Un Occidente in crisi: tra guerre, silenzi e propaganda
La narrazione dominante racconta un Occidente paladino della libertà e della democrazia. Ma i fatti, purtroppo, raccontano altro.
In Ucraina, l’Occidente ha fatto fallire gli Accordi di Minsk, soffocando ogni possibilità di dialogo e spalancando la porta a una guerra che oggi dissolve il Paese. In Palestina, il genocidio a Gaza – trasmesso in diretta – continua senza sosta, mentre centinaia di manifestazioni globali a sostegno del popolo palestinese vengono ignorate dalle cancellerie europee e statunitensi.
Nel frattempo, i governi occidentali continuano a definire “guerra” quella che è, a tutti gli effetti, una sistematica eliminazione di civili, donne e bambini inclusi. Un linguaggio studiato per disinnescare la coscienza collettiva e legittimare l’illegittimabile.
Come se non bastasse, l’Occidente – in particolare gli Stati Uniti e Israele – allarga ora il campo di battaglia. L’attacco ai siti nucleari iraniani, giustificato da accuse pretestuose, rischia di trasformare il conflitto in Medio Oriente in una guerra globale.
E qui la contraddizione diventa paradossale: a colpire è una potenza come Israele, che possiede armi nucleari fuori da ogni controllo internazionale, mentre l’Iran viene accusato per il solo sospetto. Nessuna parola, da parte dell’Occidente, su questa palese asimmetria strategica.
In questo quadro, l’Unione Europea segue docilmente la linea americana, boicottando ogni apertura diplomatica tra Russia e Ucraina e spingendo per un aumento esorbitante della spesa militare: si parla di un obiettivo fino al 5% del PIL, con sacrifici enormi per welfare, sanità, scuola e servizi pubblici.
Un suicidio economico e sociale, orchestrato per soddisfare la lobby delle armi, vera protagonista di questo tempo oscuro. Un favore diretto a Donald Trump, che torna sulla scena come garante di “ordine” e “forza”, mentre le democrazie si dissolvono in un delirio di prepotenza e retorica bellica.
Cina: una voce alternativa nel deserto della diplomazia
In un mondo dove l’Occidente ha perso il senso della misura e della giustizia, la Cina emerge come voce lucida e pragmatica. Non per altruismo, ma per convenienza strategica. Eppure, le sue proposte sembrano oggi le uniche sensate:
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Cessazione immediata di tutte le ostilità
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Protezione e assistenza alle popolazioni civili
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Avvio di tavoli di dialogo multilaterali con il coinvolgimento di tutte le parti in causa
Un’agenda concreta, basata sulla stabilità e non sull’espansione dei conflitti. Un metodo opposto a quello delle “coalizioni dei volenterosi” che da anni incendiano il pianeta.
L’Occidente appare oggi in crisi irreversibile. Non ha più una visione, non propone soluzioni, non costruisce mediazioni. Soffia sul fuoco, ma non sa spegnerlo. È come se la guerra fosse diventata il suo unico linguaggio. La sua unica economia.
In questa deriva, solo un nuovo assetto multipolare può evitare il peggio. Un equilibrio tra potenze, interessi, culture, che superi l’arroganza dell’unilateralismo e restituisca centralità alla diplomazia, ai diritti umani, alla pace.
La Cina, con i suoi limiti, propone oggi una via d’uscita. L’Europa, se vuole sopravvivere politicamente, deve tornare a essere protagonista di un dialogo globale, non complice passivo delle guerre altrui.
Il mondo ha davanti due strade: accettare la deriva militarista e distruttiva dell’Occidente, o costruire un nuovo equilibrio globale, fatto di cooperazione, dialogo e responsabilità condivisa.
Il multipolarismo non è una minaccia. È, al contrario, l’unica speranza concreta per evitare un’era di guerre permanenti.
Perché la storia non la scrivono solo i vincitori. Ma anche quelli che hanno il coraggio di fermarsi e cambiare direzione, prima che sia troppo tardi.