L’Italia è un paese di santi, poeti, navigatori, commissari tecnici della nazionale di calcio e, quest’anno, anche di virologi, economisti, e retroscenisti.
E commemoratori: le agende di molte istituzioni, le bacheche social di milioni di italiani sono piene di cerimonie, premiazioni e tanto altro. Tutte iniziative pompose, roboanti, ricche di retorica grondante che farebbe credere, ad un visitatore da mondi lontani, che questo sia il Paese dove dominano la giustizia e tutti i più alti e nobili ideali umani. Quegli ideali per i quali alcuni coraggiosi hanno offerto la vita. Tra loro Michele Liguori, vigile urbano di Acerra ucciso da due tumori causati dai veleni dei rifiuti della «terra dei fuochi» che, quotidianamente, documentava e denunciava tutto ciò.
Abbiamo ricordato il suo sacrificio il 19 gennaio, nel sesto anniversario della morte. Dal Paese delle fanfare, delle parate, delle cerimonie ad ogni occasione (e quando non c’è, basta poco per crearla) ci si aspetterebbe il giusto tributo e riconoscimento ad un servitore dello Stato che, nonostante boicottaggi, isolamenti e pezzi dello Stato troppo spesso omertosi e conniventi con mafie, affaristi e colletti bianchi, ha sacrificato tutto se stesso nell’adempiere il proprio compito. La legge italiana prevede addirittura un riconoscimento specifico, «vittima del dovere».
Che per Michele Liguori arrivò solo quattro anni dopo e una lunga battaglia, anche in sede legale, da parte della famiglia il 17 ottobre 2018. Quattro anni e nove mesi dopo.
Il mese successivo Sergio Costa, ministro dell’ambiente nel governo Conte 1 (5 Stelle-Lega) e riconfermato nell’attuale governo Conte 2 (5 Stelle-PD-Leu-IV), annunciò per la prima volta la proposta legislativa «Terra mia» prevede anche l’inasprimento delle pene e il «daspo ambientale» per inquinatori e devastatori, ovvero i criminali che avvelenano da decenni la Campania e tante altre regioni italiane. Una proposta che potrebbe essere anche un giusto tributo al sacrificio di Michele Liguori e Roberto Mancini, il poliziotto che fu tra i primi, negli anni novanta, a denunciare e documentare le ecomafie e le alleanze tra camorristi e colletti bianchi.
Potrebbe ma ancora non è perché, quasi due anni dopo il primo annuncio, «Terra mia» è ancora ben lontana dall’iniziare il proprio iter. Lo ha raccontato su Domani nelle scorse settimane Nello Trocchia, giornalista autore di moltissime inchieste e alcuni libri (tra cui la biografia di Roberto Mancini, «Io morto per dovere») sulla devastazione ambientale criminale delle «terre dei fuochi». La proposta del ministro Costa doveva approdare in Consiglio dei ministri sabato 17, ma le resistenze di Italia Viva e parte del PD hanno portato a toglierlo dall’ordine dei giorni. Per i renziani è una proposta da «ministro Rambo» e annunciano che non lo voteranno mai.
«Ogni anno i fuochi continuano, così come gli scarichi illegali e gli smaltimenti illeciti; eppure sono tutti a favore dell'ambiente, non c'è un partito che è contrario a piantare un alberello, mettere un mi piace, farsi un selfie con Greta, fare la passerella nella mia terra, urlare contro le ecomafie – riflette indignato Nello Trocchia in un post sulla sua pagina facebook – E allora perché tutto continua esattamente come prima? Perché non è una questione di ecomafie, il saccheggio del nostro territorio è questione che riguarda l'imprenditoria criminale. Quella che è cresciuta negli anni ottanta con i favori dei clan e che oggi ritira premi, fa i convegni, vende libri, approda in tv e vuole tanto bene a questi e a quei politici. E quando la questione diventa imprenditoriale il problema cambia perché non parliamo più dei boss al 41 bis che, senza impresa, professionisti, controllori pagati, non sarebbero stati in grado neanche di costruire un buco abusivo». Dinamiche che si riassumono plasticamente, come accadde proprio in Campania negli anni dell’emergenza rifiuti: erano i primi Anni Duemila e, in quegli anni, una parte dello Stato si piegò – scrisse Rosaria Capacchione su Il Mattino nel 2011 – e consegnò interi territori ad imprenditori contigui, se non organici, alla camorra.
Uno dei vertici della struttura commissariale dell’epoca, come abbiamo già riportato ricordando Roberto Mancini, è stato nominato il 1° aprile global advisor (per intenderci tesoriere) della struttura commissariale per l’attuale emergenza sanitaria. Una struttura sui cui ritardi e inefficienze si sono concentrate diverse inchieste giornalistiche di Nello Trocchia e altri colleghi su Domani. In una di queste Nello Trocchia ha riportato la notizia che a settembre la Guardia di Finanza ha compiuto accertamenti presso Invitalia, concentrandosi sugli emolumenti percepiti da colui che oggi è al comando della struttura commissariale per l’attuale emergenza sanitaria, che ha citato per danni il quotidiano. Secondo il direttore Stefano Feltri «la notizia è vera» (citiamo testualmente il titolo del suo editoriale pubblicato il 23 ottobre), ma il commissario «ci chiede i danni».
Abbiamo riportato le pressioni, finora vincenti, dei renziani contro «Terra mia». A completare il quadro di quest’ottobre si è aggiunto nei giorni scorsi il partito dell’altro Matteo con un’altra vicenda proveniente da Milano: in consiglio del municipio 8 è stata approvata la proposta di intitolare un giardino ad Ilaria Alpi ma i consiglieri dell’ex ministro degli Interni si sono astenuti dal votare, con la motivazione sintetizzata in «è morta sul lavoro e non aveva legami con la città».
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2020-11-06 11:57:47
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