Negli ultimi giorni a Brescia si sta assistendo ad una serie di interventi e appelli da parte del Sindaco Emilio Del Bono e del Vicesindaco Laura Castelletti. L’epidemia non rallenta. Non ci si trova ancora in fase decrescente. Sia per la posizione in cui essa si trova, sia per l’elevato numero di Ospedali in città che in Provincia, Brescia ha accolto fin da subito moltissime persone da più bacini di varia provenienza. Senza tirarsi indietro, l’Ospedale di Manerbio ha dato soccorso ed ha assistito chi non poteva essere ricoverato nelle vicine province, così come l’Ospedale di Chiari o i due poli più importanti della città.
Riconosciuto come uno degli ospedali più efficienti d ‘Italia ma anche d’Europa, infatti, l’Ospedale Civile vanta una capienza che si aggira già in condizioni per così dire “normali” di circa duemila posti letti. Questo indica già quante persone debbano lavorare per mantenere, assistere, pulire, organizzare una struttura così funzionale. Indice, quindi, di numeri ancora più elevati con un potenziamento messo in atto per questa emergenza. Ammontano inevitabilmente numeri altissimi di persone, veicoli primi di questa battaglia. Non è da meno l’altro ospedale cittadino.
Di certo si sa che, ancora ad oggi, alcune misure devono essere prese con la massima urgenza.
Sono passate solo 24 ore dalla richiesta del Sindaco di avere risposte chiare per capire quando si potrà avere l’appoggio di medici che possano alleviare il costante lavoro ininterrotto del personale sanitario, quando e se si potranno fare tamponi alle decine e decine di persone in malattia domiciliare e soprattutto quando si potrà disporre della solidarietà delle regioni limitrofe.
Richieste e problematiche esposte anche in diretta al programma televisivo Che tempo che fa. Poco prima del collegamento lo stesso Fazio ha evidenziato la necessità, forse, di effettuare più tamponi per poter essere certi dello stato di salute delle persone che non hanno certezza della loro condizione fisica se non con consulenza del medico di base.
Laura Castelletti, in prima linea combattiva e decisa, in un confronto con l’Assessore al Welfare Giulio Gallera, evidenzia nella trasmissione Agorà quanto Brescia sia allo stremo. «I dati non sono entusiasmanti, abbiamo 6 mila contagi riconosciuti ma ce ne sono dieci volte di più». Continua poi affermando la necessità di tamponi e dei beni di prima necessità quali mascherine, gel disinfettanti e supporto. L’Assessore Gallera ha replicato spiegando che «facciamo ciò che la scienza dice che deve essere fatto, applico i protocolli dell'Istituto superiore di sanità. Sono gli esperti che ci dicono come ci dobbiamo comportare, stiamo adesso tamponando i medici di medicina generale, il problema non è il tampone ma il controllo sul territorio. Il dramma di chi è sul territorio è anche il mio ma la risposta non è venire in televisione a vomitare qualunque cosa».
Non facile sicuro gestire una tale emergenza ma è necessario intervenire, dare riscontro a questi appelli e dare sostegno al continuo ed estenuante lavoro dei medici. Alle volte non si ha la percezione della reale realtà fino a quando non la si tocca con mano o fino a quando almeno non la si sfiora. Abitare in questa città e vedere un’intera comunità muoversi senza sosta, non piegarsi, non indietreggiare, non rallentare con la paura di fare ciò che possa essere la cosa più giusta per tutti o per molti, mi fa credere che si sta andando nella direzione giusta ma lo stesso Papa Francesco nella sua solenne omelia ci ricorda ed insegna che «siamo tutti chiamati a remare insieme».
Riporto, con gratitudine ed orgoglio, ma anche con un poco di mestizia, un pezzo tratto dalla rubrica – Diario dall’ospedale – del Giornale di Brescia, in cui il Dott. Rozzini della Fondazione Poliambulanza racconta nel dettaglio l’iter dell’ospedalizzazione dei malati di Covid-2019: «I membri dell’equipe imparano rapidamente a vedere i segni della manifestazione della malattia, a riconoscere il peggioramento (e i miglioramento); sanno distinguere la gravità del mancafiato, la frequenza e l’intensità dei colpi di tosse, se la febbre ha mantenuto la pericolosità prognostica o le sue puntate sono colpi di coda; sanno cosa significhi il tormento dell’insonnia, cosa indichi la fatica ad alzarsi dal letto per andare in bagno, e hanno imparato quando l’organismo non è più in grado di reggere all’attacco inesorabile e letale della malattia. Sanno cosa dire ai familiari quando si telefona loro e le parole da usare, sia per comunicare che per chiedere il cambio di biancheria. È un mese che siamo ininterrottamente in ospedale, la stanchezza si fa sentire e il pericolo di essere contagiati diventa sempre più elevato per il venir meno dell’attenzione data dalla consuetudine. Non ci siamo invece abituati al dolore e alle morti. Pur con le nostre fragilità, noi ci siamo».
Qui non devono uscirne valorosi, prodi o combattenti. Ne dobbiamo uscire il più possibile indenni. Non solo considerando le criticità delle strutture ospedaliere, anzi, da sottolineare maggiormente quel che si sta verificando tra le mura domestiche. Non si può continuare a non avere assistenza perché i medici di base sono ormai stati contagiati o che gli stessi si studiano protocolli e misure per far diminuire i decessi di persone malate a casa senza assistenza, messe in isolamento. Questo inizia a far più paura del virus stesso. Nell’articolo riportato viene espressa la parola “consuetudine”, il dizionario definisce questo sostantivo ‘modo costante di procedere o di operare’.
Ed è allora questa che bisogna interrompere, la costanza.
Riprendendo le parole di Papa Francesco: «Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato».
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2020-03-30 17:08:10
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