Pare che ormai sia diventata l'ago della bilancia per le sorti dell'esecutivo Conte II. Stiamo parlando della riforma sulla prescrizione targata Bonafede. Da mesi, il mondo degli avvocati, quello di gran parte degli schieramenti politici (di opposizione e non solo) stanno attribuendo a questa riforma tutti i mali possibili.
Alla fine si tratta semplicemente di interrompere la prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Il dibattito si è concentrato da settimane sul pericolo di processi infiniti e di presunti innocenti in attesa di un giudizio sine die. In un processo è facoltà dell'imputato scegliere o meno di ricorrere alla prescrizione (e su questo tutti tacciono).
Non possiamo fare finta (come purtroppo sta accadendo) che la prescrizione non sia un problema. Tutt’altro: si determina l’estinzione del reato entro un certo tempo se nel mentre non si è arrivati a un giudizio definitivo. È l’art.157 del cp a dirci come funziona: per ogni reato la prescrizione scatta quando è passato un periodo pari al massimo della pena stabilita dalla legge per ciascun reato. Ovvero non inferiore a 6 anni per i delitti e non inferiore a 4 per le contravvenzioni. E questi termini sono automatici in quanto la prescrizione in Italia inizia a scattare dal momento in cui si assume che sia stato commesso il fatto. Sono una miriade i reati che non superano i 7 anni e mezzo di prescrizione e che quindi vanno incontro alla mannaia: dall’abusivismo, all’omicidio colposo, allo stupro, allo spaccio, ecc. A questo si deve sommare la lentezza dei processi, l’inutilità del grado di appello e una litigiosità cronica (troppi processi per troppi reati).
Si dirà (anzi, si dice): una riforma del genere può avere effetti solo se viene incardinata all’interno della riforma complessiva del processo penale. Benissimo: coloro che son contrari a prescindere (per partito preso) sapranno che la riforma Bonafede non solo riguarderà il 26% dei processi prescritti, cioè il 3% di quelli trattati ogni anno; ma che vedrà i suoi effetti non prima di tre/quattro anni. C’è tutto il tempo affinchè le forze politiche possano riunirsi intorno ad un tavolo per una serie, obiettiva riforma del processo penale che vada incontro a d una serie di infiniti problemi.
Oltre alla prescrizione di problemi la giustizia italiana ne ha tanti altri. Prendiamo ad esempio la lunghezza dei processi. Anche qui, al di là dei luoghi comuni, proviamo a vedere la causa. Anzitutto il processo in Italia è molto particolare. Esiste, infatti, da un lato il diritto alla difesa degli imputati, secondo le regole del giusto processo, dall’altro ci sono norme che rallentano il dibattimento. La furbizia delle difese per tutelare il proprio cliente è tale che vengono sfruttate tutte le scorciatoie messe a disposizione. Un esempio su tutti: in Italia il giudice è immutabile. Il giudice che apre il dibattimento, alla prima udienza, deve essere lo stesso che emette la sentenza. È una regola che permette alle difese di avere un giudice che conosce l’intero processo. Se però il giudice si ammala o ha altri problemi, dovuti all’eccesso di udienze da celebrare a causa di una calendarizzazione folle, scattano i rinvii. Per non parlare di eventuali errori presenti negli atti di citazione. Se ad esempio nel giorni in cui viene fissata l’udienza salta fuori una mancata citazione, il giudice non può fare altro che rinviare. In Italia c’è anche il problema di essere un Paese troppo litigioso, conseguenza per la quale si processa di tutto; reati che potrebbero essere risolti con una pena pecuniaria senza celebrare alcun processo.
Vogliamo parlare delle notifiche a mano ed ancora cartacee? Non abbiamo un sistema digitalizzato che consenta di accelerare i tempi per notificare gli atti ad imputati e testimoni. Per questo, vi sono gli agenti notificatori che girano per l’Italia per consegnare brevi manu i suddetti atti. Basterebbe mettere in condizione tutti i cittadini ad avere un proprio indirizzo di posta elettronica certificata e con poco si potrebbe risolvere.
Farraginosità del sistema accusatorio, ed eccesso di garantismo che trasborda ogni limite. Il garantismo è un elemento sicuramente positivo; non va dimenticato che siamo il Paese di Cesare Beccaria. Ma negli ultimi decenni dal mondo politico, che poi è da lì che le leggi prendono forma, viene invocato un garantismo alla rovescia. Contano poco le sentenze di primo, di secondo e di terzo grado. Dovrebbe essere la politica stessa, i singoli partiti a rimuovere, allontanare, certi soggetti sotto processo (era Borsellino stesso a dircelo a Bassano del Grappa nel 1989). Oggi siamo arrivati al punto che neppure la sentenza di condanna definitiva basta più. Quindi troppo garantismo e troppi processi. Il tutto dovuto all’introduzione del sistema accusatorio all’anglosassone, introdotto nel Codice di Procedura Penale in Italia nel 1990, in sostituzione del vecchio sistema inquisitorio. Il sistema accusatorio si è dimostrato molto farraginoso: nessuna prova, dichiarazione raccolta dal pm o dagli avvocati può essere prodotta al giudice; il tutto deve essere ripetuto nel dibattimento davanti al giudice, nel contraddittorio tra le parti. Risultato: si ricomincia dall’inizio e il processo si allunga (ecco che si ritorna al primo problema dell’eccessiva lunghezza).
Tornando quindi alla prescrizione, il rischio, facendo affidamento alle cronache quotidiane, è che la montagna partorisca alla un topolino e che alla nostra povera giustizia tocchi continuare ancora a fare acqua da tutte le parti, venendo meno ad un principio che dovrebbe essere il punto principale per la politica, addetta a porre rimedio ai problemi: garantire giustizia alle vittime.
uploads/images/image_750x422_5e45cc75e096c.jpg
2020-02-14 13:09:01
27