A quarant’anni dall’omicidio di Giancarlo Siani, l’Ordine nazionale dei giornalisti ha organizzato nella sede di via Sommacampagna a Roma un momento di riflessione e memoria. Una giornata intensa, partecipata, intitolata “Il coraggio della verità”, dedicata a quel giovane cronista precario de Il Mattino di Napoli, ucciso dalla camorra il 23 settembre 1985 sotto casa sua, al Vomero, mentre rientrava a bordo della sua iconica Citroen Mehari verde.
Giancarlo avrebbe compiuto quest’anno 65 anni. Ne aveva solo 26 quando venne ammazzato per aver osato scrivere nomi, cognomi, intrecci tra criminalità organizzata e politica, raccontando le contraddizioni e il degrado sociale di Torre Annunziata, la città di cui era corrispondente.
Coordinato da Paola Spadari, l’incontro ha visto la presenza di figure istituzionali e colleghi che da anni custodiscono la memoria del giovane giornalista. A cominciare dal fratello Paolo Siani, che ha sottolineato:
“Giancarlo era un ragazzo normale. La camorra non uccide i giornalisti, la mafia sì. Il precariato lo ha lasciato solo. Oggi, dopo 40 anni, raccontiamo ancora la sua storia perché non venga dimenticato.”
Presente anche il presidente dell’Ordine nazionale Carlo Bartoli, che ha ricordato come la foto di Siani campeggi nella Sala Ocera accanto a quella di Walter Tobagi, ucciso 45 anni fa.
“Quella Mehari è un simbolo di libertà, come il volto fresco e sorridente di Giancarlo.”
Dal presidente della FNSI Vittorio di Trapani al segretario aggiunto Domenico Affinito, l’evento è stato l’occasione per riflettere sul ruolo del giornalismo oggi.
“I giornalisti sotto scorta sono 26. Il precariato oggi è peggiore di ieri”, ha detto Di Trapani. “Occasioni come questa non devono solo commemorare, ma rilanciare un impegno.”
Claudio Silvestri, dell’Ordine della Campania, ha ricordato l’importanza della testimonianza di Paolo Siani nelle scuole, mentre Ottavio Lucarelli ha citato Villa Bruna a San Giorgio a Cremano, dove oggi è custodita la Mehari come simbolo di libertà e memoria civile.
Il momento più toccante è arrivato con le parole del giornalista del Mattino Pietro Perone, collega di Siani:
“Giancarlo è stato ucciso perché era solo. Era un precario, un abusivo. Il giornale dimenticò perfino gli anniversari. Lui voleva solo raccontare la verità, essere normale. Invece è diventato un simbolo.”
Marco Risi, con il film Fortapàsc, ha trasformato Siani nel “giornalista giornalista”. Erri De Luca lo chiamava “il giornalista scalzo”.
Più di 300 articoli scritti senza contratto, con tenacia, rigore e passione. Un esempio per chi crede che il giornalismo non sia solo mestiere, ma missione civile.
L’iniziativa si inserisce in un anno ricco di eventi e pubblicazioni che ricorderanno Giancarlo Siani, tra cui un libro firmato da Pietro Perone, la ristampa dei suoi articoli, e un omaggio dell’attore Alessandro Siani, che ha scelto il suo nome d’arte proprio per non farlo dimenticare.
Il messaggio lanciato dall’Ordine dei giornalisti è chiaro:
ricordare è un dovere, raccontare è un impegno, proteggere chi fa informazione è una responsabilità collettiva.