“Forza d’animo nel sopportare con serenità e rassegnazione dolori fisici o morali, nell’affrontare con decisione un pericolo, nel dire o fare cosa che importi rischio o sacrificio”. È questa la definizione che la Treccani fornisce della parola “coraggio”. Un termine che evoca alti ideali e incommensurabili valori. Coraggio è disporsi alle sfide più alte pur di difendere un ideale, un valore, una vita, un popolo.
E coraggio è ciò a cui stiamo assistendo da alcune settimane nella vicenda delle proteste in Bielorussia. L’ex repubblica sovietica è da 26 anni soggiogata dal regime di Aleksandr Lukashenko, un ex dirigente di una cooperativa agricola che è riuscito a imporre il proprio potere e a consolidarlo grazie alle sue doti di equilibrista fra Mosca e l’Occidente. Un faraone che governa con il pugno di ferro un paese che, dopo più di cinque lustri, non ne può più delle elezioni farsa che servono solo a nascondere l’ennesima auto riconferma al potere di Lukashenko.
Così, nei confronti dell’ultimo dittatore d’Europa, si sono sollevate le proteste del popolo, guidate dal coraggio di tre donne, Svetlana, Veronika e Maria, intorno alle quali si è coagulata la rabbia di una intera nazione.
Sulla scia delle prime proteste, si è quindi sviluppato un movimento di centinaia di donne coraggiose, vestite di bianco e con un mazzo di fiori in mano che hanno messo in scena una protesta pacifica, mirata a condannare le violenze che le forze dell’ordine hanno perpetrato sui manifestanti, traumatizzando profondamente tutto il paese.
Il clima di intimidazione e terrore, ha costretto Svetlana Tikhanovskaya, candidata alla presidenza, a riparare in Lituania, da dove incita i suoi connazionali a continuare nella lotta e cerca di sollecitare un intervento internazionale, in particolare della Unione Europea, per arginare l’ondata di violenze che il regime dittatoriale di Lukashenko continua a perpetrare e per aprire un tavolo di dialogo con le autorità bielorusse.
È molto interessante il fatto che siano state proprio le donne ad accendere la miccia della protesta, a mettersi in prima fila contro la “rielezione” del dittatore, a trascinare l’intero paese verso una contestazione pacifica ma forte e determinata. Le donne, da sempre considerate il sesso debole, l’anello fragile della catena sociale, hanno invece dimostrato ancora una volta di essere all’altezza di grandi ideali, di scelte coraggiose e sfidanti.
Perché le donne, portatrici di vita, sono particolarmente sensibili verso ogni situazione che in qualche modo quella vita può metterla in pericolo, sia fisico che psicologico, sia materiale che morale. Le donne non si risparmiano quando sul tavolo c’è in palio la vita, comunque la si intenda.
Il caso delle donne bielorusse non è il solo a testimoniare questa particolare sensibilità delle donne verso la necessità di intraprendere cambiamenti sociali e politici. Voglio ricordare al riguardo, ciò che è accaduto lo scorso anno in Sudan, dove una giovane ventiduenne, Alaa Salah, è diventata il simbolo delle proteste contro il dittatore Omar al-Bashir.
Anche in quel caso, furono le donne, in misura maggiore rispetto agli uomini, a scendere in piazza per protestare contro il rincaro dei prezzi dei generi alimentari e per le dure condizioni di vita della popolazione. Ancora una volta le donne si mobilitano, con coraggio, per la tutela e il miglioramento delle condizioni di vita del popolo. Particolarmente coraggiose le donne sudanesi, in un paese in cui la condizione femminile è pesantemente vessata da leggi sociali e religiose che sottomettono la donna.
E allora quella ragazza vestita di bianco che incita i manifestanti con canti contro il regime, ribattezzata “Kandaka” (la regina nubiana), incarna quel coraggio tutto al femminile capace di scuotere le coscienze, di suscitare moti di ribellione, di denunciare ingiustizie e vessazioni, quel coraggio che nasce dalla disperazione, dal bisogno profondo di cambiare, di assicurare per sé e per tutti migliori e più dignitose condizioni di vita.
In conclusione di queste riflessioni sul coraggio delle donne non posso non ricordare Ebru Timtik, avvocata turca morta pochi giorni fa dopo 238 giorni di sciopero della fame. La Timtik era stata arrestata a causa del suo impegno nella difesa dei diritti civili in Turchia. La sua protesta era anche fortemente indirizzata contro le violenze contro le donne, soprattutto quelle di etnia curda. In una delle sue ultime chiamate dal carcere la Timtik aveva dichiarato “Non chiediamo giustizia solo per noi. Noi lottiamo per i diritti di tutti. Se rilasciati daremo il nostro sostegno alla battaglia per la giustizia di chi ne ha bisogno”. Lottare con questa determinazione, fino a morire di fame, si chiama Coraggio.
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2020-08-30 16:31:18
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