di Francesca Capozza*
Cosa hanno in comune i rapimenti di Natascha Kampusch, Elizabeth Smart, Shawn Hornbeck, Patty Hearst?
Si tratta di eventi che hanno suscitato un forte clamore nell’opinione pubblica a causa di una singolare ed inattesa reazione delle vittime nei confronti dei sequestratori. Ognuna delle vittime ha vissuto un lungo periodo di tempo con il proprio aguzzino nei cui confronti ha sperimentato sentimenti positivi a tal punto da non provare neanche a fuggire nel momento in cui ne ha avuto possibilità. Le vittime hanno cominciato ad amare i loro carnefici.
Tale condizione psicologica corrisponde alla cosiddetta “Sindrome di Stoccolma”: una risposta emotiva, automatica, probabilmente inconscia al trauma di diventare vittima e coinvolge entrambe le parti, sequestrato e sequestratore. Si tratta di una condizione psichica in cui una persona vittima di un sequestro può manifestare sentimenti positivi (talvolta anche fino all'innamoramento) nei confronti del proprio rapitore.
La storia
Il termine trae origine da un tentativo di rapina in una banca di Stoccolma nel 1973 durante il quale quattro impiegati (tre donne ed un uomo) furono tenuti in ostaggio dai rapinatori per 131 ore. Nonostante il terrore ed il forzato isolamento per quasi sei giorni, le vittime manifestarono reazioni positive nei confronti dei loro sequestratori, mentre la polizia veniva percepita come cattiva ed ostile. La forma di attaccamento emotivo verso i banditi era tale che, una volta liberati, i sequestrati ne presero le difese e richiesero per loro la clemenza alle autorità, suscitando un incredulo clamore nell’opinione pubblica. Tale condizione si sviluppa nella relazione, pertanto coinvolge tanto gli ostaggi quanto i rapitori, senza distinzioni di età, sesso, nazionalità, né di estrazione socio-culturale.
Identikit della sindrome
Essa si caratterizza per la presenza di almeno una delle tre condizioni seguenti:
- sentimenti positivi delle vittime verso i loro sequestratori
- sentimenti negativi verso le autorità responsabili del loro salvataggio
- corrispondenza di sentimenti positivi verso l’ostaggio da parte del sequestratore.
Spesso tali condizioni sono tutte ugualmente presenti, con varia intensità.
La vittima si sente dipendente dal rapitore per la sua sopravvivenza e percepisce la polizia come una minaccia alla vita: l’insistenza per la resa del criminale e la possibilità di un’incursione pongono la vittima in un continuo stato di apprensione e di paura per la propria incolumità.
L’insorgenza della sindrome è facilitata da vari fattori: l’intensità e la durata dell’esperienza, il grado di dipendenza dell’ostaggio dal sequestratore per la sua sopravvivenza e la distanza psicologica dell’ostaggio dalle autorità.
La Sindrome può avere varia durata, sino a ricoprire un arco di parecchi anni. Gli effetti psicologici più comuni della Sindrome di Stoccolma, e presenti anche distanza di tempo, sono: disturbi del sonno, incubi, fobie, trasalimenti improvvisi, flashback e depressione.
L’aspetto caratteristico nel comportamento degli ostaggi è rappresentato dal non approfittare della possibilità di scappare ogni volta che ve ne era l’opportunità e l’incapacità di provare sentimenti negativi nei confronti dei loro aguzzini.
Come si sviluppa
Nella fase iniziale del sequestro il rapito sperimenta uno stato di confusione e di terrore per la situazione nella quale gli viene imposto di vivere. Superato il trauma iniziale, la vittima percepisce la realtà della condizione che sta vivendo e cerca un modo per sopportarla. Durante il periodo passato insieme, rapitore e vittima si legano emotivamente in quanto, paradossalmente, l’aguzzino diventa l’unica fonte di sostentamento e contatto, poiché è la sola entità presente in un mondo a parte, e sempre la sola per poter decifrare e dare senso alla realtà che il sequestrato si trova ad affrontare. Il rapito si sente pian piano scivolare via dal resto del mondo, mentre comincia a vedere l’aguzzino come il suo “nuovo mondo”.
Dipendendza
Si instaura un forte legame di dipendenza tra l’ostaggio ed il sequestratore. Costui diviene l’unica fonte di cibo, acqua, informazioni e contatto umano, il solo legame con l’esterno ed il solo strumento per la sussistenza. L’ostaggio comincia a provare gratitudine e riconoscenza verso il rapitore quando costui gli concede di accedere agli elementi essenziali, come alimenti, possibilità di lavarsi, di dormire, ecc…
Il sequestratore diviene la fonte di nutrimento fisico, relazionale, affettivo per il sequestrato. Di conseguenza, il legame tra i due si rinforza.
Meccanismi di difesa
Per far fronte ad una realtà angosciosa, l’Io mette in atto alcuni meccanismi di difesa, quali la regressione e l’identificazione con l’aggressore.
- Regressione
Nel tentativo di ritrovare e difendere il suo equilibrio psichico, l’ostaggio mette in atto inconsciamente delle modalità utili a proteggersi in una realtà terrificante. L’istinto di sopravvivenza induce la vittima ad adottare un atteggiamento che provochi reazioni di cura e protezione (come se tornasse alla condizione del neonato che non può parlare, non può muoversi, che comunica la sua fame o il bisogno di attenzione con il pianto).
Per garantirsi la sopravvivenza la vittima si propizia la grazia dell’aguzzino e il risentimento nei suoi confronti viene rimosso e proiettato sui presunti aggressori che il carceriere rappresenta nel peggior modo possibile, negando anche l'accesso alle informazioni dall'esterno.
- Identificazione con l’aggressore
La vittima ha bisogno di superare il conflitto psichico derivante dalla constatazione di dipendere da un aggressore minaccioso dal quale però è impossibile fuggire. Tale situazione è emozionalmente insostenibile ed ambivalente. La vittima ha bisogno di percepire come buona la persona dalla quale dipende la sua vita, pertanto inconsciamente comincia a distorcere l’immagine reale del rapitore in modo da condividere il suo punto di vista ed a considerare giustificate o comunque meno gravi le sue angherie. Identificarsi con il carnefice onnipotente genera sicurezza e protezione.
- Razionalizzazione
Essendo stati gentili con i rapitori per cercare di sopravvivere, gli ostaggi sentono il bisogno di dover dare una motivazione psicologica del loro comportamento. Spiegano, così, a se stessi ed agli altri che i rapitori non sono malvagi e che possono essere stati fraintesi. Si sentono, però, anche in colpa con la polizia poiché hanno cooperato e simpatizzato con i loro rapitori, per tal motivo riescono ancor più ad identificarsi con il rapitore.
Il sequestratore
L’autore del sequestro può vivere un’identificazione inversa.
Quanto più un ostaggio riesce a farsi riconoscere nella sue qualità umane, tanto più diventa difficile per il sequestratore fargli del male. Inoltre, nel sequestratore può svilupparsi un particolare tipo di affetto nei confronti dei rapiti legato alla gratitudine ed al riconoscimento per la collaborazione ricevuta, probabilmente animati da un desiderio inconscio di essere amati e
rispettati.
Non si manifesta in tutti
La Sindrome di Stoccolma non si sviluppa necessariamente in tutti i soggetti vittime di prigionia.
Sono i fattori di personalità e caratteriali, unitamente a forti convinzioni morali, che contribuiscono a ad attivare meccanismi di difesa e di adattamento costruttivo differenti, che consentano di mantenere la propria identità ed un rapporto affettivo e di fiducia con la realtà esterna, senza subirla.
I segni della sindrome
Ci si trova dinanzi ad una situazione di emergenza psichica, ovvero estrema e stressante. Disturbi del sonno, disturbi d’ansia, flashback, fobie, disturbi dell’umore si possono rivelare subito o a distanza di tempo, ugualmente nelle persone che hanno reagito in maniera adeguata al sequestro.
Come uscirne
È importante intraprendere un percorso terapeutico che aiuti la vittima a disinvestire psicologicamente ed affettivamente dal legame disfunzionale sviluppato con l’aguzzino. Riuscire a ricostruire e ridefinire il senso dell’accaduto attribuendo il giusto valore alle parti (positività alla famiglia ed alle autorità, spesso considerate più ostili e meno potenti del delinquente stesso in quanto hanno fallito il loro ruolo protettivo dal momento che il sequestro è avvenuto; negatività al sequestratore). Cominciare a recuperare e ricostituire l’integrità di un Io esposto per troppo tempo ad una situazione di asfissia psicologica e di distorsione indotta del senso di realtà. Ricevere sostegno per ritrovare fiducia in se stesso e negli altri, analizzare sensi di colpa e di impotenza, rafforzare le proprie risorse psicosociali dalle quali ripartire per affrontare e costruire positivamente la sua “nuova” vita.
*Psicologa, psicoterapeuta, criminologa
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2020-01-15 07:10:12
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