo i rilievi precedenti, sulla parziale illegittimità della legge. Ora è chiaro il percorso”
spiega Alberto Balboni, ad Adnkronos, senatore di Fdi e presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato.
Per Alfio Mannino, segretario regionale in Sicilia della CGIL:
“Continuiamo a ritenere che l’autonomia differenziata sia una misura nefasta per il Mezzogiorno e per la Sicilia e continueremo a contrastarla con tutti i mezzi a nostra disposizione. Sarà comunque una stagione referendaria importante per ridare dignità al lavoro e liberarlo da sottosalario, sfruttamento, precarietà e per allargare i diritti di cittadinanza. La battaglia contro l’autonomia differenziata ora continua affinchè il Parlamento corregga la legge secondo le indicazioni della Corte Costituzionale e per riportare sui giusti binari le politiche nazionali per lo sviluppo del sud del paese e della nostra regione. Il governo regionale si adoperi a favore della Sicilia in questi delicati passaggi”.
immagine di copertina della Corte Costituzionale