Uno spettro s’aggira per l’Europa ammoniva Karl Marx oltre due secoli e mezzo fa. Uno spettro, un frame narrativo, s’aggira per l’Abruzzo e l’Italia intera da tredici anni. Il terremoto, i terremotati.
Ormai sembra una saga, una fiction come quelle amenità inutili con cui ammorbano le menti certi canali televisivi. Il terremoto come se fosse una cosa lunare, un libretto da sfruttare all’occorrenza.
I terremotati, non persone vive in carne ed ossa che subiscono lutti, devastazioni ed ingiustizie, ma un’entità metafisica, quasi ectoplasmi. Che sbucano da quella maledetta notte del 6 aprile 2009 ogni volta che propagande vuote e dannose, mefitiche e velenose, à la carte non sanno cosa dire.
Ricacciano foto da luoghi sperduti del mondo, campi di quei profughi che odiano e perseguitano, urlano isterici le solite litanie. Poi quando gli incarcerati nelle tendopoli e chi da quella notte non ha mai visto riconosciuti i suoi diritti diventano baciapile del potente, dell’uomo sceso dall’alto zar di tutte le emergenze.
Da una parte ad ogni occasione la frase squallidamente urlata “e i terremotati?
Gli italiani stanno nelle tende!” e dall’altra i manganelli sociali, mediatici e politici li armano loro. Poi cascano dalle nuvole, ma mai una volta che si facciano male, quando arrivano sentenze come quella delle settimane scorse. Gridano due giorni e poi tutto passa, tutto dimenticato.
Ma non è l’unica narrazione, l’unica chiacchiera morta. Due volte l’anno viene pubblicato un importante documento, preziosa lettura di quel che accade nel fu Belpaese e nelle sue dinamiche criminali: la relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia.
Si può scaricare dal sito web della DIA e, dopo analisi su quel che accade a livello nazionale ed internazionale, su come si muovono le mafie in tutta Italia, ci sono capitoli dedicati ad ogni territorio. Sull’Abruzzo segnala ripetutamente la presenza di affaristi e clan nell’affare ricostruzione. Riportando atti e fatti, nomi e cognomi.
Chi vuole può leggerli ed indignarsi, farsi voce e non tacere di fronte a queste incarnate squallide consorterie. Ma è troppo scomodo perché fare nomi e cognomi crea rogne, poi “se sembr fatt” (come la neve nella famosa intervista televisiva di un cittadino teatino), “ji k puzz fa” (la solita scusa degli imbelli: io che posso fare?).
E sarebbe un j’accuse verso potentati e pre-potentati, colletti bianchi e malapolitica, capibastone e padrini. Davanti cui diventano pavidi agnellini se non direttamente colleghi d’affari. Perché la reale mangiatoia del post terremoto (e in realtà non solo quello come vedremo tra poco) è così ampia e così succulenta che uno strapuntino, un appaltino, una pietanza non si nega a nessuno. Se poi danno pure bollini e patentini di sostenibilità e amenità simili venghino signori venghino.
Infiltrazioni dopo il terremoto, qualche mafietta dopo il 6 aprile 2009. Facile a dirsi, comoda da ripetere a pappagallo. Così si ammanta di genericità quel che è accaduto e accade e si copre gli occhi su quanto accade in tutto il resto della regione e la si mena ancora con la storiella dell’isola felice. Una delle menzogne più vergognose e vigliacche di questa regione camomilla.
Se la DIA scrive che l’Abruzzo non è una regione a tradizionale presenza mafiosa e non si registrano storici clan in italiano ha un solo maledetto significato, è lineare. E non significa che le mafie (al plurale, clan e consorterie varie e variegate, non una maledetta entità metafisica) non sono presenti se non per un accidenti della storia dopo il 6 aprile 2009 e in una sorta di bantustan grande come la ruota di un criceto. Basterebbe leggerseli i documenti, saperle studiare le relazioni semestrali, magari farsi pure un po’ di storia e cronaca.
Ma l’antimafia delle chiacchiere, l’antimafia delle carriere e dell’avanspettacolo che Sciascia descrisse negli anni ottanta oltre letture posticce e paraventi non andrà mai. E le squallide consorterie, i clan e i colletti bianchi ringraziano.
Non ci accontentiamo e per ogni miagolio à la carta crediamo ancora più doveroso raccontare atti e fatti e documentare, indignarci, gridare. E allora, in quest’inizio di novembre, ancora una volta ripercorriamo questa squallida storia iniziata oltre trent’anni fa. Dalle cave in cui le ecomafie interrarono rifiuti dal Nord, dalla presenza di uno dei cavalieri dell’Apocalisse denunciati da Pippo Fava lucrò sui lavori sulle spiagge, dagli omicidi di inizi anni novanta, da Gaetano Vassallo che gestì per anni il servizio di raccolta rifiuti urbani in almeno quindici comuni nella Marsica.
Per arrivare agli affari della ‘ndrangheta, delle mafie foggiane, della mafia dei pascoli, della speculazione edilizia, delle mafie romane e di imprenditori prestanomi o mafiosi loro stessi, dalle riunioni di mafia nella Marsica. Riportiamo solo alcuni fatti, per l’elenco completo rimandiamo ai numerosi articoli del nostro archivio di cui indichiamo i link in calce a quest’articolo.
Nel 1992 in Provincia di Pescara fu rinvenuto il cadavere di Enrico Maisto.
Il 20 marzo 1993 fu rinvenuto cadavere nel bagagliaio della sua auto Italo Ferretti, imbavagliato e con le mani e i piedi legati. Il 13 Gennaio 1994 la “Commissione Parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e delle altre associazioni criminali similari” approvò la “Relazione sulle risultanze dell’attività del gruppo di lavoro incaricato di svolgere accertamenti su insediamenti e infiltrazioni di soggetti ed organizzazioni di tipo mafioso in aree non tradizionali”, a pagina 82 Enrico Maisto venne definito un “noto boss latitante della camorra” e si sottolineò che le indagini erano partite a seguito di otto omicidi a Pescara, “dei quali quattro o cinque erano da ricollegarsi ad uno scontro tra bande contrapposte. Era emerso che si trattava di associazioni a delinquere che praticavano traffico di stupefacenti, usura, rapine, estorsioni e avevano il controllo delle bische”.
L’omicidio di Ferretti ed altri “erano stati originati dai contrasti tra due bande autoctone opposte e anche se la camorra e la Sacra Corona Unita non avevano ancora fagocitato le stesse, sussisteva il “pericolo mafia”, scongiurato per il momento da questa operazione di polizia giudiziaria”.
Il porto di Pescara nella “Relazione sull’attività delle forze di polizia, sullo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata” relativa al 2015, comunicata alla Presidenza del Senato il 4 gennaio 2017, venne definito “il più importante dell’Abruzzo e per i suoi accresciuti scambi commerciali con i Paesi dei Balcani occidentali costituisce uno snodo cruciale per i traffici di sostanze stupefacenti e di esseri umani” – e richiamo dell’intera provincia per “sodalizi mafiosi interessati al reinvestimento di capitali illecitamente accumulati”.
Tra le attività criminali segnalate nel rapporto spiccano spaccio di stupefacenti, corse clandestine dei cavalli, gioco d’azzardo, truffe, estorsioni, usura, tratta di esseri umani, sfruttamento della prostituzione “anche minorenni”, sfruttamento della “manodopera clandestina”. Proventi di attività illegali, si legge ancora, “vengono reinvestiti anche nell’acquisto di esercizi commerciali ed immobili”. Inaugurando l’anno giudiziario nel 1997 il procuratore generale Bruno Tarquini affermò che “in questa regione la cosiddetta fase di rischio è ormai superata e si può parlare di una vera e propria emergenza criminalità, determinata dall'ingresso di clan campani e pugliesi anche nel tessuto economico della Regione".
Due anni dopo la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, nella relazione approvata il 4 marzo 1999, definì l'Abruzzo «geograficamente sita all'ideale snodo dei traffici tra nord e sud», «considerato di particolare interesse dalla criminalità organizzata la quale, nello specifico settore dei rifiuti, appare avere spostato il flusso dei traffici dalle rotte tirreniche nord-sud a quelle adriatiche» e dove giungono «traffici di rifiuti pericolosi prodotti nel nord dell'Italia, trasportati da imprese vicine alla criminalità organizzata, smaltiti in maniera illecita e distribuiti anche su altre aree del territorio nazionale». Otto anni dopo l'annuale Rapporto della Direzione nazionale antimafia denunciò che “l'Abruzzo era il luogo in cui la criminalità organizzata aveva trovato terreno fertile per il riciclaggio di denaro sporco”.
Inchieste inchieste Eco, Ebano e Humus. La prima documentò che dal giugno 1994 al marzo 1996 i casalesi acquistarono rifiuti speciali derivati dalla produzione di metalli pesanti, tramite intermediari e con documenti falsi, in Piemonte e Lombardia per farli arrivare in centri di stoccaggio in Toscana, Umbria, Lazio e Abruzzo da dove venivano poi spediti in discariche abusive nelle province di Caserta, Benevento e Salerno. Un giro di rifiuti speciali e industriali provenienti dalla Lombardia, ma questa volta anche smaltiti nelle cave abbandonate della Marsica, fu al centro di Ebano nel dicembre 1996. E sempre nella Marsica trovavano approdo i rifiuti industriali dell’organizzazione criminale sgominata nel 1998 con l’operazione Humus: i Carabinieri e il Corpo Forestale dello Stato accertarono in soli 23 giorni l’arrivo di 440 tonnellate di fanghi provenienti da industrie di Caserta, Napoli, Frosinone, Rieti, Roma, La Spezia e Isernia.
La Commissione ecomafie definì quasi di scuola il caso dei rifiuti urbani del comune di Milano inviati in Abruzzo: «l'azienda municipalizzata di quel capoluogo non smaltiva direttamente in Abruzzo, atteso il divieto fissato da una legge regionale» ma «con una serie di appalti a società commerciali, dei quali si è interessata la procura presso il tribunale di Milano, incaricava le medesime società di dividere i rifiuti tra secchi ed umidi. Tutti i rifiuti erano, quindi, inviati per il trattamento e per la cernita in Abruzzo; una volta entrati nello stabilimento il rifiuto acquistava cittadinanza abruzzese e di conseguenza, per circa il 95 per cento, veniva smaltito come rifiuto in quel sito».
La relazione lanciò un vero e proprio grido di allarme: «sembra in via di accelerazione il tentativo, da parte della camorra campana e della mafia siciliana, di infiltrarsi nel tessuto economico e politico del territorio per il tramite di società di capitali costituite e rappresentate da interposte persone; ciò fa indubbiamente registrare un salto di qualità da parte della criminalità organizzata locale, che è sempre più presente nel tessuto economico regionale».
Secondo i commissari la regione aveva «una particolare appetibilità economica ed è oggetto di attenzione da parte dell'imprenditoria deviata e della criminalità organizzata, che in questo territorio ricercano nuove frontiere per investire il denaro proveniente dalle attività illecite».
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2022-11-23 16:01:12
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