Nel 1964 Stanley Kubrick firmava una delle opere cinematografiche più dissacranti e lucide del Novecento:
“Il dottor Stranamore – ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba”.
Una satira feroce, grottesca, tanto brillante quanto agghiacciante, sull’assurdità della guerra nucleare, sul potere folle affidato a pochi uomini armati di distruzione totale, sull’equilibrio del terrore tra superpotenze.
Nel film, Peter Sellers, geniale interprete, vestiva i panni di ben tre personaggi, tra cui proprio il dottor Stranamore, uno scienziato dalla mente disturbata e fanatico della guerra atomica.
Al centro della trama, un generale statunitense anticomunista ordina autonomamente un attacco nucleare contro l’Unione Sovietica. Un gesto che innesca una spirale tragica e surreale, in cui la follia individuale contagia intere catene di comando.
Consiglio a tutti di vederlo – o rivederlo. Non è solo cinema: è una fotografia spietata della psicosi collettiva che, ancora oggi, sembra governare il mondo.
Perché la verità è che il dottor Stranamore non è rimasto sullo schermo.
Oggi il pianeta pullula di “Stranamore reali”: capi di Stato, leader politici, generali, tecnocrati che giocano con l’equilibrio globale come se fosse un Risiko impazzito.
La fantasia di Kubrick rischia di diventare la nostra realtà.
Nel 2025, il confine tra satira e cronaca è diventato impercettibile.
La follia bellica si è infiltrata nelle cancellerie, nelle narrative pubbliche, persino nei discorsi ufficiali. Minacce atomiche, prove muscolari, retoriche nazionaliste: segnali chiari di un’epoca dove la ragione cede il passo alla strategia del caos.
Peggio ancora, a questa follia si accompagna una ignavia colpevole e complice: quella di chi sa, ma tace. Di chi potrebbe parlare, ma si gira dall’altra parte. Di chi pensa che “tanto non succederà mai”.
È successo. Può risuccedere. Basta un solo ordine.
L’unica via di salvezza è la mobilitazione dei popoli. Ora. Subito.
Una ribellione civile e nonviolenta, culturale e democratica, contro ogni deriva di morte.
Perché i “dottor Stranamore” di oggi, temo, siano irrecuperabili.
E perché la pace non è una concessione. È un diritto.
Ma va preteso. E difeso.