«Se la tua idea è di continuare così, per me puoi stare a casa!». Così si conclude lo sfogo di un’insegnante, scritto a penna rossa sopra un foglio a quadretti. Uno sfogo che riassume tutta la deriva autoritaria, classista e punitiva della scuola italiana contemporanea.
Una scuola che ha smesso di educare e ha iniziato a selezionare. Che non insegna più, ma cataloga. E chi non rispetta i codici, chi scrive “con i piedi”, chi fa troppi errori, viene deriso, colpevolizzato. Come se gli errori fossero colpe, non tappe di un percorso. Questa non è scuola. È un’istituzione di controllo sociale travestita da educazione.
La scuola moderna è diventata cieca: guarda i voti, non gli studenti. Oggi la scuola si riempie la bocca di “inclusione” e “merito”, ma boccia gli ultimi e premia chi ha già i mezzi per farcela. Mette crocette rosse e richiama all’ordine, dimenticando che il sapere non è una gara ma un diritto costituzionale.
È una scuola che dimentica il contesto sociale, che non si chiede “perché quel ragazzo sbaglia?”, “che lingua si parla a casa?”, “che possibilità ha avuto fino ad oggi?”. Ma si indigna, si offende, si stufa. Non è lo studente a dover cambiare. È la scuola che deve ritrovare il suo senso.
Don Milani non avrebbe corretto in rosso. Avrebbe detto “ti aiuto io”. A Barbiana, don Milani apriva le porte a chi era già stato scartato. Ai poveri, agli ignoranti, ai figli degli operai. E non per fargli la morale, ma per insegnare a difendersi col linguaggio, col pensiero, con la conoscenza. Gli errori erano il punto di partenza, non una vergogna. La scuola era un atto d’amore e di ribellione: o tutti o nessuno.
E se oggi vedesse quella frase – “puoi stare a casa!” – risponderebbe con la stessa forza con cui scrisse la Lettera a una professoressa: “State buttando fuori chi ha più bisogno di voi”.
Una scuola che si stanca degli studenti è una scuola che ha smesso di esistere. La scuola non è un’azienda. Non è un tribunale. Non è un luogo dove i “bravi” sopravvivono e gli altri “possono stare a casa”.
Una scuola che respinge, che umilia, che si lamenta invece di capire, ha perso la sua missione storica e costituzionale.
Non è “stanca” degli errori, è stanca dell’umanità. E questo è il vero dramma.
Il fallimento dell’istruzione pubblica è sotto i nostri occhi. La scuola pubblica, quella che dovrebbe combattere le diseguaglianze, oggi le alimenta. Chi è povero resta indietro. Chi sbaglia viene etichettato. Chi ha una lingua diversa, un modo diverso, una storia diversa, viene invisibilizzato.
“La scuola deve servire ai poveri, altrimenti è solo un privilegio travestito da diritto”.
E allora basta croci rosse e frasi da caserma. Serve una scuola politica, umana, empatica. Che metta al centro le storie e non i punteggi. Che corregga, certo, ma con responsabilità, non con rabbia.
Serve una scuola che crede nei ragazzi, non che li giudica. Oggi più che mai, l’Italia ha bisogno di una scuola come Barbiana. Di maestri che non si arrendano di fronte agli errori. Di educatori che non alzino le mani, ma le tendano. Perché dietro ogni errore c’è una persona. E dietro ogni persona, una possibilità.
La lezione di don Milani non è solo una memoria da celebrare. È una rivoluzione ancora tutta da compiere.