Qualche giorno fa sono andato a vedere una partita di calcio in cui giocava mio nipote. Un pomeriggio normale, una tribuna affollata, voci, applausi, genitori che commentano le azioni. Tutto come sempre. Eppure, poco distante da me, si è consumata una scena che mi ha gelato dentro più di una sconfitta.
Davanti a me erano seduti tre uomini. Li avrei detti professionisti: linguaggio curato, modo di fare distinto, la tipica sicurezza di chi sa muoversi nel mondo. Parlottavano tra loro, tra una sigaretta e un commento alla partita. Poi la conversazione ha preso una piega che, purtroppo, conosco bene.
“Io voterò per la Lega… perché mi conviene”
Uno dei tre, con tono soddisfatto, ha detto:
«La prossima volta voterò per la Lega, perché si è impegnata per una nuova rottamazione delle cartelle. Così avrò una riduzione del mio debito con il Fisco».
L’altro, pronto a replicare, ha aggiunto:
«Io invece voterò Fratelli d’Italia: l’assessore X ha trovato un posto di lavoro per mia sorella».
Il terzo non ha detto nulla. Ha solo annuito.
Silenziosamente. Come se bastasse quello per condividere il pensiero.
Quell’episodio, assolutamente vero, racchiude la fotografia più nitida del nostro Paese.
Non è politica: è antropologia.
È il ritratto di un’Italia dove il voto è diventato una merce, dove i valori e gli ideali sono stati sostituiti dall’interesse personale e dal tornaconto immediato.
Ognuno pensa al proprio “particulare”, come scriveva Guicciardini, e nessuno più al bene comune.
Non parlo da moralista: la mia è una considerazione laica, terribilmente realista.
So bene che se al governo ci fosse il centrosinistra, quei tre professionisti ragionerebbero allo stesso modo. Perché anche da quell’altra parte, salvo rare e nobili eccezioni, troverebbero ascolto e vantaggi.
Il problema, dunque, non è un partito. È la cultura del favore, la morte dell’etica pubblica.
Etica, questione morale, interesse collettivo: parole smarrite
Abbiamo smarrito il senso di parole che un tempo orientavano la vita civile: etica, questione morale, interesse collettivo.
Non fanno più parte del linguaggio politico, né di quello quotidiano.
Il risultato è una società in cui chi denuncia viene deriso, chi si impegna viene isolato, e chi ruba trova sempre una giustificazione.
E allora sì, il cambiamento non è dietro l’angolo.
Perché non basta un nuovo governo, una nuova legge o una nuova promessa. Serve un cambio di mentalità, un risveglio collettivo.
E quello, lo sappiamo, è il processo più lento e doloroso di tutti.
L’unica speranza: le nuove generazioni
Nonostante tutto, continuo a sperare.
E a credere che il seme della rinascita sia nelle nuove generazioni, nei ragazzi che oggi ancora non votano ma già si indignano, già si interrogano, già pretendono coerenza.
Sono loro la mia speranza, ed è con loro che da anni scelgo di impegnarmi.
Perché prima o poi, da questo lungo tunnel di compromessi e ipocrisie, una luce dovrà pur spuntare.
E se spunterà, sarà grazie a chi avrà avuto il coraggio di dire no al privilegio, e sì alla dignità.





