Siamo ormai nella settimana che ci conduce alla Pasqua. Giorno di festa e di celebrazioni. Giorni di felicità sereni e in cui si ricorda la Risurrezione. E, prima ancora, la Pesah, il passaggio del popolo ebreo dall’oppressione del Faraone alla libertà nella terra promessa. Le ore centrali di questa Pasqua cadranno ad un mese esatto dall’8 marzo, la Giornata internazionale della Donna.
Sono passate settimane e settimane e, in attesa di altre Giornate e passerelle, ormai è solo un’eco lontana le belle parole, i discorsi pomposi, le alte declamazioni di quel dì. Per la parità, il rispetto, contro quelle che ipocritamente vengono definite «violenze di genere» cancellando carnefici e vittime, oppressori ed oppressi.
Non è genericamente di genere la violenza, ha volti, persecuzioni, mani, piedi, ideologie, oppressioni. Il patriarcato, l’oppressione patriarcale, le violenze maschili e maschiocentriche, la criminale sete di dominio sessuato e sessuale non sono astratti concetti, non sono astrusità lontane. Lo documentano i crimini di ogni anno e quella persecuzione quotidiana, quell’ideologia che opprime e perseguita donne solo perché donne ogni giorno. La “cultura dello stupro”, di cui già ci siamo occupati in vari articoli, si alimenta ogni giorno in ogni angolo. È un faraone moderno da cui questa società non riesce ancora a passare verso la terra promessa della libertà di ogni donna, di tutte le donne.
«Una delle più terribili storie di questi anni è quella di Ilaria Di Roberto, colpita negli anni da una terribile catena di molestie, abusi, cyberbullismo, psicosette, revenge porn, violazioni e insulti del suo nome e della sua persona.
La solidarietà, il calore umano, il rispetto, l’indignazione contro coloro che ripetutamente hanno portato avanti questa catena contro di lei dovrebbero essere totali, immediati e spontanei. Ed invece la reazione del suo paese, così come in alcuni spazi del web, è stata l’opposto. Figlie di quei retaggi sub culturali contro le donne che animano migliaia di complici e co-carnefici dei crimini maschilisti di questa società patriarcale».
Così per la prima volta il 23 febbraio di due anni fa abbiamo denunciato quanto subito da Ilaria, il primo di una lunga serie di articoli nei quali abbiamo raccontato persecuzioni e botte, notti drammatiche e giornate terribili, lacrime, dolori e sofferenze di una ragazza che – per questa società – ha avuto tre colpe: essere vittima, essere donna ed essersi ribellata, rifiutando ogni copione e con coraggio e generosità (accanto ad altre donne, donando la sua vita nel libro «Tutto ciò che sono» e in tante altre occasioni) ogni copione e catena patriarcali.
«Un clima di persecuzione, isolamento, colpevolizzazione della vittima, complicità di fatto con i carnefici, aggressioni e omertà perpetrata – nell’indifferenza di chi dovrebbe intervenire – ripetutamente a cui non sono estranei neanche coloro che dovrebbero non tacere mai, denunciare, documentare, essere principi di civiltà, libertà, indipendenza. Ovvero gran parte della stampa, soprattutto locale, che dopo aver colpevolizzato lei e dato ampio spazio al peggio del peggio e al fango che gli è stato scagliato ignora e silenzia quanto continua a subire. E con motivazioni sconcertanti, omertose, complici di questo clima vergognoso si sta rifiutando persino – di fatto omertà da una parte, boicottaggio dall’altro – di pubblicare la notizia dell’uscita del libro «Tutto ciò che sono». Il fango e la colpevolizzazione di una vittima per lor signori è notizia, che una donna si auto determini, e rappresenti una ribellione quotidiana alle violenze patriarcali e anzi ha una vita, esprima dei talenti straordinari, sia libera, indipendente, autonoma, è una persona artista e scrittrice no.
La piazza nei pressi della casa di Ilaria a Cori, provincia di Latina, è intitolata ad Alessandro Marchetti. Ingegnere autore di importanti brevetti di elicotteri, Marchetti fu prezioso nella storia del volo dell’uomo ma, lì dove viene ricordato, non si vola ma si scava sempre più in basso. In nome di quella persecuzione millenaria, di quel perpetrare la più schifosa, immonda, vigliacca, sempiterna oppressione».
Ilaria Di Roberto ha sempre cercato di resistere e di non arrendersi a tutto questo, a voler volare e tornare a vivere. Il 18 agosto dell’anno scorso in un articolo riportammo della necessità di lasciare Cori, di spezzare ogni catena di persecuzione e violenza. Un percorso personale, familiare e collettivo.
Che in questi mesi è diventato una lotta di liberazione che ha unito, accanto a lei e alla sua famiglia, altre persone. Dopo mesi di speranze tradite, di attese frustrate, di squallidi momenti oggi Ilaria sta vincendo, sta arrivando una vera Pasqua di festa, il passaggio dal Faraone ad una terra promessa di libertà è in cammino.
Il pensiero corre a tanti, troppi momenti di questi anni, alle lacrime e alle disperazioni, al dolore e ad un baratro che spegne ogni luce, ogni umanità. Oggi invece c’è un sole che può brillare, volti che possono illuminarsi di fronte ad una vita normale, umana, vera. Senza persecuzioni, senza giudizi, senza oscene e vigliacche volgarità. La lettera d’addio di Ilaria a Cori sintetizza tutto quello che è avvenuto e quel turbine di sentimenti, emozioni, vita che pulsa che sta attraversando lei e la sua famiglia.
È sembrato impossibile in questi mesi di altalene tra speranze poi tradite e sconcertanti episodi, ancor di più anche solo sognarlo nelle notti e nei giorni del baratro più angosciante e drammatico, di lacrime infinite e vita dilaniata e strappata. Invece, riprendendo i versi della canzone “Mary per sempre” dei Gemelli Diversi, ha «trovato sorrisi sinceri oltre i muri» della città e, stringendo la mano alle due persone più care della sua vita, il suo «viso ha cambiato espressione» e può esser contenta della nuova sfida, della nuova vita. Parafrasando Pasolini per anni le hanno detto e imposto di non splendere e lei, invece, ha creduto e sta realizzando di splendere ancora più forte.
Tanti sono i passi che Ilaria Di Roberto e la sua famiglia dovranno ancora compiere, molte le fatiche e le difficoltà. Anche economiche. In questi mesi il loro percorso è stato un percorso collettivo, tramite varie persone che hanno compiuto gesti di generosità e condivisione, hanno potuto lasciare Cori e trovare una casa altrove. Questo percorso non si interrompe, è collettivo ed ha bisogno ancora di tante gambe e mani.
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2023-04-03 11:20:23
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