L’incertezza della ripresa, i dubbi sul come ripartire e avviare la cosiddetta fase 2 deve fare i conti con chi, in questo primo mese di reclusione forzata per via della pandemia da Covid19, ha dovuto chiudere le proprie attività e reclama la propria esistenza e sopravvivenza economica. E’ il caso dei titolari degli asili nido, scuole dell’infanzia paritarie e strutture di servizi all’infanzia operanti in Basso Molise, per lo più a Termoli. “Siamo invisibili nei confronti di chi ci governa – dichiarano i titolari delle strutture – eppure le nostre piccole imprese svolgono un servizio essenziale per la comunità e la serenità di tante famiglie che scelgono le strutture private per affidare i loro piccoli”.
Il Molise è una regione dove le difficoltà per fare impresa sono enormi in condizioni normali e che in questa ‘condizione d’eccezione’ potrebbero diventare addirittura utopiche. “Purtroppo, nonostante le toccanti parole dei primi momenti, la realtà dice che nessun provvedimento specifico è stato destinato per noi, con l’aggravante che non esiste ad oggi nessuna previsione di riapertura per le nostre strutture. Pare evidente – continuano – che in queste condizioni l’unica via percorribile sarebbe la chiusura di tutte le nostre attività”.
Una chiusura che andrebbe non solo a privare un intero territorio di un servizio dedito al sociale, ma “visto che non sarebbe dovuta a nostra incapacità”, sarebbe un ulteriore smacco istituzionale verso chi cerca di rendere questo fazzoletto di terra moderno e all’avanguardia. “Il modus operandi adottato sin d’ora dai nostri governanti non garantisce la continuità lavorativa nostra e di tutte le collaboratrici, corpo docente ed educativo – rimarcano i titolari delle strutture - oltre al danno sociale verso le centinaia di famiglie che alla riapertura delle loro attività non potranno più contare sul nostro apporto”.
Ad oggi l’unica misura, l’unica forma di tutela adottata è stata il ricorso agli ammortizzatori sociali “per i nostri dipendenti, tra l’altro per sole nove settimane”. Misura, però, del tutto insufficiente e, a loro dire, non sufficiente per coprire le ingenti spese dei canoni di locazione e le spese comunque “rimaste a nostro carico: tasse sul lavoro, tasse d’impresa, utenze”.
Il ricorso alla cassa integrazione, come detto, è previsto soltanto per 9 settimane, un periodo troppo breve che i titolari degli asili nido e delle scuole d’infanzia vorrebbero fosse prolungato. “Apprendiamo che i provvedimenti stanziati dall’Inps a favore delle famiglie, il Bonus baby sitter e il Bonus nido, vengono usati in una percentuale molto inferiore alle attese. Questo consente di avere una grossa parte di liquidità già stanziata da poter convertire direttamente alle strutture dei servizi 0-6 anni”.
Le famiglie interessate, ovviamente, non pagano più le rette degli asili e quindi non chiedono il rimborso del Bonus Inps, né usano Bonus Baby sitter col timore del contagio da COVID19, se non in una percentuale minima rispetto alle percentuali paventate in fase di stanziamento. “Le nostre strutture continuano ad avere l’onere del pagamento degli affitti e chiediamo un sostegno e contributi diretti anche sottoforma di credito di imposta per tutti i tipi di locali”.
In alternativa chiedono di “soccorrere le nostre imprese con un contributo che consideri la copertura delle spese ineludibili fino alla ripresa delle nostre attività”.
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2020-04-19 19:34:02
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