Le immagini degli afghani che cercano disperatamente di aggrapparsi alle fusoliere degli arei in partenza dall’aeroporto di Kabul hanno fatto il giro del mondo, hanno commosso, hanno urtato la sensibilità di un Occidente che si sta godendo uno sprazzo di normalità estiva dopo la crisi pandemica.
Immagini forti, indubbiamente. Immagini che fanno da specchio a quelle dei barconi alla deriva nel Mare Mediterraneo che ormai guardiamo distrattamente ogni giorno. Immagini che ritraggono la stessa umanità: uomini, donne, bambini, in fuga da guerre, da torture, da violenze inaudite, da catastrofi ambientali.
E allora la sensazione che prevale nell’assistere a tutta questa commozione che oggi il mondo occidentale prova per il popolo afghano, è che ci sia una sostanziosa dose di ipocrisia a condire l’ondata emotiva. Sì, ipocrisia. Perché la commozione, l’empatia o le si prova sempre o non le si prova mai. Oggi siamo tutti “donne di Kabul” e non ci interroghiamo su come le donne di Kabul abbiano vissuto in questi ultimi venti anni, mentre gli eserciti occidentali dettavano legge, esportando la loro democrazia in un paese che storicamente, tradizionalmente e culturalmente è distante anni luce dalle democrazie occidentali. Le donne afghane, in maggioranza, hanno continuato a essere analfabete, a non poter accedere al mondo del lavoro, a subire i matrimoni forzati, anche nella minore età, a essere sottomesse a una cultura patriarcale che non è stata scalfita affatto dalla presenza dei democratizzatori occidentali.
L’Occidente deve smetterla di pensare che la propria cultura, le proprie tradizioni, il proprio stile di vita siano il bene assoluto: questa visione colonialistica ha prodotto e continua a produrre, in giro per il mondo, profonde spaccature. Anche l’attenzione che in questi giorni viene rivolta alle “donne di Kabul” (come se l’Afghanistan finisse a Kabul!) è espressione di una visione colonialistica che non presta attenzione a quelli che sono i veri bisogni di quelle donne e delle loro famiglie. Il modo migliore per aiutare, in questo drammatico momento, è mettersi in ascolto, cercare di intercettare le necessità, sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sui loro temi, ma declinati secondo il loro punto di vista e non secondo quello occidentale, perché potrebbero non coincidere, o almeno non completamente.
Veniamo poi alle reazioni di casa nostra, dove ancora una volta siamo costretti ad ascoltare i deliri di chi con una mano brandisce il rosario un giorno sì e l’altro pure, mentre con l’altra sventola lo scudiscio con cui è pronto a ricacciare indietro i profughi, qualora dovessero affacciarsi alle nostre porte. Il disgusto di fronte a certi comportamenti, che ancora una volta rappresentano la tigre da cavalcare in prossimità della contesa elettorale, dovrebbe suscitare una adeguata reazione nell’opinione pubblica, quanto meno nella richiesta di comportamenti coerenti. E invece ancora una volta è l’ipocrisia a vincere, a emergere con forza. D’altro canto è appena trascorso il ferragosto, lasciatecelo godere in pace in questa estate post pandemica!
WORDNEWS.IT © Riproduzione vietata
uploads/images/image_750x422_611cda2396557.jpg
2021-08-19 11:42:44
49