“Sospensione temporanea delle ostilità, conseguente o meno a un regolare patto stretto fra i belligeranti”. È questo il significato da dizionario del vocabolo “tregua”. Un termine che oggi risuona su tutti i mezzi di comunicazione, sia carta stampata che TV e che si riferisce a quel cosiddetto “conflitto” fra lo Stato di Israele e l’organizzazione “Hamas”.
L’escalation di violenza a cui abbiamo assistito nel corso degli ultimi dieci giorni ha inorridito il mondo, suscitando la reazione pacifica di molte persone che hanno manifestato la propria solidarietà al popolo palestinese, ancora una volta vittima di uno spropositato attacco da parte di Israele.
Quella che si è consumata è stata l’ennesima puntata di una storia senza fine, che dura ormai da oltre settanta anni e che vede schierate da una parte l’entità sionista che progressivamente tenta di sottrarre terreno e risorse al popolo palestinese, e dall’altra Hamas che risponde alle provocazioni con una forza militare di gran lunga inferiore a quella israeliana.
La narrazione mediatica, ancora una volta, è stata parziale: innanzitutto non sono state debitamente illustrate le ragioni che hanno innescato la miccia e in secondo luogo si è focalizzata sulla reazione di Hamas, come se si trattasse di una improvvisa alzata di testa di questa organizzazione.
Alle origini dell’ennesimo attacco, vi è la questione di Gerusalemme Est e della sua progressiva occupazione da parte di Israele. Il preteso sgombero di diverse abitazioni di famiglie palestinesi a vantaggio di coloni israeliani nel quartiere di Sheick Jarrah nel quadrante orientale della città, ha dato il via alle proteste da parte dei palestinesi, ancora una volta vittime di una politica di progressiva pulizia etnica. Ma ciò che ha infiammato la situazione è stata l’irruzione da parte della polizia israeliana alla spianata delle moschee e all’interno della Moschea di Al Aqsa (considerata uno dei principali luoghi di culto dell’Islam), proprio nel periodo del Ramadan, mese sacro per i musulmani.
In questa vicenda ogni azione, ogni singolo atto ha una valenza e un significato profondo, che non può essere liquidato con l’inflazionato ritornello secondo sui Israele ha il diritto di difendersi. Non si mette in discussione l’esistenza dello stato di Israele (pur volendo ormai è praticamente impossibile visto quanto si è esteso in barba a tutte le disposizioni internazionali che glielo vietavano): ciò che invece si ribadisce è il diritto del popolo palestinese a vivere sulla propria terra, con dignità e libertà.
Ancora una volta però, a fare le spese di scontri e di interessi politici, sono gli inermi civili: il bilancio dei morti è pesantissimo, aggravato dal fatto che molti fra i deceduti sono bambini.
Ora la tregua diventa trofeo da sbandierare sul podio internazionale: entrambe le parti, Israele e Hamas, rivendicano la vittoria. Ma a ben guardare di che vittoria parliamo? La questione palestinese ha solo vissuto un nuovo, drammatico momento di ribalta internazionale. Presto tutto tornerà nel silenzio mediatico, nel quale continueranno a consumarsi i soprusi, le violenze, la violazione dei diritti umani di cui i palestinesi sono vittime silenti. Una tregua quindi che forse risparmierà le pesanti perdite fin qui registrate, ma che non metterà di certo la parola fine a un conflitto destinato a non avere fine.
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2021-05-22 16:38:21
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