Lunedì 10 febbraio cade il Giorno del Ricordo, istituito con Legge 92 del 2004, per ricordare le vittime delle foibe. Ma di cosa stiamo parlando? Cosa è successo realmente? È giusto il tentativo di equiparare le vittime delle Foibe con le vittime della Resistenza antifascista e antinazista? O, addirittura, con le vittime dell’Olocausto? Ma, soprattutto, perché i numeri delle vittime vengono gonfiati in maniera spropositata? E poi, perché questa tragedia rischia di trasformarsi in una commemorazione fascista?
Per provare a rispondere a tutte queste domande abbiamo contattato lo storico Eric Gobetti, studioso di fascismo, seconda guerra mondiale, Resistenza e storia della Jugoslavia nel ‘900. Autore di diversi documentari e monografie.
Abbiamo focalizzato la nostra attenzione sulla sua pubblicazione “E allora le foibe?”, edita da Laterza.
Nella piacevole conversazione l’esperto ha sottolineato che le celebrazioni mirano a equiparare i crimini nazisti a quelli delle foibe, scagionando i fascisti dalle loro colpe. Le foibe sono considerate una reazione a violenze subite in precedenza e non colpiscono gli italiani in quanto tali, ma principalmente collaborazionisti e fascisti. Abbiamo discusso della disinformazione diffusa su questi eventi, con cifre gonfiate per aumentare l’importanza politica delle foibe.
Non abbiamo dimenticato una famosa foto storica (che trovate all’interno dell’intervista) utilizzata per rappresentare i crimini delle foibe, ma che in realtà mostra un crimine fascista. Senza tralasciare il fatto che l’Italia non abbia mai fatto veramente i conti con la propria storia, utilizzando una narrazione distorta del fascismo.
«Non è un caso che le due giornate (Giornata della Memoria e Giorno del ricordo, nda) hanno nomi così simili. Sono molto vicine nel tempo e c’è un tentativo, questo fin da quando è stata istituita la giornata, di equiparare le due vicende, di renderle molto simili. Quasi equiparando di fatto, quindi, i crimini nazisti e le foibe».

Perché si tenta questa equiparazione?
«I promotori dell’iniziativa possiamo trovarli nella destra neofascista. Hanno approvato in Parlamento e nei decenni successivi questo tipo di commemorazione anche forze politiche non fasciste, sinceramente democratiche. In alcuni casi addirittura ex comuniste. E sicuramente ci sono intenti diversi da parte di forze politiche diverse nella strumentalizzazione politica di una vicenda storica di per sé abbastanza piccola. Gli intenti sono diversi. Sicuramente fin dall’inizio c’è stata questa volontà, molto chiara della scelta del nome, della vicinanza delle due date…».
Si mette tutto sullo stesso piano…
«Per sminuire i crimini fascisti e nazisti e aumentare il peso dei crimini che senz’altro sono stati commessi anche dalla parte avversa che sono però, come il caso delle foibe insegna, crimini di reazione. Gli antifascisti non hanno aggredito i paesi fascisti, sono i fascisti che hanno aggredito paesi non fascisti. Hanno commesso crimini terrificanti anche prima della guerra. Se pensiamo ai crimini etiopici, ai crimini nazisti contro ebrei, rom e altre categorie di esseri umani».
Mi scusi, ma la famosa affermazione “Italiani, brava gente…”
«Ovviamente anche questo è, come dire, un falso mito. Non che gli italiani siano cattivi. Gli italiani sono come qualunque altro popolo. Possono commettere crimini in un dato contesto, in una data situazione. Il caso dell’Etiopia è uno di questi contesti in cui c’è una guerra di aggressione contro un popolo ritenuto, non solo inferiore, ma proprio subumano. Sostanzialmente nella logica dell’epoca chi si ribella, resiste ad una oppressione, a una invasione porta all’esecuzione di crimini di guerra che l’Italia, l’esercito italiano, ha compiuto al pari di altri eserciti. Non peggio, non meglio di altri. In una logica, non solo imperialista e razzista, ma anche fascista. In cui la violenza è un pregio e non un difetto. La volontà governativa di raggiungere i propri obiettivi attraverso la violenza fisica».
Nel suo libro ha scritto che molte medaglie sono state concesse ai congiunti degli infoibati. Fascisti conclamati, responsabili di crimini di guerra, commemorati da uno Stato nato dalla Lotta di Liberazione. Può spiegare meglio questo concetto?
«Ci sono intenti diversi di strumentalizzazione della giornata da parte delle forze neofasciste che l’hanno voluta. E l’obiettivo è quello non soltanto di equiparare, mettere tutto sullo stesso piano, tutto in un unico calderone per scagionare i fascisti dalle proprie colpe ma anche, addirittura, in qualche modo premiare i fascisti per aver, come dire, difeso il confine, i sacri confini della patria. Una logica ovviamente non patriottica ma di fatto internazionalista, trattandosi di territori che erano in gran parte abitati da una piccola minoranza di italiani, di fatto territori occupati al di fuori dei nostri confini nazionali. Questo esempio delle medaglie è uno degli strumenti utilizzati per premiare dei fascisti. Tra le persone omaggiate con questa onorificenza, prevista dalla legge, ci sono diversi personaggi, non solo fascisti e collaborazionisti dei nazisti, militari che combattevano al fianco dei nazisti, ma in alcuni casi addirittura dei criminali di guerra».
Lei fa un esempio concreto: il fascista tenente colonnello Vincenzo Serrentino, un criminale di guerra, processato e fucilato nel maggio del ‘47. Lei definisce unico il caso di questo fascista?
«Unico caso in cui un criminale di guerra acclarato, anche dalla giustizia italiana, viene premiato sessant’anni anni dopo, premiato con questa onorificenza. Questo dà proprio la misura di come sia cambiata la prospettiva nel nostro Paese rispetto a quella che è stata la seconda guerra mondiale. Altro che la guerra la scrivono i vincitori. Nel caso dell’Italia la storia la stanno scrivendo i vinti. Gli sconfitti della guerra stanno riscrivendo la storia, raccontandola in maniera capovolta e premiando gli sconfitti, anche criminali sconfitti».
In questo strano Paese abbiamo strade e piazze intitolate ai criminali fascisti.
«Diciamo che attraverso la retorica sul tema delle foibe si è potuto raccontare la storia della seconda guerra mondiale in maniera diversa e si è potuto cominciare a criminalizzare la Resistenza, l’Antifascismo e, quindi, di conseguenza a giustificare, se non addirittura a celebrare, i fascisti. Attraverso questo strumento, una sorta di cavallo di Troia, oggi apertamente si celebrano i fascisti, senza più nascondersi dietro le foibe. In alcuni casi intitolando vie».
Ad esempio a Norma Cossetto, definita la “Anna Frank italiana”.
«Una fascista uccisa. Una vittima innocente della guerra, intendiamoci. Non era colpevole di nulla. È stata uccisa ingiustamente. È stata uccisa in quanto fascista. Celebrando lei celebriamo il fascismo. Ma quel caso può essere ancora compreso. Però siamo passati da una Cossetto a fascisti veri e propri che hanno avuto dei ruoli di potere: penso a Italo Balbo e ad altri personaggi del genere. Ovviamente Almirante ha una carriera politica successiva, ma aveva avuto un ruolo anche nella guerra come criminale di guerra al fianco dei nazisti».
A Isernia, dove è nato Farinacci, hanno pensato bene di intitolare una strada per ricordare il pericoloso criminale fascista.
«Tra l’altro il fratello di Farinacci, che presumo fosse anche lui di Isernia, era un comandante di truppe alpine in Montenegro durante la guerra e ed è uno dei primi che si è consegnato ai tedeschi. Praticamente ha consegnato lui e le sue truppe ai tedeschi dopo l’8 settembre».
Ritorniamo all’argomento principale. Cosa sono queste foibe?
«Una reazione, eccessiva sicuramente, a violenze subite in precedenza. Sono due fenomeni differenti l’uno dall’altro: il primo avviene nel ’43, subito dopo l’armistizio dell’8 settembre quando cioè si crea un vuoto di potere nella parte interna dell’Istria, dove non c’è più l’esercito italiano, ma non c’è ancora il controllo tedesco. E in quella fase, che dura poco meno di un mese, ci sono alcune uccisioni. Circa 400/500 persone che vengono colpite perché ritenute, in qualche modo, responsabili delle violenze subite in precedenza, non solo durante la guerra, ma per l’invasione di quei territori. Risaliva a due anni prima ma anche nei vent’anni precedenti perché questi erano territori annessi all’Italia dopo la prima guerra mondiale, dove c’era stata una lunga campagna di italianizzazione forzata, di cancellazione dell’identità slava. La popolazione slava, sostanzialmente, si vendica per quello che ha subito in precedenza. Le vittime, come dire, hanno ruoli di potere nel sistema politico sociale fascista. Sono, soprattutto, gerarchi e funzionari pubblici. Chiaro che gran parte di queste persone non sono i diretti colpevoli delle violenze precedenti, qualcuno lo sarà anche stato. Ma la maggioranza, in realtà, semplicemente rappresentava il potere. Erano considerati corresponsabili della violenza fascista.
La seconda fase di violenza avviene alla fine della guerra e fa più vittime. Stiamo parlando di circa 3.500 vittime italiane. È di fatto una resa dei conti di fine guerra, cioè quello che avviene un po’ in tutta Europa quando i partigiani conquistano il territorio e portano avanti processi sommari, arrestano un certo numero di persone. È un fenomeno che riguarda tutta Europa e tutto il Nord Italia. E in Jugoslavia è particolarmente forte questa repressione, diciamo, di guerra che colpisce però soprattutto jugoslavi. Le vittime della repressione sono decine di migliaia in tutta la Jugoslavia: sloveni, croati e anche una piccola parte di italiani
Quindi è evidente che l’obiettivo non è colpire gli italiani in quanto tali ma soltanto coloro che collaboravano con i nazisti. Quasi tutti sono militari, poi magari spie o persone impiegate nell’amministrazione nazista. Quel territorio era controllato dai tedeschi e quindi era governato direttamente dai nazisti. In questa seconda fase, così come nella prima fase, ci sono anche casi di violenze diciamo personali, vendette personali. Tra le vittime ci sono anche due o tre bambini e qualche donna. Nel ‘45 c’è una piccola parte di vittime che non appartengono alla categoria collaborazionisti ma sono, invece, possibili oppositori politici di quel nuovo sistema politico che si sta creando: la resistenza jugoslava prende il potere alla fine della guerra e crea un sistema politico comunista e secondo la logica stalinista dell’epoca coloro che vengono percepiti come avversari politici vengono eliminati fisicamente. Ci sono degli italiani tra le 3500 vittime che, in realtà, non sono fascisti o collaborazionisti, ma addirittura in alcuni casi antifascisti che vengono considerati pericolosi per il nuovo regime.
In nessuno dei due casi possiamo dire che la violenza colpisce gli italiani in quanto tali. La stragrande maggioranza delle vittime sono uomini adulti che avevano scelto di stare dalla parte del fascismo e del nazismo durante la guerra.
Tutto questo rende questa vicenda, al di là dei numeri, totalmente imparagonabile con le vittime dei crimini nazisti che invece colpiscono interi popoli, quindi dal neonato al novantenne. Cosa che invece non accade assolutamente nel caso delle foibe. Quindi usare l’espressione uccisi solo perché italiani è del tutto falsa».
A proposito di bambini, l’attuale ministro Salvini nel 2019 disse che “i bambini morti nelle foibe e i bimbi Auschwitz sono uguali”. È giusta questa equiparazione con l’Olocausto?
«È assolutamente scorretto. Sono logiche completamente diverse. I bambini morti nella Shoah sono migliaia, i bambini nelle foibe forse sono due o tre. I numeri sono imparagonabili. Dopodiché è ovvio che ogni vittima innocente merita rispetto. Voler paragonare a tutti i costi fenomeni storici che non hanno nessun legame l’uno dall’altro nasconde una volontà di strumentalizzare politicamente la vicenda, raccontandola in maniera scorretta per degli obiettivi politici specifici. È quello che fa Salvini e fanno anche gli altri politici di orientamento di estrema destra».
Un anno prima, nel 2018, il giornalista Paolo Mieli, in una puntata della Grande Storia parla di “decine di migliaia o addirittura centinaia di migliaia di vittime”.
«Mieli non lo conosco personalmente. In un’intervista, quando ha parlato con Gad Lerner, ha risposto: “ma sì, era per dire”. Si è giustificato dicendo “ho detto una cosa così, a occhio”».
Risponde come Gasparri quando parla “di milioni di vittime”.
«Sì, sostanzialmente. Mi viene da dire che ci sono due elementi: il primo è l’ignoranza, purtroppo anche Paolo Mieli è una persona che denota ignoranza su questa specifica vicenda, che è una vicenda molto poco conosciuta anche dagli studiosi perché, in realtà, è molto marginale nella storia. Anche per il contesto della seconda guerra mondiale, con 60 milioni di morti e vittime civili ovunque in tutta Europa. Stragi terrificanti. Questa vicenda tutto sommato si è studiata relativamente poco, per ovvie ragioni. Quindi molte persone, in realtà, non ne sanno quasi nulla e quel poco che sanno lo sanno sulla base di disinformazione diffusa. Dall’altra c’è e ci sono anche, come accennavo prima, intenti politici che non sono di estrema destra necessariamente. Paolo Mieli, al di là che non faccia il politico di mestiere, non ha sicuramente posizioni politiche di estrema destra ma, sicuramente, si sente vicino alle forze politiche che hanno comunque strumentalizzato la vicenda in altri modi e con altri obiettivi. Ad esempio il riferimento alla all’italianità delle vittime è un riferimento che hanno fatto tutti i Presidenti della Repubblica. Non abbiamo mai avuto, per fortuna, fino ad ora un Presidente esplicitamente neofascista».
Lei dice tutti i Presidenti: pure Pertini?
«No, i Presidenti da quando esiste il Giorno del ricordo, da quando viene celebrato regolarmente. Hanno tutti parlato di uccisi solo perché italiani. Oltre a essere falso, stiamo parlando dei Presidenti della Repubblica che hanno tutti gli strumenti per documentarsi sulla vicenda. Diffondere una disinformazione di questo tipo, evidentemente, ha un obiettivo politico e l’obiettivo politico è quello di utilizzare questa vicenda per raccontare un episodio di vittimismo italiano. Una nuova linfa a quel mito degli “italiani brava gente” di cui abbiamo accennato prima. Però è utile alle forze politiche che governano il Paese».
Ma di quante vittime parliamo quando affrontiamo la tematica sulle foibe?
«Si arriva a 4.500, gli storici per stare molto larghi parlano di 5.000 vittime. Chi ha studiato più nel dettaglio la vicenda parla di massimo 3.000 vittime. Questo è significativo, in realtà la politica spesso fa riferimento a 10 mila o 20 mila».
E quanti morti ha causato il nazi-fascismo in Italia?
«Soltanto in quel territorio di confine i fascisti e i nazisti hanno ucciso molte più persone. In una sola operazione militare, nell’ottobre del ‘43 nell’Istria, dove poco prima c’erano state le foibe, i tedeschi fanno 2.500 vittime civili, tra cui moltissimi italiani. Tra l’altro non sono celebrati come vittime delle foibe, naturalmente, perché sono stati uccisi dai nazisti. Non dai cattivi partigiani jugoslavi. E quindi non meritano alcuna celebrazione».
E quanti sono i partigiani uccisi?
«Sui partigiani è un po’ più complicato. Abbiamo dei dati sui partigiani sloveni uccisi nel corso di tutta l’occupazione italiana e siamo nell’ordine delle 3.000 vittime. Però i civili sono di più. Questo è il dato significativo. Le guerre fasciste in Jugoslavia comportano una quantità di vittime civili molto più alte rispetto alle vittime militari o combattenti. È una guerra che colpisce soprattutto le popolazioni. È una guerra animata dall’idea di superiorità razziale, per cui i popoli slavi sono popoli inferiori che possono anche morire».

Nel suo libro parla di “grossolana ignoranza”. Mi riferisco alla famosa foto del 31 luglio del ’42, scattata nel villaggio di Dane. Un tentativo di raccontare la vicenda delle foibe capovolgendo la realtà?
«Come già accennato prima si finisce per capovolgere la realtà e dare tutte le colpe delle violenze, al confine orientale, ai Partigiani che sono quelli che hanno subito l’invasione e hanno semplicemente reagito. E che, certamente, hanno commesso dei crimini di guerra. Ma è una reazione finale di violenza subita in precedenza.
La foto (pubblicata in alto) rappresenta plasticamente questo capovolgimento della realtà. La foto mostra in maniera chiarissima, per gli studiosi ovviamente meno per il grande pubblico, dei soldati italiani che stanno fucilando dei civili. Quei civili uccisi sono cinque contadini sloveni fucilati nel ‘42. Quella foto viene utilizzata per la prima volta da Bruno Vespa, di nuovo un altro giornalista affermato che fa, come dire, egemonia culturale nel nostro Paese, che diffonde disinformazione. Nel suo programma utilizza questa foto per mostrare i crimini delle foibe. E fortunatamente in quel caso era presente una studiosa, Alessandra Carter, che è intervenuta, dicendo “guardate che quella foto rappresenta l’esatto contrario”. Ma ciononostante, quella foto, continua ad essere usata ancora oggi. È la foto più famosa delle foibe. Una foto che rappresenta l’esatto contrario, cioè un crimine fascista in quel territorio».
Perché in Italia non abbiamo mai fatto i conti con la nostra storia?
«Questo ha molto a che fare con il modo in cui l’Italia è uscita dal fascismo e dalla guerra. L’Italia, a differenza della Germania, non ha combattuto fino alla fine uscendo dal conflitto nel ‘43. Mussolini è stato inizialmente deposto dal re, c’è stata la Resistenza. L’Italia si è raccontata la storia della guerra subito, in maniera diversa da come se la potevano raccontare i tedeschi a cui è stata raccontata forzatamente. Il nazismo è stato soppiantato immediatamente da un discorso antinazista, di criminalizzazione del nazismo. In Italia tutto questo non è accaduto. Anche perché nel dopoguerra l’Italia si trova immediatamente sulla linea del fronte della guerra fredda. Una nuova guerra, un nuovo conflitto che è anche un conflitto ideologico. Un conflitto di pensiero in cui i fascisti si sono inseriti nella nuova guerra contro il comunismo. Che c’è di più anticomunista dei fascisti? Vengono arruolati realmente e simbolicamente nella nuova campagna anticomunista.
E questo fa sì che il fascismo viene rapidamente considerato come una parentesi nella storia italiana, la cui responsabilità è esclusivamente addossata a Mussolini. E il popolo italiano, del tutto innocente, non ha mai commesso crimini. E in fondo il fascismo era comunque un regime tutto sommato non-violento, non brutale, eccetera.
Ovviamente tutta questa costruzione viene fatta da molti protagonisti dell’epoca fascista. Hanno costruito un immaginario collettivo che oggi ci portiamo ancora dietro, da cui non riusciamo ancora a liberarci».
Pasolini, nel dopoguerra, parlava di un “nuovo fascismo”. Oggi in quale epoca viviamo?
«Oggi noi viviamo in un Paese democratico governato da forze politiche che sono esplicitamente ispirate a un modello politico non democratico. Le principali forze politiche del Paese si ispirano al fascismo di Mussolini. Hanno busti del duce sul comodino e i loro supporter fanno saluti fascisti un giorno si e un giorno no, senza mai essere puniti dalla legge che esiste e che dovrebbe punirli. È evidente questo riferimento a un sistema politico non democratico. Siamo governati da forze politiche che si ispirano al fascismo. Sono esplicitamente contrari alla democrazia. La democrazia ha anche degli anticorpi e forse è in grado di difendersi. Questo lo vedremo».
Come giudica il gesto di Musk?
«Non ha bisogno di gesti per etichettarsi. È chiaro che tipo di personaggio è e qual è la sua visione del mondo».
Qual è secondo lei?
«Pericolosa, soprattutto per una persona che ha quel potere straordinario, forse maggiore anche dello stesso presidente degli Stati Uniti. A me quel gesto è sembrato chiaramente un saluto nazista. Un saluto molto limpido. Rimane quello che è: una persona pericolosa per il destino dell’umanità».
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