Il covid-19 pare essere divenuta la sola patologia rilevante dei nostri tempi, invece è necessario dare spazio culturale, clinico e di ricerca anche ad altre malattie.
La situazione di emergenza dovuta al coronavirus ha fortemente diminuito nel periodo del lockdown (ma anche ora) l’attività degli ospedali e dei servizi sanitari, giustificata dalla drammaticità degli eventi. È stata un’esperienza che, oltre ai suoi pregi, ha presentato anche un retroscena negativo: un sistema sanitario compiuto deve avere la capacità di gestire al proprio interno anche contingenze particolari e improvvise.
Tutta la prima fase del Covid-19 (e speriamo di essercela lasciata definitivamente alle spalle) ha avuto una ricaduta estremamente gravosa per gli anziani affetti da demenza e per i loro familiari. Senza preavviso, infatti, è crollato il modello di assistenza studiato attorno ad ognuno di loro venendo a mancare il sostegno a cui erano abituati ogni giorno.
Lo stesso, sia pure con ripercussioni diverse, è accaduto per i caregivers, le persone che si prendono abitualmente cura a casa delle persone affette da demenza, certamente spaesati dall’improvvisa interruzione dell’assistenza domiciliare (dove esiste!) così come dall’impossibilità di portarli presso i centri diurni specialistici (dove esistono!) abitualmente frequentati.
Ancor peggio è andata ai familiari di anziani affetti da demenza ricoverati presso strutture sanitarie dedicate: complice il COVID-19, infatti, non hanno visto più per mesi i loro cari di persona.
The Economist, prestigioso settimanale inglese, nel numero edito il 29 agosto, mentre tutti i mass-media rivolgevano la loro attenzione soltanto al covid-19 e alle conseguenze economiche della crisi, ha dedicato il supplemento centrale a uno Special Report: “Demenza. I pericoli dell’oblio”.
Un messaggio forte e chiaro inviato da uno dei giornali più famosi e rispettati a livello internazionale a chi ha il dovere di governare la sanità affinché si riprenda con un atteggiamento equilibrato nell’attenzione alle malattie infettive, a quelle acute di varia origine, alle malattie croniche.
L’Economist ha voluto richiamare l’attenzione sul fatto che vi sono altre rilevanti e pressanti questioni aperte, oltre al covid-19, nella scena della salute mondiale, e che, tra questi, le demenze occupano uno spazio particolarmente rimarchevole.
Riporto soltanto il titolo del primo capitolo dello Special Report: “Nessun posto al mondo è pronto a gestire l’esplosione globale delle demenze (all’età di 85 anni, da un terzo alla metà delle persone soffrono per questa malattia)”
Le pagine dell’Economist permettono di fare alcuni confronti tra Covid-19 e demenza, due patologie importanti e drammatiche, per trarne riflessioni anche pratiche.
Per esempio sui costi economici e umani dell’assistenza non si può non notare la differenza con le preoccupazioni legate al covid-19, per il quale sembra che, una volta approntato il vaccino, ogni problema sarà risolto, anche se lascerà (si spera) una sensibilità diffusa per comportamenti preventivi. Per la demenza la scoperta di un farmaco è invece ancora una chimera, e probabilmente sarà efficace solo in un numero ridotto di persone. Quindi, si potrebbe ottimisticamente prevedere che all’inizio del 2022 la pandemia da coronavirus non rappresenterà più un grave problema di salute pubblica; non similmente si può asserire per le demenze, che invece seguiteranno ad incrementarsi proporzionalmente con l’invecchiamento della popolazione, causando un crescente peggioramento della situazione assistenziale, a causa delle difficoltà economiche, della riduzione delle possibilità di assistenza, della carente organizzazione della rete dei servizi.
Un’altra differenza tra covid-19 e demenze è l’investimento destinato alla ricerca di un vaccino o di farmaci in grado di curare la malattia: è incalcolabile, ma giustificato dalla drammaticità degli eventi.
Però, se i nostri governanti fossero avveduti dovrebbero programmare maggiori investimenti anche per le demenze. Ma quanta acqua dovrà passare sotto i ponti tempo prima che ciò accada? Anzi, anche se non ufficialmente dichiarato, vi è il sospetto che alcuni fondi pubblici, inizialmente dedicati alle malattie neurodegenerative, siano stati dirottati verso il covid-19.
Lo special report dell’Economist è uscito pochi giorni dopo che The Lancet, rivista medica di fama internazionale, il 14 agosto, che ha pubblicato un testo dal titolo: “Dementia prevention, intervention and care: 2020 report of The Lancet Commission”, che si conclude con la frase: “Con una cura di buona qualità, le persone possono vivere bene con la demenza e le famiglie si sentono supportate”.
Lancet mette in copertina un messaggio chiaro: “It is never too early and never too late in the life course for dementia prevention” (Non è mai troppo presto e mai troppo tardi nel corso della vita per la prevenzione della demenza).
Mino Dentizzi
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2020-09-28 11:57:48
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