Una crisi globale, profonda, sistemica. Ci stiamo muovendo su un crinale sempre più sottile, sospesi tra decadenza democratica, conflitti internazionali e degrado etico e materiale. In ogni angolo del mondo si manifestano i segni di una destrutturazione delle democrazie: ciò che accade negli Stati Uniti, in particolare in California, e l’assordante silenzio davanti al genocidio palestinese ne sono testimonianza drammatica.
L’attacco all’Iran da parte dello Stato di Israele, definito da molti come terrorista di Stato, e l’allargamento dell’area di conflitto in Medio Oriente, con l’avallo silenzioso o complice dell’Occidente, alimentano una dinamica bellica che sembra ormai incontrollabile.
Allo stesso tempo, il boicottaggio sistematico dei negoziati di pace tra Russia e Ucraina, a favore di un investimento crescente in armamenti e in industria bellica, ci sta portando sull’orlo di un baratro. In un mondo sempre più segnato da disuguaglianze economiche e sociali, cresce l’impressione che il sistema globale sia impazzito, privo di bussola, come un Titanic che affonda sotto il peso delle sue stesse contraddizioni.
La storia insegna che la fine degli imperi e dei modelli economici è sempre stata preceduta da fasi di instabilità estrema. Ma oggi c’è un elemento in più e assai più pericoloso: la presenza dell’arma nucleare, costantemente evocata ma (ancora) non utilizzata. È un gioco d’azzardo geopolitico che si gioca sul filo del rasoio, alimentato dal mito tossico della crescita infinita e dell’accumulo di ricchezza e potere.
A rendere ancora più inquietante questo quadro è il ruolo giocato dalla macchina dell’informazione, ormai ben oliata in chiave orwelliana, che ci orienta a percepire la realtà secondo una sola narrazione dominante. Un pensiero unico che annienta ogni forma di dialettica, di alternativa politica, di diversità valoriale. La politica appare assente, incapace di opporsi, vuota e priva di coraggio.
Nel frattempo, i luoghi del confronto e della riflessione critica – università, associazionismo, media indipendenti – sono stati progressivamente dismantellati, lasciando campo libero al populismo e all’appiattimento culturale.
La situazione mondiale è angosciante. Ma non tutto è perduto. Serve lucidità, serve umanità, serve la capacità di non ridurre tutto a una partita di calcio tra tifoserie. Qui non si tratta di vincere uno scudetto, ma di salvare ciò che resta della civiltà umana. Il futuro è incerto, ma la speranza di una rinascita globale – più giusta, più pacifica, più consapevole – è ancora possibile.